
Poesie del taschino
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La raccolta “Poesie del taschino” si forma nel corso degli anni, là dove l’autore sceglie di vivere.
Le settantadue poesie sono il frutto del rapporto con i luoghi in cui si trova: Milano, Firenze, Tropea, Parghelia non sono altro che la progressione della sua espressione poetica e di vita.
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Quello che viene dopo
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Un antico proverbio tibetano, citato più volte da Gianfranco Ravasi, recita «Il corpo dell’anziano è un prezioso scrigno di canti sacri».
È questo, il primo pensiero che risale alla mente nello sfogliare le pagine di questo agile libro, ultimo lavoro del poeta Erminio Maurizi. Fin dal titolo, Quello che viene dopo, si avverte fortemente il desiderio dell’autore di tracciare un solco tra l’esperienza passata e il futuro. La saggezza di Maurizi sceglie di descrivere, con il filtro di una poesia delicata e leggera come ali di farfalla, le esperienze del tempo presente.
La copertina ci rimanda ad un episodio del Vangelo di Luca, splendido e a volte trascurato, sebbene sia il Quarto Mistero Gaudioso del Rosario: l’incontro della Sacra Famiglia con il vecchio e saggio Simeone (Lc, 2, 22-35).
(da “Nunc dimitte” di Michele Giustiniano e Gianfranco Russo)
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Resistere a Messina
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Un libro, questo, che tenta di sottrarsi alle angustie dell’editoria accademica, perlopiù chiusa nelle gabbie specialistiche. Basti pensare che abbatte, per la prima volta nel mondo, gli steccati tra scrittura argomentativa, scrittura giornalistica e scrittura creativa, anche per rispondere a una viepiù avvertita e diffusa esigenza di leggibilità.
Vi si troveranno, espressi in forma chiara, discorsiva, i criteri basilari della didattica dell’italiano e della lingua italiana nonché gli attuali orientamenti della critica letteraria, insieme con le più recenti proposte di riforma della Scuola e dell’Università, ma anche espliciti interventi su fatti e protagonisti della politica contemporanea. Per non dire dei siparietti autobiografici o, comunque, di vita vissuta, che vivacizzano il testo.
Si apprezzeranno, anche per la loro estrema leggibilità, saggi critici illuminanti, antiimpressionistici, su scrittori italiani, antichi e moderni, ivi compresi i giovani (e i meno giovani) emergenti.
Solo uno sguardo io vidi…
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Nella storia della poesia italiana del Novecento Sandro Penna (Perugia 1906-Roma 1977) occupa uno spazio di impressionante invisibilità/visibilità ma diventa, tale spazio, incisivo. Ciò non deve sembrare una contraddizione, bensì uno stimolo ad approfondire la dimensione della poetica di Sandro Penna all’interno di una temperie ben definita e fortemente delineata in un “novecentismo”, in cui il “male di vivere” e la “grazia” di esistere coesistono sullo stesso tessuto sia poetico che esistenziale. Un linguaggio che si definisce nel verso e nel verseggiare ma anche nei rimandi e nelle eredità, ovvero nelle matrici letterarie e poetiche in modo particolare. Ebbene, Sandro Penna non è oltre e non è altro in un Novecento che ha assorbito (e assolto, forse) dissolvenze e inquietudini in una tela di ragno che intreccia maglie estetiche e processi culturali.

Songs and sonnets
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John Donne, uno dei massimi poeti inglesi, visse tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo: epoca di grandi fermenti e di intensi scambi. È un poeta che esprime, meglio di tanti altri, le tensioni della sua età e l’esigenza di allungare lo sguardo sulla vita, la cultura e la letteratura del Continente europeo, in particolare, dell’Italia, della Francia e della Spagna, paesi visitati dal poeta.
John Donne, che non aveva reciso del tutto le radici medioevali, avvertì, inevitabilmente, gli effetti dell’impatto col pensiero scientifico e critico della nuova cultura rinascimentale, profondamente segnata dal naturalismo telesiano, dal De Revolutionibus Orbium coelestium (1543), in cui Niccolò Copernico propone il sistema eliocentrico, in opposizione a quello geocentrico di Tolomeo e, nel campo della ricerca filosofica, dall’empirismo, teorizzato da Francis Bacon nel suo Novum Organum del 1621, che afferma l’importanza, ai fini della conoscenza, della percezione sensoriale, vagliate dalla critica dell’intelletto. Punto terminale di tale processo è il razionalismo di Descartes (XVII secolo), che afferma la funzione del pensiero come attività.
zIl XVII secolo, in cui forti sono ancora la coscienza e la cultura medievali, è un periodo nevralgico per la storia della civiltà inglese: il passaggio all’età moderna non è più procrastinabile. Nel campo della poesia è, appunto, John Donne che rompe, definitivamente, gli argini, accostando la Fede a certe verità obiettive, ad esempio, all’amore. Tale scelta fa emergere il conflitto tra passione e ragione, certamente, motivo di turbamento della coscienza dell’individuo; ma, d’altro canto, come si fa a pensare alla vita, prescindendo dall’amore e dalla passione, che sono verità connaturali all’essere? E John Donne, esaltando e valorizzando quest’ultima connotazione, risolve il dissidio a suo modo e, perciò, intreccia i temi dello spirito e dei sensi, e lo fa con assoluta naturalezza e senza reticenze. Lo spirito del Medioevo non si è, però, ancora spento, e il poeta si rende conto che certe questioni possono toccare la suscettibilità dell’individuo e, perciò, egli affronta tali argomenti con sincerità e chiarezza, ma da poeta autentico ed esperto, ricorre, con grande perizia, ad una pedagogia molto efficace, che non disdegna l’uso di strumenti di notevole effetto e suggestione, consolidati, ormai, nella poesia, come l’emblematismo, la similitudine, l’allegoria, la metafora. E l’esito è, in molti casi, straordinario, tale da garantire a John Donne un posto di assoluto preminenza nella letteratura non solo inglese.
A cura di Flavio Giacomantonio https://www.pellegrinieditore.it/book-author/giacomantonio-flavio/
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Zibaldone Norvegico
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«Scelsi la poesia lasciando perdere tutto il resto, vivo in Norvegia dal 1957, la mia lingua quotidiana è il norvegese, la lingua italiana l’ho adoperata completamente per scrivere. Il vangelo adoperato come poetica. Mia moglie ha avuto quattro figli avendo una vagina particolarmente esplosiva, dopo lavorato in fabbrica mi rinchiudevo in una cameretta e mi preoccupavo solo della scrittura … il sottoscritto poeta è tanto delinquente che se la ride di tutto il nostro male … Corpi di reato reperibili: Poesie blasferiche e tutte sgraffigniate».
Se c’è una cosa che più di tutte è riuscita a Luigi Di Ruscio è mettere in difficoltà non solo i suoi lettori, ma anche i critici, persino gli studiosi che più di altri lo hanno sostenuto e apprezzato … Come capita in tutti gli autori classici ha continuato a scrivere sempre lo stesso libro approfondendo gli identici temi.
ANGELO FERRACUTI
Di Ruscio è stato il poeta ruzzante di un corpo titanico mai separato dalla vertigine dell’anima e dalla materiale quotidianità dell’esserci per la vita, fino alla morte. La sua ostinazione etico-politica, il suo comunismo fragorosamente poe- tico, unito alla sua olimpica trascuratezza per le strategie letterarie, hanno fatto il resto.
MAURO F. MINERVINO
Prefazione di Angelo Ferracuti
(Nota di Mauro F. Minervino)[koo_icon name="undefined" color="" size=""]
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