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Il castello di Saracena

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Ho raccolto l’invito di Maria Cristina Tamburi di
presentare il suo lavoro intitolato: Il castello di Saracena
possedimento dei Duchi Pescara e loro pertinenze nel sec.
XVII, per due motivi: uno dovuto all’aspetto culturale,
l’altro al vincolo di amicizia.
L’autrice ci introduce nella storia moderna di Saracena,
“delizioso paese” come lei stessa lo definisce, in
provincia di Cosenza.
Attraverso l’esame di un atto notarile del 1646, inerente
al castello, ella è pervenuta all’attendibile ipotesi
degli ambienti di quell’edificio e fornisce validi elementi
di vita materiale del tempo.
La studiosa, riprendendo temi economico-giuridici,
sottolinea l’importanza delle relazioni uomo-ambiente,
nonché la valenza formativa della Storia indagata
nel suo contesto territoriale.
Docenti – come la Tamburi – offrono con il loro
esempio un significativo contributo al dibattito sulla
riforma dell’insegnamento della storia, per risvegliare
negli studenti l’interesse per il passato e forniscono
suggerimenti di metodo storiografico per la ricerca e
l’esame delle fonti.

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Il Golpe Borghese Quarto Grado di Giudizio

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Esattamente 50 anni fa (nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970), Junio Valerio Borghese mise in atto un colpo di Stato che è passato alla Storia come il “Golpe Borghese”.
L’azione eversiva si bloccò all’1,49 dell’8 dicembre quando diversi commandos erano già penetrati nel Ministero dell’Interno e altri stavano per mettere a segno tre ulteriori azioni cruciali: l’occupazione della Rai, il sequestro del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l’assassinio del capo della Polizia Angelo Vicari.
La causa del blocco fu un perentorio “contrordine” emanato dallo stesso Borghese subito dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Nei mesi successivi vennero avviate svogliate indagini che non portarono a nulla.
Il quadro cambiò quando un agente segreto del Sid, il capitano Antonio Labruna, aprì una nuova inchiesta riuscendo a scoprire mandanti ed esecutori. Produsse un “Malloppo documentario” che fu però censurato dal suo capo, il generale Gian Adelio Maletti, e dal ministro della Difesa, Giulio Andreotti. Il depistaggio andò in porto e la Cassazione sentenziò che il “Golpe” non era mai accaduto.
Questo libro, attraverso un “Quarto grado di giudizio”, ribalta siffatta “verità giudiziaria”.
Ciò è stato possibile grazie alla documentazione archivistica, spesso inedita, proveniente dal Sid, dalla Commissione parlamentare P2 e dalla Commissione parlamentare stragi.
Nel libro emergerà anche, con certezza documentaria, che gli Usa, in cambio del proprio appoggio, imposero a Borghese il nome di Andreotti quale premier del governo golpista. Emergerà altresì come Licio Gelli fu uno degli elementi di vertice del “Golpe” stesso.
Non tutto però è stato ancora acclarato. Fra i punti che verranno esposti in chiave non risolutiva, i principali riguardano la morte dello stesso Borghese, probabilmente assassinato, il rapimento dell’ex legionario della “Decima” Mauro De Mauro, che verosimilmente fu ucciso perché stava per svelare i rapporti fra i golpisti e la mafia, il ruolo di finanziatore svolto da Michele Sindona, la manomissione di un atto giudiziario e il “Piano antinsurrezionale” predisposto dai Carabinieri.
Nel libro si ragiona anche, dulcis in fundo, su chi indusse Borghese a emanare il “contrordine”: alcuni documenti conducono verso Andreotti, altri verso Gelli…

 

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Il Golpe Borghese Quarto Grado di Giudizio. Seconda edizione ampliata e aggiornata

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Esattamente 50 anni fa (nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970), Junio Valerio Borghese mise in atto un colpo di Stato che è passato alla Storia come il “Golpe Borghese”.
L’azione eversiva si bloccò all’1,49 dell’8 dicembre quando diversi commandos erano già penetrati nel Ministero dell’Interno e altri stavano per mettere a segno tre ulteriori azioni cruciali: l’occupazione della Rai, il sequestro del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l’assassinio del capo della Polizia Angelo Vicari.
La causa del blocco fu un perentorio “contrordine” emanato dallo stesso Borghese subito dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Nei mesi successivi vennero avviate svogliate indagini che non portarono a nulla.
Il quadro cambiò quando un agente segreto del Sid, il capitano Antonio Labruna, aprì una nuova inchiesta riuscendo a scoprire mandanti ed esecutori. Produsse un “Malloppo documentario” che fu però censurato dal suo capo, il generale Gian Adelio Maletti, e dal ministro della Difesa, Giulio Andreotti. Il depistaggio andò in porto e la Cassazione sentenziò che il “Golpe” non era mai accaduto.
Questo libro, attraverso un “Quarto grado di giudizio”, ribalta siffatta “verità giudiziaria”.
Ciò è stato possibile grazie alla documentazione archivistica, spesso inedita, proveniente dal Sid, dalla Commissione parlamentare P2 e dalla Commissione parlamentare stragi.
Nel libro emergerà anche, con certezza documentaria, che gli Usa, in cambio del proprio appoggio, imposero a Borghese il nome di Andreotti quale premier del governo golpista. Emergerà altresì come Licio Gelli fu uno degli elementi di vertice del “Golpe” stesso.
Non tutto però è stato ancora acclarato. Fra i punti che verranno esposti in chiave non risolutiva, i principali riguardano la morte dello stesso Borghese, probabilmente assassinato, il rapimento dell’ex legionario della “Decima” Mauro De Mauro, che verosimilmente fu ucciso perché stava per svelare i rapporti fra i golpisti e la mafia, il ruolo di finanziatore svolto da Michele Sindona, la manomissione di un atto giudiziario e il “Piano antinsurrezionale” predisposto dai Carabinieri.
Nel libro si ragiona anche, dulcis in fundo, su chi indusse Borghese a emanare il “contrordine”: alcuni documenti conducono verso Andreotti, altri verso Gelli…

 

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Il gusto egizio

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Moda, stile, gusto? Quanto è diffusa la cultura degli antichi Faraoni?

Il saggio “Il gusto egizio” tenta di rispondere a tale quesito, ripercorrendo l’itinerario di un gusto che ha lasciato tracce più o meno evidenti in tutta Italia e Oltralpe.

La trattazione, con domande aperte e il censimento di alcuni ritrovamenti inediti, è una sintesi di un più ampio, sistematico excursus condotto dall’autrice con la Direzione della Galleria Borghese, che censisce moltissime delle manifestazioni egittizzanti rintracciate attraverso una repertoriazione precisa dell’affermarsi di questo gusto, effettuata anche attraverso degli originali apparati illustrativi, come la tavola sinottica e la mappatura mediante time line.

La ricerca dell’affermarsi del gusto egizio così schematizzata si rivela davvero utile per la consultazione rapida ma esaustiva dell’argomento e ha per margini cronologici le prime manifestazioni nella Roma antica sino al travaso nei cicli decorativi di numerose emergenze architettoniche – appartamento Borgia in Vaticano, Sfingi in palazzo Farnese, palazzo Falconieri di Borromini, e anzitutto, la sala egizia della Galleria Borghese – ma parallelamente porta alla luce due casi ancora poco sondati dell’affermarsi di questo gusto nel XVIII secolo: il palazzo Lignani Marchesani di Città di Castello e la sala Egizia nella villa Chigi di Siena.

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Il magliocco

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SAGGI DI

Antonio La Marca e Stefania Mancuso, Università della Calabria

Mariarosaria Salerno, Università della Calabria

Antonello Savaglio, Membro del consiglio direttivo della Deputazione di Storia Patria per la Calabria

Vincenzo Antonio Tucci, Direttore Archivio Diocesano di Cosenza

Piero Giuseppe Savaglio, Studente di Lettere e beni culturali Università della Calabria

Giuseppe Tagarelli, Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Vincenzo Roseti, Agronomo, ricercatore presso “CRSFA Basile Caramia”

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Il Meridione d’Italia prima dell’Unità

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L’Italia del Sud era il «Reame», il Reame per eccellenza come dicevano

gli storici. Il Regno della Due Sicilie era all’avanguardia in Europa in

molti settori della tecnologia, dell’industria, dell’economia e soprattutto

era ricchissimo di cultura e di tesori dell’arte. Tra tutti i Regni italiani era

di gran lunga il più esteso, il più ricco e il più popolato e Napoli era il

cuore di questo Regno. Napoli era la più grande città italiana e lo Stato

partenopeo ferveva di industrie d’eccellenza… Il periodo nel quale era

entrato il Regno dai primi del Settecento con Carlo di Borbone, e più

energicamente al tempo di Ferdinando IV, era un periodo di progresso

nazionale. Ferdinando II riordinò l’amministrazione, curò il benessere

del paese, diminuì le imposte, promosse l’industria. La Calabria, assieme

al napoletano, era l’area più industrializzata del Mezzogiorno e

dell’intera penisola… Con Ferdinando II i napoletani furono indipendenti

ed ebbero un regime di vita di gran lunga superiore a quello che

aveva nello stesso periodo il Piemonte. Fino al 1860 il Meridione non

conosceva cosa fosse l’emigrazione. Dopo l’unione all’Italia sopraggiunse

la disoccupazione e con essa l’avvilimento e la disperazione”.

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Il mistero della corazzata Russa. II Edizione riveduta e ampliata

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Sebastopoli, Crimea. Il 29 ottobre 1955, all’una e trenta di notte, la più grande corazzata della flotta sovietica, il Novorossiysk, affonda nelle acque del porto a seguito di una spaventosa esplosione. Oltre 600 marinai sovietici perderanno la vita. La possente nave da battaglia batteva bandiera italiana, con il nome “Giulio Cesare”, fino al 1949 quando fu ceduta all’Unione Sovietica come risarcimento di guerra secondo quanto previsto dal Trattato di Pace. Le cause dell’affondamento non sono mai state completamente chiarite e molte delle circostanze sono ancora avvolte nel mistero. A luglio del 2013 una clamorosa rivelazione riapre il caso: un ex incursore del gruppo Gamma della Xª Flottiglia MAS rivendica senza esitazione la paternità del sabotaggio. Il grande risalto dato dalla stampa russa e ucraina alle rivelazioni dell’ex incursore della Xª MAS e l’intenzione dei reduci della corazzata di chiedere un’inchiesta internazionale, convincono l’autore ad avviare un’indagine per avvicinarsi il più possibile alla verità dei fatti. Ribustini ricostruisce quella drammatica notte, le circostanze e il contesto storico e politico nel quale maturarono scelte, alleanze, coperture nazionali e internazionali. Quattro anni di ricerche, decine di documenti, clamorosi e inediti rapporti della CIA ritrovati nel corso della stesura di questa seconda edizione, oltre a nuove ed esclusive testimonianze rilasciate da un ex agente dei servizi segreti e un ex incursore dei reparti speciali della Marina Militare, costituiscono la mole di fonti che comporranno la sconcertante tesi finale del libro. Per i russi è una ferita ancora aperta che suscita dolore, emozione e risentimenti. In Italia, di questa storia, sono in pochi a volerne
parlare.

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Il popolo cosentino e il suo territorio, da ieri ad oggi

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Riccardo Giraldi, col Popolo cosentino e il suo territorio, inserisce di getto la “Cosentinità” nel quadro della storiografia delle Province d’Italia. Sulla base di cospicue fonti documentarie, gli avvenimenti, i soggetti, le azioni politiche, i fenomeni e i processi di trasformazione socio-economico-culturale della storia di Cosenza, ovvero dei Cosentini, scorrono come su una pellicola. Rifacendosi all’insegnamento di Marc Block, lo storico rendese avverte il bisogno dell’indagine attenta e, liberando la struttura dal sentimentalismo, approda tranquillamente ad una analisi scientifica sicura. Il testo, che si aggiunge alla pur erudita ottocentesca opera dell’Andreotti e al pur spassionato lavoro del Caruso, per citare qualche scritto precedente, se ne discosta per l’ispirazione apertamente democratica, per la solidità e snellezza della struttura, per la vasta panoramica degli avvenimenti, che dai primordi toccano il 2000. La genesi del volume si identifica con la caduta del governo nazionale, costituito da una strana Sinistra, i cui leaders, volenti o nolenti, non hanno sempre spiccato per purezza di fede e per aristocrazia di mente. Senza imbastire accuse pesanti o invettive furibonde, il Giraldi, con olimpica sincerità, espone lucidamente idee, passioni, verità anche fastidiose. Lo svolgimento, nel solco della metodologia euristica ed epistemologica, Ë ampio ma sintetico, complesso ma lineare, movimentato ma unitario. Facendo tesoro del precetto di Senofonte, l’autore scolpisce una galleria di interessanti medaglioni di storia patria: Telesino o Ponzio Telesio, Crispina, Bulla, Arnulfo, Girolamo Sanseverino, Aulo Giano Parrasio, Pietro Cicala, Marco Berardi, Bernardino Telesio, Sertorio Quattromani… Francesco Saverio Salfi, Nicola Vitari, Vincenzo Federici, Lodovico Lupinacci… i Repubblicani del 1799, Luigi Maria Greco, i Martiri del 1844, Francesco Lattari, Tommaso Cornelio, Teresa Notarianni… Michele Bianchi, Pietro Mancini, Fausto Gullo, Mario Misasi, Luigi Nicoletti, Riccardo Misasi, Antonio Guarasci, gli Antoniozzi, Salvatore Perugini, Francesco Principe, Giacomo Mancini, Luigi Gullo. Scrigno di idee e di valori, oltre che di fatti e di avvenimenti significativi, la trattazione del Giraldi si propone da un lato come nobile testimonianza per i cultori della materia e dallíaltro come strumento di ricerca per i giovani studiosi. E mentre il Capoluogo e la Provincia cosentina, guidati dalla Sinistra, gettano una luce di conforto e di speranza nel firmamento politico nazionale ed europeo, il libro si pone a livello di un grande libro. Un libro prezioso. Un libro, che ogni dove “illumina d’immenso”.

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Il testamento di Caterina Branciforti

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La storia e le vicende che nel corso dei secoli hanno interessato i Comuni di Pietraperzia, Butera, Mazzarino, Raccuja e Leonforte sono sicuramente note nella loro singolarità, ma riunire in una visione d’insieme fatti e avvenimenti, che videro come protagonisti la grande famiglia Branciforti, credo che rappresenti una novità e nel contempo una difficile ricostruzione di eventi alquanto lontani.
Questo lavoro parte da una brevissima sintesi storica dei Comuni sopra citati per poi soffermarsi sull’evoluzione della pubblica fede dei documenti e più in particolare sul testamento di Caterina Branciforti, principessa di Pietraperzia e Leonforte e contessa di Raccuja, stilato nel 1667 poco prima di morire e pensato in tutti i suoi dettagli, tanto che, ancora oggi, la sua inveterata volontà ha rispettoso ossequio nella “Fondazione Caterina Branciforti”.
Alla base del testamento, che oggi è il documento che collega i cinque paesi, si stagliano i dissapori che il principe di Leonforte Giuseppe Branciforti e sua moglie Caterina nutrivano nei confronti del nipote, Nicolò Placido, a cui sarebbero andati in eredità tutti i loro beni, in considerazione del fatto che non avevano figli

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Il Villaggio di OnassaC e la Rivoluzione Neolitica

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Io sono Ovlas.
La libertà, la passione, l’amore, il coraggio: sono la mia
ricchezza. La felicità. Che non si acquista, ma si conquista.
Mi piacciono le sfide! Ho due hobby, pensare e sognare. Mi
piace respirare la chiarezza, sentire dentro un po’ di tenerezza,
rompendo i bugigattoli dei dogmi culturali stampati
sulle tavole di pietra o sui giornali. Mi piace scombinare
l’acquisito e fare i conti in tasca alle morali e tradizioni.
Col gusto di scoprire le finzioni. Da sempre i sogni sono l’energia
positiva che mi aiutano a percorrere i giusti sentieri
e hanno sconfitto tutto: problemi, noia, disagi, preconcetti,
cattivi pensieri. Immaginazione e creatività hanno un potere
illimitato, due armi conferenti alle fatiche, possibilità
d’immenso successo. Alegna, Oleandro, Natcredi, Oile,
Perlagione Olibert, Ceirsomso, Alon, Digamoco, Arimere,
e Giurerri i miei compagni di viaggio. Il Neolitico è l’era
del ciclo dell’esistenza dell’uomo, che definisco il “paradiso
terrestre” dove c’è pace, armonia tra le persone e le
creature e la natura, meritocrazia, democrazia, crescita, sviluppo,
progresso in tutti gli ambiti. Il tempo in cui l’intelligenza
naturale prevale sull’indifferenza, sull’ignoranza e
sulla cattiveria: la Stupidità umana. Nel neolitico l’essere
prevale sull’avere. Il momento in cui l’uomo, quale individuo,
inizia a farsi persona, che significa porsi in relazione
con gli altri e tendere a realizzare il vero e il bene come
singolo e come comunità (bene comune).

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L’essere umano

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La sociologia, nella nuova era della società informazionale e dell’infosfera, dei social media, dei social network, delle profilazioni, delle echo chamber, delle filter bubble, dei dati biometrici, dell’Internet delle cose (IoT), dei Big Data, dell’Artificial Intelligence, del Machine Learning, è già in coma profondo e sta per morire (se non è già morta!). Quanto banali e inutili stanno per diventare alcune superficiali indagini quantitative (o lo sono già diventate?)! Ma i sociologi si rifiutano di crederlo e si oppongono, fatalmente, a un radicale ripensamento della sociologia. Il presente e il futuro della sociologia e dei sociologi dipendono da una corretta comprensione della “genealogia della morale, del diritto e della scienza”, a partire dalla critica del concetto weberiano di avalutatività. «Di fronte a un genio, vale a dire un essere che procrea e partorisce prendendo entrambi i termini nel loro significato più alto – il dotto, lo scienziato medio, ha sempre un qualcosa della vecchia zitella […] In effetti si riconosce ad entrambi, al dotto e alla vecchia zitella, come risarcimento, la rispettabilità» (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire). «Il lavoro di Francesco Paolo Pinello suscita una certa curiosità: intanto per via del titolo, che farebbe pensare al lettore di trovarsi di fronte a un lavoro di taglio antropologico, ma così non è; poi perché via via, procedendo con la lettura, si affacciano molteplici istanze disciplinari: dal diritto alle neuroscienze, dalla sociologia alla psicologia, all’economia ecc. la qual cosa può lasciare in qualche caso ‘spiazzati’. Pertanto, questo volume invita ad una riflessione profonda sull’essere umano, con tutto ciò che di positivo e di negativo la cosa può comportare; considerato nel suo insieme, riesce ad assumere i tratti di un lavoro interdisciplinare la cui originalità risiede proprio nel saper tenere unite ricerche apparentemente distanti su temi di pressante attualità: dalla metodologia delle scienze sociali alla comunicazione, dall’etica alle discriminazioni e alla psicologia sociale». (dalla Prefazione di Francesco Crapanzano)

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L’ordine di Malta in Calabria e la commenda di San Giovanni Gerosolimitano di Cosenza (secc. XII-XVI)

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Il Sovrano Militare Ordine di Malta ha avuto nei secoli medievali un ruolo di grande interesse non solo in ambito strettamente religioso, ma anche politico ed economico, esercitato anche grazie all’ingente patrimonio, la cui conoscenza nel particolare è dunque di fondamentale importanza. Il saggio ricostruisce, alla luce delle più recenti ricerche e di documentazione inedita, vicende e ruolo dell’Ordine religioso nel territorio e nella società calabrese, dalle prime attestazioni alla metà del Cinquecento, per poi soffermarsi su una particolare chiesa e commenda, San Giovanni Gerosolimitano di Cosenza, il cui patrimonio ricadeva nel territorio di molti centri dell’attuale provincia di Cosenza.

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L’Università della Calabria

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INTRODUZIONE di Aldo Bonifati Dopo sessant’anni di attività imprenditoriale nel campo dell’edilizia pubblica, svolta come Presidente del Gruppo Bonifati S.p.A., con sede a Roma, Milano, Cosenza e Catanzaro, mi sono ritirato, con mia moglie, nella mia dimora di campagna, sita nella ridente e amena località “Le Vigne” di Castrovillari, ove sono nato. Con me ho trasferito l’intera “biblioteca” di documenti che testimoniano i grandi lavori realizzati in questi lunghi anni dalla mia Società. Riordinandoli ho rivissuto, con intensa emozione, il percorso temporale in cui queste grandi opere si sono realizzate. In primis, l’Università degli Studi della Calabria. é stata la realizzazione di un “sogno fantastico” vissuto in prima persona. Cos” mi sono domandato se fosse giusto tenermelo egoisticamente chiuso nel cuore e nella mente, oppure renderlo noto ai tanti giovani calabresi, per far s” che essi possano conoscere, dalla voce di uno dei protagonisti, l’origine e la realizzazione di una delle più grandi opere realizzate in Italia, e soprattutto in Calabria, divenuta sede fisica della cultura delle nuove generazioni e non soltanto calabresi. Ho optato per la seconda ipotesi, pur non sapendo se ci riuscirà, dal momento che non sono uno scrittore, ma un uomo d’azione. L’intenzione, ripeto, è quella di portare a conoscenza delle migliaia di studenti che hanno affollato ed affollano le Aule, la Biblioteca, il Rettorato, il grande viadotto, i corridoi, i vani scale e le piazzole dei “cubi” del Campus di Arcavacata, ma anche di coloro i quali non credono che i propri sogni possano diventare realtà, quanto sia stato difficile e nello stesso tempo entusiasmante portare a compimento un’opera di tale portata. Un percorso iniziato nel lontano 1976 e conclusosi nel 2007. Trentuno anni vissuti tra “lotte” per tenere in vita una grandiosa opera sulla cui riuscita nessuno avrebbe mai scommesso un soldo, e grandi soddisfazioni e riconoscimenti per aver realizzato il primo Campus in Italia. Portarlo quasi a compimento non � stato facile. Abbiamo dovuto fronteggiare le ostilità di chi lo considerava un “Treno lungo un chilometro e mezzo che non andrà mai da nessuna parte”; le maldicenze della gente; gli attacchi sulla stampa; i campanilismi politici; le “gioie e i dolori” delle maestranze. Questo e tanto altro è stata la nostra “vita” nei cantieri di Arcavacata. Figurativamente, identifico l’Università degli Studi della Calabria in una bellissima creatura, amata e odiata, esaltata e denigrata da tanti uomini, politici e non, corregionali e non. Illustri uomini di potere, giornalisti di fama nazionale, noti “meridionalisti” hanno fatto scorrere fiumi d’inchiostro per quella che oggi è diventata una stupenda creatura che vive e primeggia nel panorama delle grandi Università italiane, con l’aria aristocratica delle bellissime donne dell’antica Sibari. I Rettori, i professori, i membri del personale direttivo e tutti coloro i quali si sono avvicendati e succeduti durante un percorso durato oltre trent’anni, hanno saputo mettere a disposizione della terra di Calabria, tutta la loro opera, con grande abnegazione e spirito di squadra, che ha consentito all’Ateneo calabrese di affiancarsi e superare le più blasonate Università d’Italia. I suoi “figli” primeggiano nel mondo della cultura e della ricerca portando onore e notorietà alla sua nobile immagine. Colgo, cos”, l’occasione, per esortarli a tener presente, nel corso della loro vita lavorativa, le frasi di alcuni grandi “pensatori”. Daniel Burnham: “Non fare piccoli progetti: non hanno la forza di entusiasmare gli uomini e probabilmente non si realizzeranno mai. Fai grandi progetti, punta in alto nella speranza e nel lavoro, ricordando che i progetti nobili e razionali non moriranno mai, ma vivranno nel lunghissimo tempo dopo la nostra morte riaffermandosi con rinnovato vigore”. Heldes Carnara (Vescovo brasiliano): “Se un uomo sogna da solo, il sogno rimane solo sogno; se molti uomini sognano la stessa cosa, il sogno diventa realtà”. S. Caterina da Siena scriveva ai “potenti” del suo tempo per incitarli nel mecenatismo: “Gli uomini che nella vita terrena compiono grandi opere sono più vicini a Dio”. Per rendere più completa la storia del Campus di Arcavacata, non volendo, quindi, focalizzare l’attenzione solo e soltanto sulla sua realizzazione fisica, ho ritenuto opportuno raccontare le vicende partendo sin dal periodo dell’occupazione napoleonica della Calabria (1806-1815), passando, poi, per il lungo iter che ha portato all’approvazione della Legge Istitutiva n. 442 del 12 marzo 1968, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 22 aprile 1968, per arrivare alle prime sedute di laurea del 1976. Il tutto � racchiuso nei diciotto capitoli di questo 1¼ volume che può essere considerato antefatto e introduzione all’intera opera editoriale che ci porterà fino ai nostri giorni. Oggi, i miei figli ed io, assieme ai dirigenti ed ai dipendenti che, sin dall’inizio, sono stati il motore dell’Impresa che ha realizzato la fascinosa opera progettata in gran parte da un padre dell’architettura del XX secolo, Vittorio Gregotti, auguriamo all’Università della Calabria di raggiungere le più alte classifiche, cos” com’è nel desiderio dei nostri cuori.

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L’avvento del Fascismo in Calabria

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Oltre e più che un resoconto dell’avvento del Fascismo in Calabria, lo studio di Miséfari e Marzotti si presenta come stimolante proposta di una storiografia del Fascismo, articolata per panorami regionali. Vengono così messe a fuoco le diverse formule combinatorie e di sovrapposizione tra dittatura e cultura regionale, con una serie variegatissima di innesti dal cui quadro sinottico possono scaturire nuove prospettive storiografiche.

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L’insurrezione calabrese nel 1806 e l’assedio di Amantea

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È la ristampa anastatica «dell’Insurrezione calabrese nel 1806» curata dall’Ufficio storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore a Roma nel 1911 e compilata dal Capo dell’Ufficio storico Giuseppe Ferrari. A questa si aggiunge la Storia di Amantea del capitano Cesare Cesari. Vi si ripercorrono gli eventi che sconvolsero il Regno delle Due Sicilie dal settembre 1805 fino alla battaglia di Maida e all’assedio di Amantea durato dal luglio del 1806 al gennaio del 1807.

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La battaglia di Maida

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La cartografia storica della Calabria è piuttosto rara in rapporto alla produzione
relativa ad altre regioni del Mezzogiorno peninsulare. Se, poi, è messa
a confronto, per esempio, con quella della Sicilia, appare abbondantemente
minoritaria. Le cause di questa inferiorità di rappresentazione geo-cartografica
possono trovarsi non solo nel differente ruolo militare e strategico avuto
nei secoli dalle due regioni, ma anche in fattori geofisici, come la difficoltà
di accesso dalla costa allʼinterno, dovuta in parte alla malaria e in parte alla
montuosità del territorio calabrese, o come la saltuaria presenza di approdi
e porti. Una causa ulteriore, e non poco importante, la si può trovare anche
nella minimalità della rete stradale, che, come rese difficili gli itinerari di tanti
viaggiatori stranieri, impedì ai cartografi un rilevamento attento e scrupoloso
del territorio; infine la inconsistenza delle sedi umane e la polverizzazione
dellʼinsediamento in ambiti recessi e poco accessibili non consentì di produrre
cartografie di tipo topografico, cioè precise e particolareggiate (Assante F.-
Demarco D., 1969).

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La battaglia di Mileto

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L’edizione di questo volume è stata possibile grazie
alla Pro loco di Mileto che – nell’anno 2007 – ha
promosso le celebrazioni del bicentenario della battaglia
di Mileto, combattuta tra francesi e borboni il 28
maggio del 1807. Un pensiero grato va alla memoria
dell’autore Mons. Francesco Pititto per il pregevole
studio pubblicato una prima volta nel 1916, nella sua
rivista “Archivio storico della Calabria” e poi come
estratto nel 1917, con allegati preziosi documenti
sulla battaglia.
Un particolare ringraziamento va agli autori degli
scritti che accompagnano il volume: prof. Saverio Di
Bella, prof. Massimo Zanca e prof. Giovanni Pititto.
Si ringraziano per il loro contributo erogato al momento
delle celebrazioni: la Regione Calabria, con
l’assessore regionale alla Cultura, l’Amministrazione
Provinciale di Vibo Valentia ed i Comuni di Mileto,
Ionadi e Filandari i cui territori furono teatro della
battaglia. Un ringraziamento va anche ai Comuni di
Vibo Valentia e di San Costantino Calabro e agli altri
comuni del territorio vibonese che hanno partecipato
all’iniziativa, nonché ai tanti che non è possibile qui
citare e che hanno contribuito alla riuscita del progetto
culturale di recupero di una importante pagina
di storia.

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La cultura nei suoi aspetti artistici, letterari e religiosi in Calabria durante il dominio Bizantino

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Il libro che vi apprestate a leggere è la versione integrale di un breve saggio presentato alla XIII Edizione del Premio letterario ‘Galeazzo di Tarsia’, svoltasi nel mese di luglio 2006 a Belmonte Calabro (CS). Il testo si propone di affrontare – sia pure ‘en passant’ e con limiti d’impostazione e lacune – gli aspetti artistici, letterari e religiosi della cultura in Calabria durante il plurisecolare dominio di Bisanzio (secc. VI-XI)

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La difesa del Synòro tra Kalabrìa e Loukanìa

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Attraverso una ricostruzione innovativa e sostanzialmente linguistica il saggio analizza la struttura complessa di un limes bizantino: il cosiddetto Synoro, un istmo che mette in connessione le sponde tirrenico-ioniche. L’autore, per descrivere l’unicità di tale territorio, supplisce alla mancanza di fonti documentarie ed epigrafiche sia attraverso il ricorso ad alcune agiografie che con l’analisi di numerosi toponimi. Ed è proprio il sapiente dosaggio di tale materiale a restituirci un suggestivo affresco del camminamento sinnico e dei suoi insediamenti durante l’epoca alto medievale: più una cerniera che una autentica frontiera, un’insula di cultura greca adagiata tra l’odierna Basilicata e la penisola calabrese – mai conquistata dai popoli germanici – dove i rhomaioi si sono insediati dal 540 al 1080. La suddetta area, in posizione strategica per Costantinopoli, era stata devastata dalla guerra gotica: per questo essa venne in primis frequentata dai cosiddetti monaci “basiliani”, e poi preservata militarmente dai limitanei bizantini, mediante un imponente sistema difensivo edificato prima del Nono secolo: a partire da quell’epoca le truppe imperiali occuparono definitivamente l’istmo, controllandone gli itinerari viari e gli scali marittimi, ripopolandolo e favorendone lo sviluppo economico. Il Synoro fu realizzato con il kastellion di Tursi, unitamente ad un porto militare posto nel golfo di Taranto, con torri e kastra di dimensioni minori sorti lungo il fiume, e con il kastellion di Lauria, a sua volta munito di un porto ubicato nel Golfo di Policastro: un vero e proprio antemurale, che servì a tutelare la Calabria bizantina da possibili invasioni dei longobardi, il popolo guerriero stanziatosi nei Principati di Benevento e Salerno che curiosamente rimaneva immune dalle varie pestilenze che colpivano l’Italya. Grazie alla narrazione di vicende mai indagate e ad avvenimenti storici mai approfonditi il lettore potrà riconoscere la particolare morfologia di quest’antica area geografica e sociale, nonostante l’incuria abbia contribuito a disperdere i resti dei kastra e delle torri e a occultarne le tracce: si tratta insomma di un’immagine suggestiva di quel tempo lontano, che ci permette di guardare alla storia del Mezzogiorno con occhi diversi.

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La difesa dell’Unità Nazionale per l’identità italiana

[wc-ps]

La posizione della Destra, storicamente
intesa, è stata la difesa della Unità d’Italia.
Anzi, per questa adesione ai valori
unitari, si è spesso accusata la Destra –
dal MSI di ieri alla Destra di oggi – di
ipernazionalismo, se non talvolta (accusa
ovviamente falsa) di isteronazionalismo…
Eppure si tratta di “vicende” che non risalgono
ad anni lontani, anche se taluni
cercano di scordare questi precedenti.
Quanti smemorati di Collegno politico
non abbiamo incontrato sulla nostra strada,
soprattutto in quest’ultimo periodo.

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