
U figghiu du mercanti
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William Shakespeare ha tratto alcuni capolavori da novelle di autori italiani. Una è quella narrata per prima da ser Giovanni per bocca di Saturnino nella IV giornata del Pecorone. Secondo la tradizione essa fu ripresa da William Painter nel suo Palace of pleasure (1566) e così conosciuta dal grande drammaturgo e utilizzata come trama del Mercante di Venezia. Carlo Beneduci indica anche altre versioni antiche (in italiano, latino e francese) della novella, prima di soffermarsi dettagliatamente sull’ennesima variante costituita dal racconto calabrese – non ripetuto in altri contesti fol-klorici e tradotto in lingua da Saverio Strati nel 1982 – che Raffaele Lombardi Satriani raccolse dalla viva voce di un tal Giuseppe Russo da Vena Media, frazione di Vibo Valentia, trascrivendolo con il titolo ’U figghiu du mercanti prima di pubblicarlo nell’ottavo volume della sua Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi. Ma Beneduci – dopo aver messo in evidenza la straordinarietà del fatto che contenuti e categorie siano rimbalzati di generazione in generazione, attraverso secoli, per essere presenti alla memoria di un narratore incolto della prima metà del Novecento – avverte che la scoperta solleva non pochi interrogativi circa le corrispondenze formali e strutturali con gli esemplari maggiori, i valori espressi e i riflessi di essi sulla personalità e il tempo del narratore, la tradizione orale quale ipotetica fonte di rifacimenti letterari, gli scambi ipotizzabili in tal caso. A tali interrogativi vengono date nel volume risposte scientificamente plausibili quando non del tutto convincenti.

Un architetto racconta Domanico
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Questo lavoro, che ha origine dagli studi effettuati per la redazione del Piano di Recupero, può considerarsi un canovaccio su cui sono stati riportati appunti, documenti e considerazioni utili per fare luce sul passato di questa comunità di cui nessuno si è mai occupato. Vi si trova un po’ di tutto, dalle vicende storiche alla descrizione meticolosa delle chiese e dei fabbricati più rappresentativi, dai personaggi alle loro famiglie, con nomi, condizioni sociali e localizzazioni delle abitazioni, così come furono censiti nel catasto onciario del 1743, raccontato in modo semplice e diretto, spesso attraverso la riproposizione autentica dei documenti ritrovati. Si parla anche dell’organizzazione amministrativa che il paese ebbe in passato, delle condizioni economiche e sociali dei suoi abitanti, dell’articolazione urbanistica, delle strade, dei quartieri, degli sconvolgimenti che ebbe a subire nel corso dei secoli, sia per effetto dei terremoti che per la realizzazione di alcune opere pubbliche epocali. Un progetto iniziato tanto tempo fa, con la speranza di far crescere nella popolazione la consapevolezza dell’impor- tanza della propria storia anche attraverso la rivalutazione del proprio patrimonio edilizio come eredità da salvaguardare nell’interesse comune, di cui queste pagine vogliono essere la continuazione ideale.
Un calabrese con troppe Calabrie
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LA CALABRIA CHE LO SCIROCCO
La Calabria che lo scirocco sferza
non so se venendo o andando verso il mare.
La campagna ora arsa ora verde
con pompa magna d’aranceti e ulivi
è sempre qui, ingombra la mia anima,
la tesse e la distesse nei giulivi
pomeriggi d’estate, negli inverni amari
e tristi d’ore interminabili.
La Calabria che pretende amore
– e non sa bene se sia donna o falco –
io la sradico, la esalto, la sotterro,
la benedico e maledico e poi
la invoco: madre, tomba, cielo,
condanna, luce che non tramonta mai,
casa aperta sul mare,
mio rifugio eterno.
Un giorno il sole uscirà
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In questo libro si celebra la speranza. I ricordi che vi ho raccontato vogliono essere un devoto omaggio a mio padre, che ha tenuto sempre puntato l’ago della bussola di tutta la sua esistenza verso il sole della speranza. Per proseguire vincente nella lotta della vita, il suo motto era: un giorno il sole uscirà. Quando tramonta la speranza, arrivano lo sconforto, l’amarezza, l’abbandono. L’avvilimento e la rinuncia prendono il sopravvento sui sogni e sui progetti per il futuro. Con i cancelli della speranza aperti, ogni azione è protetta; si superano più facilmente gli ostacoli; si diventa più audaci e si raggiungono mete importanti; lo sguardo è rivolto sempre in alto. La speranza, dunque, è l’energia della vita di ogni essere che pensa. La speranza non è soltanto un sentimento individuale. Esiste, infatti, una speranza collettiva, che può essere riferita all’umanità intera, a una nazione, a un paese, o, più semplicemente, a una comunità, a un gruppo, a un’associazione. Quando i due tipi di speranza, individuale e collettiva, interagiscono in equilibrio, com’è accaduto per la famiglia creata da mio padre e mia madre, vale davvero la pena vivere.
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Un periòdico “fascista”: Il Mattino d’Italia y la sociedad argentina
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En un país como la Argentina, caracterizado por un fuerte impacto de la migración ultramarina entre fines del siglo XIX e inicios del XX, la función de la prensa en lengua extranjera adquirió un valor social, cultural, económico y político inevitablemente central, tanto a nivel simbólico como material. La parábola de Il Mattino d’Italia, cotidiano argentino fascista en italiano, se sitúa en una fase particularmente compleja de la historia argentina, en la que revistió un papel significativo. Este trabajo, basándose en el análisis sistemático de los números del diario publicados entre 1930 y 1944 y de documentación archivística y otras fuentes argentinas y extranjeras (italianas y estadounidenses), pretende indagar y profundizar desde perspectivas inéditas la historia del periódico. Una historia que, como surge de las páginas del texto, se configura además como la historia de un sector particular de la sociedad argentina en la década de 1930, entrelazándose de forma variada y compleja con la cultura y la política de Buenos Aires, así como del interior de la República.
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Un popolo una fede
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Giustina Aceto archeologa, archivista, bibliotecaria, si occupa da oltre quindici anni della ricerca e promozione dei santuari calabresi in Italia e all’estero.
Ha realizzato la prima classificazione giuridica-pastorale dei luoghi di culto nelle dodici diocesi della Calabria (2002).
Ha pubblicato molti articoli per riviste scientifiche e i seguenti volumi: I Santuari dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000; I Santuari dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001; Classificazione e Decreti dei Santuari Calabresi, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2002; I Santuari dell’Arcidiocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003; Alla Scoperta dei Santuari Calabresi: guida ai luoghi di culto, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009.
Nel 2005 ha fondato l’associazione Alla Scoperta dei Santuari Calabresi con lo scopo di far conoscere, attraverso attività culturali, una fitta rete dei luoghi di culto e di accoglienza.
Un sogno chiamato Ciampino
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Il genere umano, nel corso della storia, ha trovato di volta in volta modi diversi di abitare un luogo, seguendo le caratteristiche del territorio e del clima, modificandolo a seconda delle proprie esigenze e per le proprie finalità. Questo romanzo, attraverso le vicende personali di Dino e Giulia – prima – e di Giuseppe e Lorena – poi – segue l’evoluzione dai primi anni del ’900 fino agli Anni ’60 di quell’insediamento umano fatto della forza lavoro proveniente da tutte le regioni italiane, che, da una realtà contadina – campi sterrati e ampi vigneti – è diventato un centro urbano che oggi rivendica il suo posto nella storia, Ciampino. La distanza da Roma l’ha da sempre resa una zona franca di provincia. E le sue vicissitudini – dal primo dopoguerra coi suoi campi, l’aeroscalo e i dirigibili, il tentativo della realizzazione della città-giardino, fino al secondo dopoguerra, con gli sfollati in attesa di una casa e i primi servizi di istruzione – rappresentano bene il passaggio verso l’industrializzazione del paese. Ma “Un sogno chiamato Ciampino” vuole essere anche un omaggio alla città, a una dimensione collettiva che rappresenta più di quanto si è soliti raccontare. L’Autrice, Lina Furfaro, ciampinese d’acquisizione, ha messo a disposizione le sue ricerche storiche e antropologiche per mischiarle a una storia romanzata dove le vicende umane e sentimentali prendono il sopravvento. Ne viene fuori una riflessione intensa sulla natura umana e sulla sua condizione, anche in relazione alla terra. Il libro si apre, non a caso, con Pier Paolo Pasolini che, nei suoi tre anni di insegnamento alla scuola media “Francesco Petrarca”, vive la periferia romana che di lì a poco lo porterà a scrivere delle borgate e della piccolissima borghesia, dando vita a un legame tra la sua figura e Ciampino che da allora è diventato indissolubile. La veridicità testimoniale dei ricordi, la ricerca d’archivio e la penna sapiente e armonica, sempre delicata, di Lina Furfaro rendono questo libro una perla preziosa della scrittura, da custodire gelosamente sia per coloro i quali conoscono bene la realtà ciampinese sia per quelli che ignorandola possono trovare qui l’occasione giusta per scoprirla.
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Un tuffo nel passato
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Il libro, semplice e chiaro nella struttura e nel linguaggio, nasce
dalla voglia dell’autore di tuffarsi nel passato, per far sì che,
attraverso il racconto di fatti ed eventi, di luoghi e sensazioni, i
giovani possano riflettere su alcune tematiche che rappresentano
un sistema di valori intramontabili.
Giannino, il protagonista-narratore, vive la sua infanzia e
adolescenza in un piccolo paese del Sud dove gli anziani parlano
sempre di lavoro nei campi, di emigrazione, di guerra, ma nello
stesso tempo trasmettono con la loro saggezza insegnamenti di
vita.
Gli argomenti trattati spaziano dall’amicizia ai primi fremiti
d’amore, dai piccoli e grandi sacrifici alla gioia di vedere realizzati
i propri sogni, dal dolore per la lontananza e per la perdita di
persone care alla gratificazione di sentirsi felice per aver spontaneamente
dato più che ricevuto.
Si affrontano temi dolorosi e attuali come il rapporto genitorifigli,
la violenza, la solitudine, la disabilità, e si sperimenta l’accoglienza,
la fede, il perdono, la donazione di organi, la solidarietà
nei confronti degli altri.
Giannino è un ragazzo molto sensibile e disponibile verso gli
altri e lo dimostra nel suo piccolo, nei suoi gesti quotidiani offrendo
il prorpio tempo, mettendo a disposizione degli altri ore
della propria vita, la capacità di ascolto, il dialogo, l’amore, e
quando vede tornare il sorriso sul volto di chi ha aiutato non è
una soddisfazione da poco!

Una città di medici
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“Sono poco più di 200 i medici che, a partire dagli inizi del ‘900 fino ad oggi, sono nati a Paola o qui hanno deciso di stabilire la residenza per potere svolgere la loro splendida professione, la più bella del mondo. Se poi si aggiungono i medici non paolani (anche essi più di 200) che a partire dal 1970 hanno lavorato o lavorano tuttora presso l’ospedale San Francesco, ben si comprende perché Paola è “Città di medici”.
Così inizia il racconto della biografia di diversi medici paolani non più viventi, la cui memoria è importante mantenere viva perché fanno parte della storia della nostra città.
Il lavoro è il frutto di attente e documentate ricerche condotte in archivi e biblioteche familiari; alla sua realizzazione hanno contribuito lunghi colloqui e telefonate con i parenti dei medici citati e le testimonianze di persone che li hanno conosciuti e frequentati quando erano in vita.
Un breve capitolo è dedicato alla memoria delle Ostetriche comunali che in epoca precedente all’apertura del reparto ospedaliero di Ostetricia hanno fatto nascere generazioni di paolani.
Nella seconda parte del libro, l’Autore immagina “interviste e dialoghi impossibili” tra quattro medici paolani attualmente all’apice della loro carriera professionale e altri due non più viventi che hanno svolto la loro professione in epoche pionieristiche della Medicina, prima e dopo la seconda guerra mondiale, e in condizioni socio-sanitarie molto difficili.
L’Autore è certo che il Lettore accorto, sfogliandone le pagine, noterà che questo libro
“è qualcosa di più di una indagine, di un resoconto, di una ricostruzione puntuale e attenta di un pezzo importante della storia sociale della nostra città. È, sì, tutto questo. Ma è anche un romanzo storico e un trattato di medicina”. (Dalla “Prefazione” di Roberto Losso)
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Una storia italiana
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Prefazione di Elbano de Nuccio
Introduzione di Claudio Siciliotti
Il libro nasce da una rilettura, a posteriori, degli eventi che hanno caratterizzato la vita della Professione dei Commercialisti negli ultimi trent’anni, con particolare attenzione alle trasformazioni che hanno garantito alla Categoria la visibilità e la considerazione socio-politica che meritava. Si narra degli artefici del cambiamento e della loro capacità di interagire e relazionarsi in nome di un Bene comune, ma ci si sofferma, altresì, su quanto l’alterazione delle dinamiche interne e la rottura degli equilibri precedentemente raggiunti abbia prodotto effetti devastanti sulla stessa Categoria. A dimostrazione del fatto che i successi e gli insuccessi, in qualunque ambito, spesso sono determinati non tanto dagli attori protagonisti della storia e delle storie, quanto dai loro atteggiamenti, dalle loro relazioni e dalla loro capacità o incapacità di interloquire. Questa narrazione, dunque, vuole essere un monito ai giovani, non solo Commercialisti, oggi Protagonisti di questa e di tante altre storie simili, affinché siano capaci di progettare ed agire guardando al futuro, senza però dimenticare di cogliere nel passato le criticità su cui riflettere ma anche i grandi tesori da custodire.
Una storia politica
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Se mi decido a scrivere non è per rivendicare meriti e riscattare torti; non sono spinto da risentimenti e neppure da nostalgia. Anche perché, se guardo indietro, più che quel che ho compiuto, vedo quello che avrei dovuto fare e non sono riuscito a fare. Scrivo per sottoporre la mia esistenza a un esame, anzi a una prova del fuoco che consenta di distinguere in tutto ciò che ho fatto, soprattutto nella dimensione pubblica piuttosto che in quella privata, qualche cosa di buono e qualche errore. Scrivo per raccontare alla folla dispersa e viva delle compagne e dei compagni, la storia che hanno vissuto. Scrivo per ricordare i compagni scomparsi: Vincenzo Vattimo, Pietro Trimarchi, Nicola Brandi, Ferdinando La Regina, Giuseppe Galizia, Vincenzo Rossano, Giuseppe Cortese, Antonio Dorsa, Francesco Pappaterra e tanti altri che hanno lottato per il Partito Comunista Italiano e per Spezzano Albanese. A tutti racconto una storia politica recente, fatti di luci e di ombre, con la massima sincerità ed esponendo la verità dei fatti, nello sguardo soggettivo che è proprio a ciascuno di noi. Chiedo scusa a tutte le persone che cito, negli apprezzamenti come nelle critiche. Le cito perché, nella lotta comune o come avversari, sono protagoniste di questa storia che abbiamo vissuto insieme. Lo faccio, dunque, sicuramente senza nessun odio o rancore che, purtroppo, qualche volta hanno infuocato oltre misura la lotta politica. Ma con la passione che ha resa degna la Politica di impegno quotidiano. Passione che, per chi l’ha vissuta, solo il passare del tempo può raffreddare. Ma mai spegnere.
Una vita di fedeltà alla cultura
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A CURA DI FULVIO TERZI
Il libro, che contiene un centinaio di testimonianze di giornalisti, scrittori, autori, critici letterari, costituisce una sintesi di riassunti critici e di cronache del vissuto, riguardanti la produzione letteraria ed editoriale di Luigi Pellegrini, ha l’intento di offrire, attraverso un coerente livello espositivo basato sull’ ordinamento del vasto materiale esistente, un’adeguata comprensione dei contenuti e dei relativi significati comunicativi.
È, peraltro, un’iniziativa di notevole interesse per l’esperienza conoscitiva assunta attraverso gli approfondimenti di lettura e, nello stesso tempo, ardua per qualità e consistenza documentaria. Il tutto svolto con sincera e attenta dedizione, al pari del benevolo “conflitto” con il protagonista, circa la convenienza di inserire o meno nel testo parti di recensioni e articoli riguardanti il suo operato e il suo impegno, in relazione ai prologhi elogiativi e ai riconoscimenti assegnatigli per meriti professionali e culturali.

Una vita spesa bene
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Ripercorrere la vita di un uomo, discreto e onesto, votato al culto dei valori assoluti è come rivivere, attraverso immagini, sensazioni, entusiasmi e disillusioni il tempo di poco meno di un secolo, il Novecento, che lo vide tra i protagonisti per la conquista e la difesa della democrazia. Le umili origini, l’infanzia e gli studi, la grande guerra, il difensore dei diritti negati, la fraterna amicizia con Ferruccio Parri. E poi la lotta al fascismo, quella nella Resistenza armata lombarda, l’avveduto ed arguto giornalista, il dirigente nazionale delle associazioni di partigiani, il militante socialista, il ricercatore storico, sono le tappe che segnano la sua azione di uomo libero. Il libro, scritto “con linguaggio chiaro e coinvolgente, con il supporto di una grande quantità di documenti” si fa leggere quasi fosse un romanzo.
Uno sguardo al cielo
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Perché osservare il cielo stellato? Cosa è una costellazione e quali storie ci tramanda? Come ci si orienta usando gli astri? È facile distinguere un pianeta da una stella?
Se vi è capitato di alzare gli occhi verso le “luminose”, in una bella notte limpida, e nella vostra mente sono affiorati e riecheggiano simili interrogativi, allora questo è il libro che state cercando! Qui troverete delle risposte.
Il testo, scritto in maniera sintetica e fruibile, vuole essere il davanzale di una finestra che guarda al firmamento, e fornire elementi utili per un primo approccio (e non solo) verso alcuni dei tanti aspetti che ci può offrire la pratica dell’astronomia visiva: una delle esperienze più affascinanti che gli esseri umani possano compiere.
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Uomo infinito
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Giovanni Papini segnò un percorso preciso nella storia
della letteratura in quella del pensiero filosofico del Novecento.
Un percorso in cui la testimonianza diventa un rapporto
costante tra la vita e la letteratura, e la stessa letteratura,
diventa il più delle volte una dichiarazione esistenziale.
Il saggio di Mauro Mazza focalizza il percorso di Papini
all’interno di un processo di idee che ha segnato la volontà
di una generazione non solo ad essere testimone, ma soprattutto
protagonista. L’attualità e l’inattualità sulle quali
Mazza si sofferma, in una riflessione a tutto tondo su un
Novecento che comincia ad aprirsi ai nuovi “valori” e al
nuovo modello di uomo: da quello “finito” a quello della
“rivelazione”, costituiscono la chiave di lettura in una
temperie che ha vissuto l’intreccio tra moderno e tradizione
anche nel contemporaneo. Ma andiamo per ordine su questo
Papini di Mazza.
La Tribuna fu la sua prima palestra e il suo primo cenacolo.
Fu un laboratorio di idee e di incontri. Significativo
fu certamente il suo incontro con Giuseppe Prezzolini. E
significativi restano indubbiamente le esperienze e i contributi
alle riviste come Leonardo, La Voce, Lacerba, Il Frontespizio.
Per Mazza La Voce resta un crocevia fondamentale del
Novecento. E così è.
Vaganti… frammenti di io
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Un itinerario, quello dell’io, non esaurito o infranto
contro gli “scogli” del mare esistenziale in un
imprevisto naufragio sotto la sferza di onde ostili. Il
pericolo del sacrificio del tenace io poteva ritenere
compromesso, come temuto in altro momento… lirico,
il ritorno di identità di una realtà assediata dalle
spesse nebbie del dubbio. E la ricerca avviata a tutto
campo ha scoperto la presenza di diffusi frammenti
di io vaganti nell’aria. Una sorpresa che ha sollecitato
la necessità di cogliere, intercettandoli, questi atomi
in libertà.
Di qui la necessità di svelare, all’interno di ognuno
dei “frammenti”, le verità autentiche e profonde che
danno una risposta ai pressanti problemi esistenziali.
Non sono da ritenere estranee a questo contesto
tematiche di sempre viva attualità come la ritornante
crisi identitaria, il fluire incessante del tempo, il rapporto
con il mistero della morte… e il ruolo della
morale individuale e i suoi frequenti nessi con quella
pubblica. È qui che risiede, in buona parte, la ragione
dei versi della presente silloge di cui l’essenza è costituita
dalla problematica eterna dell’io e del suo non
facile articolarsi nella più profonda realtà personale
ed umana…
Vie di terra e di acqua in Calabria:
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l presente lavoro è il frutto della rielaborazione della tesi di dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali presso il Dipartimento del Patrimonio Architettonico e Urbanistico dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
Vita da precaria
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“Vita da precaria” è un contributo doveroso che sentivo di dare alla mia vita e a quella di tanti colleghi del “Programma stage” della Regione Calabria, un gruppo di persone che ha lavorato con contratti precari e rinnovi per ben quindici anni. In questo lasso di tempo sono successe tante cose. A me è capitato di cercare un senso esistenziale e trovarlo nella lettura e nella scrittura. Ho pubblicato con quest’ultimo dodici libri tra raccolte poetiche, romanzi, collaborazioni a raccolte di racconti, saggi e guide cineturistiche. Ho capito che uno svantaggio può diventare un punto di forza ma anche che “lo straordinario delle cose non ha il gusto o il bello dell’ordinario delle cose stesse che funzionano così semplicemente senza scomodare desideri, sogni, miracoli annunciati”. Eppure se le nostre vite richiedono di appellarci alla tenacia, alla lotta, alla resilienza estrema dobbiamo farlo perché in gioco c’è una posta altissima: vivere dignitosamente nella nostra amata terra di Calabria. “Che poi la Costituzione giuridicamente lega la dignità al lavoro ma ad andare più a fondo la dignità si lega a se stessa e chi è dignitoso lo è con o senza lavoro. Certo col lavoro è tutta un’altra storia da scrivere”.
Volando con Pindaro
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«L’intraprendenza, passione, lo stretto legame dei giovani con l’elettronica d’oggi: computer, telefonini, pone in disagio gli attori di un mondo più antico, romanticamente “vecchio”. Retrocedo a scolaro per cimentarmi con le nuove lettere dell’alfabeto moderno. Mi trovo perplesso di fronte ad una lavagna a me ignota, luminosa, munita di tasti, frecce, che registra whatsapp , voci, messaggi. Ti avvia ad un mare, ove, nocchiero, puoi navigare. Lo dicono “internet”. Offre gli approdi negli angoli più remoti del globo. Mi impegno a capire, analfabeta moderno, per imparare almeno a firmare! “Suonato”, come pugile seduto nell’angolo, mi rialzo, pronto a sprigionare ogni mia forza acquisita, concentrata su fogli sbiaditi dal tempo: appunti di storia, filosofia, fisica, storia dell’arte, le più recenti nozioni di anatomia, del Taoismo cinese: ricordi consumati negli stanzoni di un classicismo scolastico, universitario, autonomo, echi di voci auliche di docenti autorevoli, passati alla storia. Quanta polvere negli anfratti di un cervello invecchiato! Svolazzando come farfalla, mi poso su ognuno, commosso, li leggo, li esprimo su fogli più bianchi in toni, considerazioni, ironia dell’uomo nella tarda maturità, li offro alla critica, al giudizio degli altri. Nel risveglio di un sogno esprimo il mio futuro, la mia ricchezza, la mia applicazione. In fondo, danzando sul ring, restituisco i colpi nel mio linguaggio usuale.» (Dall’Introduzione)
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Werner Herzog
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«Ci servono immagini che siano conformi alla nostra civiltà e ai nostri condizionamenti più intimi. Dobbiamo scavare come archeologi ed esplorare i nostri paesaggi violati in cerca di qualcosa di nuovo». È questa frase di Werner Herzog uno dei punti di partenza del percorso del volume. Un percorso che riattraversa il cinema del regista tedesco come ricerca incessante di immagini nuove, che attingono però la loro potenza dal passato, che sono spesso nascoste, invisibili, che necessitano di un lavoro di scavo per venire alla luce. Immagini di per sé anacronistiche. È qui che il cinema herzoghiano incontra il pensiero di Aby Warburg e la sua straordinaria teoria delle immagini.
I concetti di Warburg – come quello di Orientamento, Polarità, Sopravvivenza, Intervallo – si rivelano allora potenti forme del cinema se rivisti a partire dalle immagini di Herzog. Le immagini in cammino, secondo un’idea di montaggio aperta a salti e nuove connessioni; le immagini danzanti, ipnotiche e capaci di evocare tempi diversi; le immagini che si elevano, che fanno del volo, dell’estasi (come anche della caduta e della catastrofe), il loro destino.
I vulcani de La Soufrière o di Dentro l’inferno, i fiumi di Aguirre o di Fizcarraldo, le montagne di Grido di pietra o Cuore di vetro, i corpi eccedenti e folli di tanti film herzoghiani diventano allora alcune delle forme con cui il cinema svela la sua potenza anacronistica, che lo rende ancora una volta un’arte contemporanea.
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