Mio caro Leonida…

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Con “Mio caro Leonida” Natale Pace propone una ri-lettura di Leonida Repaci, dell’opera letteraria, dell’attività politica, della lunga e complicata gestione del Premio Viareggio dalla sua fondazione, dei suoi spesso polemici e tempestosi rapporti con i più importanti personaggi del novecento e lo fa attraverso lo studio-analisi di documenti epistolari da lui inviati o ricevuti.
Lo studio si apre con il più lungo e importante saggio che rivela retroscena inediti nei suoi rapporti con Antonio Gramsci, ma poi ci offre uno spaccato della cultura del novecento, della resistenza, dell’attività politica. Qui compaiono Luigi Longo, Cesare Pavese, Maria Fida Moro, Maria Bellonci, Gaetano Sardiello, Fortunato Seminara, Camillo Pilotto e tanti altri.
In approfondimenti successivi a questo lavoro, Pace, sta preparando dei saggi di sicuro interesse proprio sui rapporti tra Repaci e Gramsci e sull’attentato di Via Rasella a Roma che provocò la strage delle Fosse Ardeatine.

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Misura del tempo

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Misura del tempo mai disgiunge lo studio poetico dalla riflessione sullo statuto della poesia contemporanea. La perenne domanda sulla necessità e sulla possibilità del dettato poetico è sempre saldata a una visione particolare e prospettica degli oggetti. Il nodo dell’identità e del necessario confronto col tempo presente si connette alla possibilità stessa della poesia, in una quotidianità che sembra aver smarrito il suo senso, in attesa di una risposta che forse non può arrivare.

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Nell’incendio e oltre

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Nell’incendio e oltre accoglie l’ambiente immaginativo-espressivo del «repentismo cutise», dichiarato e iniettato nella lingua originaria del poeta, per la preminenza concessa al canto d’improvviso, per la libertà espressiva del dialetto, per l’equivalenza amore/morte o incendio, per l’identificazione e il crollo dell’essere nell’infinito, per l’infaticabile ricerca dell’oltre ad ogni costo. Simboli tellurici: il labirinto morbido dell’esistenza, le macerie di un mondo perduto, la costante dell’assenza, la lotta contro la malattia, la deriva dei valori quotidiani; veleggiano sull’oceano di questi versi, tra silenzi e urla, alla ricerca di un luogo ameno. Nell’incendio e oltre si spinge nei segreti di una lingua antidiluviana, violenta e pura, abbattendo lo steccato semantico che troppo spesso divide il sentire dell’uomo moderno.

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Non voglio morire

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Nell’interessante volume scritto da Luciana Maiolino, poliziotta impegnata sul campo, donna coraggiosa e sensibile, troverete tutte le indicazioni normative indispensabili per affrontare tematiche tanto importanti quanto complesse. Il lavoro certosino svolto da questa investigatrice di razza consente a quanti s’avvicinano a questi fenomeni criminali (di questo si tratta) di essere pronti ad affrontarli. Luciana Maiolino ha conosciuto, aiutato, consigliato decine di vittime dello stalking. Dalla lettura del testo si comprende con estrema chiarezza quanto rilevante sia l’apporto concreto che gli esponenti delle forze dell’ordine debbono assicurare a quanti denunciano gli stalker o le stalker.
Dalla Prefazione di Arcangelo Badolati

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Nuovi Colloqui con il padre e la madre

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Non trova requie il fitto colloquiare poetico di
Tommaso Lisi con il padre e con la madre. Né dà
tregua al lettore. E di ciò il lettore non può che essergli
profondamente grato. Nella nuova silloge,
intitolata, non a caso, Nuovi Colloqui con il padre e
la madre, a suggellare una continuità che attraversa
gli anni, il rammemorare/dismemorare, che è l’asse
portante dei versi, si connota più che altrove come
damnatio memoriae. È come se il poeta volesse richiamare
alla memoria, con dolorosa insistenza, le
ragioni di un duplice lutto mai interamente elaborato
e, soprattutto, il tripalium dei giorni dell’agonia
– che toccarono in sorte prima al padre e, in
tempo posteriore, alla madre – per rispecchiare in
essi una coscienza dolorante che non riesce a trovare
pace per l’insufficienza delle risposte date alle
interrogazioni di chi, in procinto di perdere la vita,
ai vivi ancora si aggrappava.

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Palazzo Sersale a Cerisano

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L’edilizia storica calabrese presenta numerosi esempi di valida architettura, sebbene si tratti spesso di costruzioni realizzate con materiali poveri e semplici. Gli elementi lapidei squadrati e rifiniti, venivano utilizzati, infatti, quasi esclu sivamente per quelle componenti dell’edificio più soggette a usura e degra do (soglie, architravi, piedritti, cantonali, cornicioni…) o per quelle poche compo nenti decorative (capitelli, colonne…). Essendo, tuttavia, la Calabria in ritar do di circa un secolo nell’acquisizione dei modelli architettonici, le sue architet ture rappresentano documenti interes santi per la conoscenza e l’interpretazione dei modelli tipologici originari del resto d’Italia. In questa occasione viene preso in esa me un palazzo di particolare valenza sto rica e artistica, situato nel comune di Ce risano a soli pochi chilometri dalla città di Cosenza. Un’indagine rigorosamente documen tata e una precisa ricostruzione storica, svelano la complessa storia di un palazzo che domina dall’alto l’antico borgo cala brese e confermano l’esistenza dell’edifi cio già nel XVI secolo. Palazzo Sersale a Cerisano è una residenza nobiliare rinascimentale e suburbana, che ebbe un ruolo di fondamentale importanza per l’intero territorio circo stante. Per molti secoli, fu infatti, centro di controllo e di gestione dell’intero feu do di Cerisano, Castelfranco (Castrolibero) e Marano (oggi Marano Principato e Marano Marchesato).

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Partecipare l’architettura

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Gli architetti operano troppo frequentemente senza relazionarsi con gli abitanti e riconducendone esigenze, desideri e creatività all’interno di logiche che uniformano le risposte.

Riportare l’operato del progettista all’interno delle comunità, riconoscere il positivo contributo che gli abitanti possono dare alla costruzione degli spazi, accettandone l’informalità dell’azione e del linguaggio, così come da alcuni architetti praticato, faciliterebbe il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione del “peso” ambientale e il riequilibrio tra insediamenti, luoghi e risorse.

I principali temi trattati sono i rapporti tra progettisti e comunità, i rischi della formalizzazione e dell’uniformazione, le modalità atte a garantire modelli insediativi migliori degli attuali attraverso il sostegno all’azione diretta degli abitanti e come tali modalità possano ridurre gli effetti negativi nell’ambiente, consolidare le relazioni sociali, favorire il benessere diffuso.

 

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Passi

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Questo libro, è il viaggio compiuto a ritroso, tra i severi sentieri
del tempo, di “una macchina senza motore”, per ritrovare,
con la consapevolezza piena dell’oggi, il senso del passato,
riaprire, con il bisturi dell’amore, le ferite di sempre e bagnarle
con l’acqua di un presente che, quasi miracolosamente, si apre
alla vita. Una rinascita, l’approdo di una tensione emotiva, di
una ricerca di sensazioni e sentimenti veri, che, presente fin
dalle prime pagine, è inizialmente avviluppata su se stessa,
mortificata tra le pieghe di un quotidiano senza nome, sterilmente
contratta e poi, lentamente ed inesorabilmente, si offre
nuda, intera, bagnata da una pioggia di emozioni forti, nuove e
fresche, che lavano via incertezze, dubbi, paure ancestrali.
Eugenio è un viandante instancabile, come instancabile è
la sua voglia di riappropriarsi della dimensione più autentica
e vera della vita, un uomo che il dolore ha reso carico di anni
ed affanni, maturo e saldo su agili gambe da ragazzo assetato
d’amore, quell’amore che è il filo conduttore di pagine indimenticabili,
dolci e struggenti, malinconiche e tenere, tra le

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Pastura

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Pastura, è il “pascere” all’aperto, l’erba di cui si cibano le mandrie, oppure un alimento spirituale?
Viaggiare tra i monti della Sila, verso il colle della Ginestra, e riscoprire tutto ciò che la Natura ci offre, dalle luci dell’alba e del tramonto ai riflessi del sole, dai colori ai sapori e ai profumi, dalle forme di vita nascosta, dall’ossigeno alle fonti d’acqua: è come vivere un sogno fantastico e indimenticabile.
Ormai il nostro autore Pasquale Talarico è entrato nel cuore di tanti affezionati lettori.
Strano personaggio, senz’altro, ma originale e creativo, capace di registrare e mostrare quelle realtà nascoste che i nostri occhi “non vogliono vedere”.
Incuriosiscono le profonde riflessioni su alcuni aspetti della vita che a volte possono sembrare banali o superati, ma che alla fine si mostrano attuali e interessanti.
Riflessioni sull’uomo che finisce “schiavo e prigioniero della sua stessa paura”, dell’angoscia di vivere e allo stesso tempo della paura della morte. È l’eterna e inevitabile lotta tra il bene e il male. Esiste anche la gioia di vivere, il tempo in cui l’uomo non deve aver paura della morte.  “Non aver paura della morte, quando ci sei, lei non c’è e quando lei ti è vicina, tu non ci sarai più, ma la paura della morte ti rende infelice: non aver paura della morte, lasciati guidare dai tuoi sentimenti…” (da Risveglio – poesie e riflessioni 2007 – A. Maglio, ed. Il Fiorino).
Intanto incontriamo il nonno e il nipotino, due generazioni diverse, lontane tra loro. Entrambi però amano cose indimenticabili che fanno parte della natura stessa dell’essere umano: gli alberi e i fiori, i colori e i profumi del paesaggio, il silenzio della campagna, dei monti e delle valli. È lo specchio dell’uomo che deve vivere in armonia con l’ambiente e la realtà che lo circonda, lontano dai sogni ingannevoli e virtuali che l’intelligenza artificiale trasmette alle giovani generazioni.
La vera felicità si trova affrontando con coraggio le avversità della vita a vera dimensione umana e non attraverso false forme di ideologie o di civiltà che fanno perdere di vista il bene comune e offendono la libertà e la gioia di vivere secondo la legge naturale.
Soprattutto “i saggi ed i soliti e solitari spiriti contemplativi”, spesso tormentati, sanno apprezzare il prezioso, unico e grande dono della vita; a tutto il resto ci penseranno il tempo che passa e la mano della Divina Provvidenza. È importante perciò non perdere mai di vista i veri valori umani e tenerli sempre vivi, senza confondere il sacro con il profano, senza mai perdere di vista il bene comune, la pace e la speranza nel futuro.
L’uomo è un soggetto inserito nella “natura”, e deve semplicemente svilupparsi “secondo natura”. Dalla storia e dal tempo non può ricavare niente che egli non abbia già. Deve liberarsi dalla storia per ritornare alla libertà della natura.

Antonio Maglio

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Pietro Bucci

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Questo libro raccoglie i contributi di varie persone che a dieci
anni dalla scomparsa di Pietro Bucci, ne hanno commemorato la
figura e le opere in un Convegno, tenuto presso l’Università della
Calabria. L’autore ha sicuramente colto negli interventi di colleghi,
allievi ed amici, gli aspetti fondamentali e caratterizzanti della
personalità di quest’uomo, che seppure non più presente
nell’immanente, rimane una figura vivida ed ispiratrice per tutti
quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di incrociare la
sua avventura umana. Emblematico è il titolo che l’autore ha
scelto. “Pietro Bucci: un ponte verso il futuro”. Chi ha conosciuto
Pietro, il prof. Bucci, il maestro Bucci, solo per un breve attimo
può chiedersi: Ma di quale ponte si tratta? Perché un ponte verso
il futuro? Verso quali territori ed obbiettivi ci porta questo ponte?
Poi la risposta non può che arrivare rapida e certa. In qualche
breve nota cercherò di precisare questo concetto. Mi piace innanzi
tutto sottolineare uno degli aspetti fondamentali emerso dal
convegno, che getta una luce importante sul personaggio e ne fa
in partenza una figura di grande rilievo umano, scientifico e, a
mio parere, anche storico. Tutti coloro che di lui hanno parlato, a
volte con tono commosso, hanno contribuito a mettere in luce gli
aspetti che facevano di questo uomo un emblema positivo del nostro
tempo che a tutti dispiace di aver perso in una fase ancora
così prematura della sua vicenda umana. Il primo elemento fondante
della personalità di Pietro era la capacità di interpretare la
propria vita in termini di gioco. Fin dall’inizio questo aspetto era
assolutamente determinante nel modo di vivere del giovane Pietro
Bucci.

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Pirandello e l’Europa

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Elaborati nell’ambito di una ricerca sul teatro del Novecento in Europa, i saggi raccolti in volume da François Orsini (docente di Letteratura Italiana nell’Università «Charles De Gaulle» di Lille 3) tendono innanzi tutto a mettere in luce la cifra espressionista – finora scarsamente esaminata e valutata dalla critica – delle opere drammatiche di Pirandello. Di qui la convinzione dell’utilità e opportunità di delineare preliminarmente un quadro il più possibile chiaro e completo delle caratteristiche essenziali dell’estetica espressionista, sia a livello di tematica che di traduzione drammaturgica. Ma tra gli influssi esercitati sul teatro di Pirandello non va certo trascurato quello del suo amico Pier Maria Rosso di San Secondo, vero e forse unico autore espressionista italiano. Il che spiega lo studio comparato compiuto da Orsini sulla produzione drammatica dei due scrittori siciliani, attraverso cui per la prima volta si indaga – in modo soddisfacente, pacato e originale – sull’incidenza del teatro di Rosso di San Secondo su quello di Pirandello, dopo che, sulla base di un giudizio critico fortemente radicato, si è continuamente asserito come ovvio il fenomeno contrario. Ma oltre a trovarsi accomunato alla cultura e all’arte tedesche del primo Novecento per via del suo espressionismo, Pirandello drammaturgo, nel volume di Orsini, acquista un’altra dimensione europea rilevante: quella francese. Ne consegue pertanto un’analisi approfondita delle ragioni del successo conseguito dal teatro pirandelliano sulle scene francesi dal 1922 ad oggi, con ragguagli precisi e interessanti su temi e situazioni ricorrenti nelle «pièces» dei drammaturghi d’oltralpe, ma anche sui riflessi – fin troppo evidenti nella fase della formulazione dei princìpi estetici da parte del giovane scrittore agrigentino – della lettura delle opere Essais sur le génie dans l’art (1883) e Les altérations de la personnalité (1892), rispettivamente di Gabriel Séailles e di Alfred Binet.

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Processo agli intoccabili

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La storia della mafia siciliana si può raccontare da punti di vista diversi. Uno dei più interessanti è quello di raccontarla attraverso gli atti giudiziari riguardanti l’iter di alcuni processi dai quali emerge l’esistenza di stretti rapporti tra persone appartenenti alla criminalità mafiosa ed esponenti di primo piano delle istituzioni e della politica. Un legame forte, che nel corso degli anni si è andato sempre più consolidando, fino al punto da rendere la mafia un’organizzazione straordinariamente potente con interessi in ogni parte del mondo. Tutto ciò è potuto avvenire anche grazie alla complicità di una magistratura che per lungo tempo non ha voluto vedere quello che era sotto gli occhi di tutti, per non disturbare i boss e i loro sodali. I giudici nelle aule dei tribunali si sono limitati a perseguire la manovalanza, lasciando impuniti i maggiori responsabili del dilagare della mafia, che ha così potuto allungare i suoi tentacoli in ogni settore della società. Solo da qualche decennio la magistratura ha cominciato finalmente ad alzare lo sguardo in direzione di quello che ai tempi di Falcone veniva chiamato il terzo livello portando alla sbarra personaggi in stretti rapporti con la mafia, fino ad allora ritenuti intoccabili.

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Professione medica

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Il testo raccoglie 41 racconti di vita professionale messi insieme da due colleghi ed amici, Giacinto Calandra e Lucio Aiello, innamorati della nostra professione e, perché no, anche degli attori della professione stessa: i medici. Entrambi i colleghi, infatti, nei loro curricula hanno in più mandati fatto parte dei Consigli direttivi dell’Ordine provinciale di Cosenza.
La lettura del testo è facile, interessante, molto piacevole. Come si può ben capire, si tratta di una serie di episodi di vita professionale che si sono svolti quasi tutti nella nostra provincia in un arco di tempo molto ampio, dal secondo dopoguerra sino ai primi anni di questo secolo…

…Da questi racconti emerge tutta la complessità e, nel contempo, il privilegio che caratterizza la nostra professione…

La lettura del volume è utile ai colleghi giovani e non solo sia perché potranno farsi un’idea dei fatti realmente avvenuti e della storia dei luoghi dove oggi essi stessi esercitano la professione, sia per i consigli che fra le righe si leggono nei  vari racconti

…Il consiglio più grande e sempre valido che traspare in molti racconti, è quello del parlare con i pazienti: molte difficoltà, si racconta in più episodi, si sono risolte grazie a questo metodo che è ancora più necessario ed utile di fronte alla medicina rivendicativa di oggi!
(dalla Presentazione)

A cura di Giacinto Calandra e Lucio Aiello

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Profili di Calabresi illustri

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Si tratta di personalità che dal ‘700 in avanti hanno illustrato in vario modo la nostra regione, contribuendo con la loro opera, in certo modo, a farla conoscere. È quindi una storia della Calabria che viene fuori da queste figure, ognuna delle quali ha in sé particolari caratteristiche. La serie di profili comprende una delle figure più rappresentative della cultura reggina, Domenico Carbone Grio, più noto nella sua veste di archeologo; dal 1892 al 1905 egli fu componente delle “Commissioni consultive conservatrici dei monumenti d’arte e di antichità” istituite con R.D. 7.8.1874 n. 2032; a lui e a De Lorenzo, Cesare Morisani e altri dotti del tempo nonché al grande Giuseppe Fiorelli, direttore generale delle Antichità e Belle Arti, si deve la conservazione di ciò che resta del nostro castello. Ricordiamo anche tra gli altri Salvatore Blasco, l’archivista nostro illustre predecessore nella direzione dell’Archivio di Reggio; lo storico per eccellenza di Reggio, Domenico Spanò Bolani, il nostro più illustre latinista Diego Vitrioli, Raffaele Piria, il chimico scillese membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, seguace di Garibaldi e poi ministro della Pubblica Istruzione nel governo Farini, il celebre avvocato Biagio Camagna, per sette legislature deputato reggino al Parlamento, capo della frazione camagnina contro quella del conservatore Tripepi (i “Tripepini”), Diomede Marvasi, cospiratore nel ’47, dopo l’Unità ministro della pubblica istruzione nel Governo provvisorio napoletano, giudice della Corte criminale di Santa Maria Capua Vetere e direttore del dicastero di polizia a Napoli, Paolo Pellicano, eminente figura di religioso, letterato e patriota.

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Pythagoras

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Il personaggio Pitagora è al limite tra il mitico e lo storico; sicura è la sua residenza a Crotone, città ch’egli prescelse per fondare la sua Scuola, accanto a quelle autoctone medica e atletica. Ad ogni modo, tutto il mondo presocratico è dominato ed influenzato dal suo pensiero. Attorno a Pitagora, che presenta molti tratti in comune con altre figure di sapienti visionari e maghi dell’età arcaica, si forma ben presto una ricca tradizione di aneddoti, volti a sottolineare la sua statura morale, filosofica e scientifica, spesso sconfinante nel divino. La mancanza di certezza delle sue indagini e ricerche è dovuta al fatto che di Pitagora non è giunto fino a noi nessun frammento diretto di suoi scritti. Tutto è riportato e riferito da altri. Nei secoli la sua figura è stata sempre più contaminata con fatti straordinari, mitici e non veri. Molto della sua vita e del suo insegnamento è stato inventato. Stabilire e discernere la veridicità di questi fatti è cosa ardua, ma è quello che cercherò di fare. Mi sforzerò di inquadrare storicamente l’uomo, il filosofo, lo scienziato, il Maestro Pitagora. La sua lunga vita, novant’anni (secondo alcuni sarebbe vissuto più di cento anni), è segnata da vicende che lo hanno visto sempre protagonista: il suo peregrinare per il mondo, la sua Scuola, le sue scoperte scientifiche e filosofiche, la sua famiglia, e anche la sua tragica fine. Ci siamo resi conto di avere a che fare con un gigante della Cultura umana di cui hanno discusso e parlato i suoi contemporanei e tutti gli studiosi successivi, fino ai giorni nostri.

 

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Quando i clandestini eravamo noi

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Con Prefazione di Mimmo Lucano

 

Le tragedie e le vicissitudini della nostra emigrazione che in questo libro Umberto Ursetta riporta alla nostra memoria, sono un monito contro la smemoratezza del nostro tempo. La mancanza di memoria è all’origine dei tanti episodi di razzismo, di odio e di xenofobia nei confronti di chi sbarca sulle nostre coste. È innegabile che stiamo vivendo un momento caratterizzato da una pericolosa regressione culturale che rischia di far precipitare la società in comportamenti sempre più disumanizzanti. Bisogna fare argine a questa deriva regressiva, e un modo per farlo è raccontare la nostra emigrazione che ha avuto una grande importanza nella storia italiana contemporanea.

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Quando l’Italia perse la faccia

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Conversazione con Francesco Kostner

Prefazione di Salvo Andò

Postfazione di Santo Emanuele Mungari

S’intitola “Quando l’Italia perse la faccia” – L’orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora, il libro-intervista che il penalista Raffaele della Valle ha scritto insieme con il giornalista Francesco Kostner, per i tipi di Luigi Pellegrini Editore, in occasione del quarantennale dell’arresto del presentatore genovese, avvenuto il 17 giugno 1983 su ordine della Procura di Napoli.
Il volume, che sarà disponibile in tutte le librerie a partire dal 15 giugno, ricostruisce la vicenda giudiziaria che travolse Tortora con l’accusa di far parte della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e con un ruolo di primissimo piano nel traffico della droga gestito dall’organizzazione criminale napoletana. Responsabilità gravissime e infamanti, apparse subito prive di fondamento (“Il più grande esempio di macelleria giudiziaria del nostro Paese”, definì il caso Giorgio Bocca), ma che non impedirono a Tortora, di essere condannato in primo grado a dieci anni di reclusione. Un’assurda e indimostrata impalcatura probatoria che cadde miseramente nel processo di Appello, conclusosi il 15 settembre 1986, per poi essere definitivamente smentita dalla Corte di Cassazione.
Oggi, per la prima volta in modo compiuto ed analitico, l’avvocato della Valle, che fece parte del collegio difensivo di Tortora insieme con il professor Alberto Dall’Ora e l’avvocato Antonio Coppola, racconta la storia giudiziaria assurta nell’immaginario collettivo a simbolo di una Giustizia contraria ai principi costituzionali e alle fondamentali regole di un equo ed equilibrato processo penale.

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Quando la ’ndrangheta sconfisse lo stato

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Introduzione di Arcangelo Badolati

Prefazione di Gianni Speranza

Particolari fino ad oggi sconosciuti. Aspetti intimi da un lato, ma anche di natura pubblica per ciò che rappresentava l’attività del sovrintendente Salvatore Aversa, ucciso dalla mafia insieme alla moglie a Lamezia Terme nel 1992. È quanto emerge da questo libro con la testimonianza diretta ed esclusiva del primogenito della coppia, Walter che, nel dialogare con l’autore, non si sottrare ad evidenziare i lati oscuri della vicenda, a partire dal racconto della supertestimone, Rosetta Cerminara. “Io sono sempre stato convinto che il suo racconto fosse ‘costruito’ in maniera da poter essere il più possibile preciso. Di sicuro oggi posso dire con assoluta tranquillità che quel processo ha avuto delle manine che lo hanno distratto, che lo hanno portato fuori binario. Io mi sono convinto dopo tutti questi anni che mio padre avesse avuto sentore di quello che si stava scatenando. Un ‘rimprovero’ lo faccio a chi, sopra mio padre, non aveva capito quanto era importante e che spessore avesse la criminalità a Lamezia”. Ma uno dei particolari più “scottanti” e sconosciuti all’opinione pubblica e alla stampa, è quanto accaduto poche ore dopo l’agguato mortale. “Tre uomini fecero ingresso a casa nostra, a poche ore dall’agguato. Due di loro, mai più visti, per un’ora e mezza rimasero chiusi nella stanza di mio padre. Cosa cercassero nessuno lo ha mai saputo”. Rimane un grande interrogativo “Chi ha fatto sparire le carte delle indagini su cui mio padre lavorava?”. Salvatore Aversa aveva capito che c’erano dei poteri forti, c’era qualche cosa di molto pesante che si stava organizzando contro di lui. La ’ndrangheta in quegli anni sconfisse lo Stato. Walter parla di “menti raffinate che lavoravano a stretto contatto con le famiglie criminali lametine e non solo”.

 

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Reggio Calabria e dintorni Vol.II

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La storia e la millenaria cultura della città di Reggio Calabria dalla fondazione di Aschènez all’età magnogreca e romana, dall’età bizantina a quella medievale, moderna e contemporanea. Un grande volume “tutto-immagine” che racconta l’antica e l’odierna nobiltà di una delle città più belle d’Italia e della città più grande, bella e rappresentativa della Calabria.

Nel volume primo: La storia / La città / Il Museo nazionale archeologico / La Cattedrale.
In questo volume: Le altre chiese / I dintorni / Indici.

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