Collana Repaci

Gratifica particolarmente la nostra casa editrice la decisione di riproporre ai lettori la corposa e variegata produzione letteraria di Leonida Repaci, certamente uno dei figli migliori e più autentici della Calabria del secolo scorso: socialista, antifascista, scrittore, saggista, poeta, drammaturgo e giornalista di vaglia nel panorama italiano del suo tempo.

L’idea di questa iniziativa si colloca nel contesto delle celebrazioni per il settantesimo anniversario della “Luigi Pellegrini Editore” (1952/2022), e di tale importante appuntamento rappresenta senza dubbio una delle tappe più significative e di maggiore portata culturale.

Repaci – peraltro legato da sentimenti profondi di stima e amicizia al fondatore della nostra casa editrice, Luigi Pellegrini – e la sua consistente opera, in larga parte di profilo autobiografico, ma ricca di suggestive ambientazioni storico-sociali e di acuti approfondimenti tematici, strettamente legati ai problemi e alle vicende della sua terra, riflettono con compiutezza e originalità l’obiettivo che ha via via accompagnato il nostro cammino: agganciare l’idea di un Mezzogiorno dinamico e avanzato alla formazione di una robusta identità etica e di una solida coscienza civile.

Cominciamo, dunque, questo cammino, con un lavoro inedito, “I fatti di Palmi” – Autodifesa al processo di Catanzaro del 1925, abilmente curato da Natale Pace, tra i maggiori conoscitori di Repaci.

Si tratta dell’arringa pronunciata dallo scrittore davanti alla Corte d’Appello di quella città, che lo vide imputato insieme con i fratelli Giuseppe, Gaetano e Francesco, e i cognati Francesco Parisi e Vincenzo Mancuso. Un’accorata autodifesa contro le accuse fasciste di aver fomentato i tafferugli accaduti quell’anno nella cittadina tirrenica in occasione della Varia. Ma anche il riflesso del clima oppressivo e intimidatorio instaurato dal regime mussoliniano, che aveva cancellato ogni speranza di mantenere il nostro Paese nell’alveo della democrazia e della libertà.

“…mi pare si chiamasse Mancini”

Vent’anni fa, l’8 aprile 2002, moriva Giacomo Mancini, esponente di spicco del Partito socialista italiano, di cui fu anche segretario nazionale, e più volte ministro della Repubblica. Più che mai opportuno, quindi, in occasione di questo anniversario, riproporre l’intenso excursus politico-amministrativo tracciato dal figlio Pietro nel volume “…mi pare si chiamasse MANCINI…”, che la nostra casa editrice ha pubblicato nel 2016, in occasione del centenario della nascita dell’ex leader socialista. La sua lunga esperienza politica è stata suggellata da passaggi e tappe di grande prestigio. Deputato dal 1948 fino al 1992, Mancini è stato Ministro della Sanità nel primo governo Moro (4-12-1963/22-7-1964), Ministro ai Lavori Pubblici nel secondo (22-7-1964/23-2-1966) e terzo governo Moro (23-2-1966/5-6-1968) e nel primo (12-12-1968 / 5-8-1968) e secondo (5-8-1969/ 27-3-1970) governo Rumor, Ministro del Mezzogiorno nel quinto governo Rumor (14-3-1974/23-11-1974).
Come Ministro della Sanità, impose il vaccino Sabin, che debellò la poliomielite in Italia. Come Ministro dei Lavori Pubblici, combattè la speculazione edilizia, intervenendo per denunciare, alla Camera, i “fatti mostruosi" di Agrigento, per salvare l'Appia Antica di Roma ed in numerose altre occasioni tanto da ottenere il riconoscimento, unanime, del Parlamento Italiano che, unico esempio, nella storia d'Italia di tutti i tempi, gli conferì la Medaglia d'Oro per la sua attività. Completò l'Autostrada Milano- Napoli, fece costruire la Salerno-Reggio Calabria, la Roma-Civitavecchia, la Roma-Aquila-Pescara e tante altre sedi stradali, in ogni parte d'Italia, avviando la costituzione di un enorme patrimonio di infrastrutture, tra le quali porti (Gioia Tauro) e aeroporti (Lamezia Terme), oltre a difendere Venezia dall'abbassamento del fondo marino, la Torre di Pisa dalla sua pericolosa inclinazione, Firenze dall'alluvione, che l'aveva devastata, nel novembre del 1966. Mancini creò la Commissione Nazionale di Studi contro il degrado idrogeologico, presieduta dal prof. De Marchi, i cui risultati sono, ancora oggi, gli unici, che abbiano offerto un quadro completo dei gravi problemi di degrado, che persistono. Sul fronte culturale, infine, il suo impegno fu determinante per la costruzione, ad Arcavacata (CS), dell'Università della Calabria e per la pubblicazione, nel 1973, del primo quotidiano, realizzato nella regione, “Il Giornale di Calabria", diretto da Piero Ardenti. Il 5 dicembre 1993 venne eletto Sindaco di Cosenza, il primo scelto direttamente dai cittadini, riconfermato, con un voto plebiscitario, nel 1997. Accusato nel 1994 di concorso esterno in associazione mafiosa da alcuni magistrati di Reggio Calabria, venne assolto perché il fatto non sussiste dopo un lungo e doloroso percorso giudiziario che lo vide, tuttavia, determinato a difendere la propria onorabilità, il prestigio e la considerazione unanimi conquistati nel corso della sua lunga esperienza parlamentare e di governo. Oggi, in occasione del ventennale della scomparsa, la riproposta del volume scritto dal figlio Pietro rappresenta un doveroso omaggio ad uno dei maggiori protagonisti della scena politica calabrese e meridionale.

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