
Un giorno di Dicembre
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Chi ha vissuto in prima persona la vicenda umana di Gianluca
Sciortino e della sua famiglia trae dalla lettura di questo
lungo racconto sensazioni intense e dolorose. Così è capitato
a me. Ho rivissuto nella mia mente un lungo flashback
che mi ha ricondotto ad una lunga e dolorosa vicenda personale.
Nella vita di Nino Manfredi e nella mia è arrivato un giorno
in cui, all’improvviso, tutto è cambiato: un malore, la corsa
in ospedale verso un destino sconosciuto, la porta della
rianimazione che si chiude. Una porta al di qua di una soglia
invalicabile, come il limite che divide la vita dalla morte.
C’era un gioco nella nostra vita coniugale che Nino faceva
con me ogni sera quando lasciava la mia camera da letto.
Nel darci la buona notte rimaneva in uno stato di sospensione
e, con la sua area fanciullesca, diceva “chiudo?”. Ma l’idea
di chiudere quella porta tra noi gli procurava angoscia come
se avesse terrore di non riuscire a vincere il buio della notte.
E, proprio come era accaduto nel suo fim “Per grazia ricevuta”,
Nino, per superare l’incognita delle tenebre, si era
costruito rudemente la statua del suo “amico” protettore,
Sant’Eusebio, mettendosela accanto al letto. Solo così finalmente
cedeva al sonno. Il priore del convento, nello scoprire
il suo segreto, lo costrinse a mettere la statua in cantina.

Un nuovo cammino
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La sofferenza esiste in ogni essere, è come una malattia che va curata attraverso l’auto-conoscenza e l’auto-realizzazione del vero sé.
Dopo aver imparato come si possa trasmutare la negatività, dopo averla conosciuta attraverso la propria interiorità e focalizzato la fonte della sofferenza, si può iniziare finalmente a vivere come raccontano le pagine di questo libro.
Un’autobiografia dell’autore autentica e intensa, fatta di momenti difficili e complicati che hanno segnato un discrimine significativo nella sua vita. Perché da qui, da questo punto di rottura, è iniziata una nuova fase esistenziale ricca di felicità.
Un periòdico “fascista”: Il Mattino d’Italia y la sociedad argentina
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En un país como la Argentina, caracterizado por un fuerte impacto de la migración ultramarina entre fines del siglo XIX e inicios del XX, la función de la prensa en lengua extranjera adquirió un valor social, cultural, económico y político inevitablemente central, tanto a nivel simbólico como material. La parábola de Il Mattino d’Italia, cotidiano argentino fascista en italiano, se sitúa en una fase particularmente compleja de la historia argentina, en la que revistió un papel significativo. Este trabajo, basándose en el análisis sistemático de los números del diario publicados entre 1930 y 1944 y de documentación archivística y otras fuentes argentinas y extranjeras (italianas y estadounidenses), pretende indagar y profundizar desde perspectivas inéditas la historia del periódico. Una historia que, como surge de las páginas del texto, se configura además como la historia de un sector particular de la sociedad argentina en la década de 1930, entrelazándose de forma variada y compleja con la cultura y la política de Buenos Aires, así como del interior de la República.
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Un piccolo “grande” ospedale
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“Paola, la città col nome di donna, delicato e breve (Mauro F. Minervino, La Calabria brucia, Ediesse 2009, p. 78), la mia città, merita un “grande” Ospedale. Penso che un ospedale sia “grande” quando i suoi dottori (dal latino docere, insegnare) abbiano molte cose da insegnare e tante altre di cui discutere.
Ho lavorato sedici anni al San Francesco (due da studente e quattordici da medico) dal 1970 al 1986 e qui ho conosciuto molte persone che mi hanno insegnato tante cose, con molte altre abbiamo discusso di tutto il resto, e non erano solo medici.”
Così inizia il racconto della storia di questo ospedale, dei suoi medici, infermieri, suore, impiegati e altri operatori sanitari (quasi tutti citati nel corso della narrazione), che in 45 anni hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo di questa bella struttura sanitaria, oggi necessaria ancora più di ieri per la conservazione della salute dei cittadini di Paola e di tutto il territorio del Tirreno cosentino.
Nella seconda parte del libro l’Autore, dopo un lungo e paziente lavoro di ricerca in archivi di stato, biblioteche comunali e di privati cittadini, di consultazione di giornali d’epoca, di raccolta di testimonianze e interviste a storici e persone di cultura, racconta la storia “probabile” degli antichi ospedali paolani a partire dal XII secolo (la Badia di Fosse) fino alle soglie della 2^ guerra mondiale (l’ospedale distrettuale del S. Agostino). Si sofferma, poi, su tutte le attuali realtà sanitarie di Paola, dai Donatori di sangue, agli Amici del cuore, dall’Associazione diabetici alla Croce Rossa, dall’Associazione dei medici di Cure primarie alla Clinica S. Chiara, alle Farmacie paolane delle quali si è celebrato nel 2014 il Centesimo anniversario della loro istituzione, e così via.
Non dimentica, infine, nessuno dei circa 200 medici che dall’inizio del Novecento fino ad oggi a Paola sono nati o qui hanno esercitato o tuttora esercitano la loro nobile professione e tutti li cita in un lungo elenco, frutto della collaborazione con l’Ordine dei medici di Cosenza. Il libro termina con le “Storie parallele” in cui sono rappresentati i principali avvenimenti storici, politici, sanitari che si sono succeduti contemporaneamente nel mondo, in Italia e a Paola a partire dagli anni ’50 (epoca di inizio dei lavori del piccolo “grande” ospedale) fino ad oggi.
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Un popolo una fede
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Giustina Aceto archeologa, archivista, bibliotecaria, si occupa da oltre quindici anni della ricerca e promozione dei santuari calabresi in Italia e all’estero.
Ha realizzato la prima classificazione giuridica-pastorale dei luoghi di culto nelle dodici diocesi della Calabria (2002).
Ha pubblicato molti articoli per riviste scientifiche e i seguenti volumi: I Santuari dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000; I Santuari dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001; Classificazione e Decreti dei Santuari Calabresi, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2002; I Santuari dell’Arcidiocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003; Alla Scoperta dei Santuari Calabresi: guida ai luoghi di culto, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009.
Nel 2005 ha fondato l’associazione Alla Scoperta dei Santuari Calabresi con lo scopo di far conoscere, attraverso attività culturali, una fitta rete dei luoghi di culto e di accoglienza.

Un posto nel mondo
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L’intreccio tra la migrazione in Italia e la pratica della scrittura letteraria in lingua italiana accomuna le donne le cui storie, raccolte in lunghe interviste biografiche, sono presentate e analizzate in questo volume.
La migrazione può configurarsi come esperienza di sradicamento e di solitudine, anche in ragione delle forme di esclusione attive nella società d’approdo. Ma la pratica della scrittura, nella nuova lingua, può essere strumento attraverso il quale costruire nuove appartenenze e sentire di poter avere, ancora, «un posto nel mondo», come afferma una delle donne intervistate.
Le biografie raccolte mettono in crisi l’immaginario egemonico sulle “donne migranti”, popolato da stereotipi in cui si intersecano assunti razzisti, sessisti ed eurocentrici. L’esperienza della scrittura in migrazione viene interpretata e discussa come una pratica di soggettivazione, una pratica cioè attraverso la quale le donne migranti cessano di essere soggetti narrati e si rendono soggetti narranti, potendo così contribuire a ri-nominare e ri-significare i processi di costruzione e reificazione dell’alterità.
«Questo è un libro in cui la sociologia è vivente. Promuove e articola la percezione di uno scarto fra le esperienze di chi questo mondo lo abita e i modi in cui le narrazioni più correnti le deformano. Promuove e articola curiosità e critica. È un libro molto bello. Io spero che lo leggano in tanti».
Dalla Prefazione di Paolo Jedlowski
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Un pupazzo nel buco
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Nello scenario di Vallerosa, fittizia cittadina meridionale
peraltro raffigurata mediante tratti rapidi ma alquanto
espressivi, si svolge la vicenda di Carlo, giovane docente
di Lettere diretto alla volta di Pizzo Calabro, luogo ‘reale’
eppure destinato a restare sullo sfondo e consegnato, così,
alla medesima sfera immaginaria nella quale è situata Vallerosa,
che diventa giocoforza la meta del viaggio intrapreso
dal professore. Questi, peraltro, è reduce da una fallimentare
esperienza matrimoniale, foriera di un profondo
senso di scacco contro il quale, appunto, egli cerca di opporre
la ‘smemoratezza’ di una vacanza i cui esiti saranno,
invece, assolutamente diversi da quanto comunemente reputato
dall’immaginario collettivo, compreso quello del
protagonista.
Tutto ha inizio con l’interruzione di un tratto autostradale
che costringe Carlo a deviare la rotta e a trovarsi, così,
catapultato in un posto di cui ignorava l’esistenza: mentre
sta percorrendo una delle strade alla ricerca di un percorso
alternativo, viene letteralmente folgorato dalla vista di una
donna bellissima che suscita in lui il desiderio di conoscerla.
Inizia una sorta di pedinamento che si conclude felicemente:
grazie ad un pretesto, invero neanche particolarmente
originale, l’uomo consegue il suo scopo e, al di là delle
più rosee prospettive immaginabili, ella accetta di recarsi
con lui a cena la sera stessa. Dopodiché

Un secolo di sport
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Ho tracciato un viottolo a colpi di penna.
E chissà che un domani a qualcuno verrà
l’uzzolo di approfondire, ciò che io ho abbozzato.
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Un tracciato di lacrime
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Un percorso formativo e iniziatico alla vita è quello
del giovane Teo che, giovanissimo pastore di pecore
rintanato, quasi in maniera claustrofobica, in un piccolo
borgo della Calabria, cammina lentamente per scoprire
le sue origini, quella “parte buia della sua storia e quella
del Massaro che l’aveva cresciuto ed amato come un figlio”.
Massaro e Ragazzo sono i termini che il narratore
adopera per descrivere la storia dei due protagonisti; una
storia fatta di fatiche e pesantezza fisica e psicologica
che si dipana attraverso una matassa complessa perché
il Massaro, giunto ad un’età particolare, quella dei “riflussi,
delle rivisitazioni, del resoconto” e, risentendo di
molti acciacchi fisici, sente il bisogno esistenziale di raccontare
al Ragazzo/Teo la storia di una strana adozione
avvenuta quasi casualmente: “mentre pascolavo le pecore,
udii piangere un bambino, che trovai avvolto dentro
un panno di tela bianca. Lo presi in braccio e mi recai a
bussare alla porta del convento. Avrei voluto consegnarlo
ai frati ma…loro mi spiegarono se non mi fossi occupato
di allevarlo, sarebbe finito presso una casa di carità”.

Un tuffo nel passato
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Il libro, semplice e chiaro nella struttura e nel linguaggio, nasce
dalla voglia dell’autore di tuffarsi nel passato, per far sì che,
attraverso il racconto di fatti ed eventi, di luoghi e sensazioni, i
giovani possano riflettere su alcune tematiche che rappresentano
un sistema di valori intramontabili.
Giannino, il protagonista-narratore, vive la sua infanzia e
adolescenza in un piccolo paese del Sud dove gli anziani parlano
sempre di lavoro nei campi, di emigrazione, di guerra, ma nello
stesso tempo trasmettono con la loro saggezza insegnamenti di
vita.
Gli argomenti trattati spaziano dall’amicizia ai primi fremiti
d’amore, dai piccoli e grandi sacrifici alla gioia di vedere realizzati
i propri sogni, dal dolore per la lontananza e per la perdita di
persone care alla gratificazione di sentirsi felice per aver spontaneamente
dato più che ricevuto.
Si affrontano temi dolorosi e attuali come il rapporto genitorifigli,
la violenza, la solitudine, la disabilità, e si sperimenta l’accoglienza,
la fede, il perdono, la donazione di organi, la solidarietà
nei confronti degli altri.
Giannino è un ragazzo molto sensibile e disponibile verso gli
altri e lo dimostra nel suo piccolo, nei suoi gesti quotidiani offrendo
il prorpio tempo, mettendo a disposizione degli altri ore
della propria vita, la capacità di ascolto, il dialogo, l’amore, e
quando vede tornare il sorriso sul volto di chi ha aiutato non è
una soddisfazione da poco!

Un vento dall’urlo selvaggio
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Un’atmosfera onirica, quasi fiabesca avvolge le prime
pagine di questo romanzo. Un sogno che si avvera. L’emersione
dalla soffocante condizione di povertà, da parte anche
di uno solo dei membri di quella classe contadina meridionale
di fine Ottocento, può essere concepita come la rivalsa
di un intero ceto sociale, perennemente tenuto sotto il giogo
di una sorte avversa. Ma le vicende umane sopraggiungono
con il loro impeto a piegare la testa di chi aveva osato
inorgoglirsi.

Un viaggiatore tra borghi e città
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Perché questo libro? Perché ho voluto proporre un percorso storico e culturale, che è stato un viaggio suggestivo, molto spesso non facile. Ho visitato luoghi, borghi e città da un fascino straordinario. Questi sono stati i miei compagni di viaggio. Un viaggio questo alla scoperta delle nostre debolezze, delle nostre capacità e di luoghi a molti di noi sconosciuti. Questo mio libro vuole essere un percorso che superi l’antico e affermi il nuovo. Spero che queste pagine coinvolgano il lettore nello scoprire paesaggi e luoghi affascinanti, interessanti e ricchi di memorie culturali e storiche. Per me il viaggiare è il sapere della conoscenza, come afferma anche in questo suo scritto l’antropologo francese Marc Augé: “Forse uno dei nostri compiti più urgenti consiste nell’imparare di nuovo a viaggiare, eventualmente nelle nostre vicinanze, per imparare di nuovo a vedere”.
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Un’altra vita
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Percorrere i labirinti sepolcrali di un cimitero come fossero sentieri di parco e raccogliere nelle testimonianze dei morti l’idea della vita. In questi elementi apparentemente contraddittori si sviluppa il lavoro di Giuliana Traverso che rifuggendo la facile lettura del monumento-documento (esercizio di stile fotografico diffuso e comunque apprezzabile quanto tuttavia ripetitivo e per certi versi scontato) realizza un album di visioni attraverso la scomposizione delle figure.
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Un’etica minima per un pianeta in via di estinzione
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Cosa può e che cosa non può l’etica1
Se seguiamo il discorso dei grandi Maestri delle voci più recenti del dialogo odierno, Karl-Otto Apel e Jürgen Habermas, la filosofia può essere letta anche attraverso la sua natura linguistica, ove diventano decisivi il discorso e la comunicazione intersoggettiva. Il discorso (Apel), interpretato nella sua struttura linguistica, si eleva a istanza etica, a luogo privilegiato di fondazione e di norme e principi etici.
Non si tratta nel nostro caso specifico, però, di un risalimento a una istanza con pretese di fondamento scientifico o metafisico in senso ontologico o classico si pensi a tutta quella serie di assolutismi nella premodernità e successivamente nella modernità che hanno appesantito anche il piano etico di un discorso etico libero e differenziato. Quel che qui si presenta è un tentativo post-ontologico che rinvia non a ismi, m alle sue stesse premesse logico-linguistiche

Una città di medici
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“Sono poco più di 200 i medici che, a partire dagli inizi del ‘900 fino ad oggi, sono nati a Paola o qui hanno deciso di stabilire la residenza per potere svolgere la loro splendida professione, la più bella del mondo. Se poi si aggiungono i medici non paolani (anche essi più di 200) che a partire dal 1970 hanno lavorato o lavorano tuttora presso l’ospedale San Francesco, ben si comprende perché Paola è “Città di medici”.
Così inizia il racconto della biografia di diversi medici paolani non più viventi, la cui memoria è importante mantenere viva perché fanno parte della storia della nostra città.
Il lavoro è il frutto di attente e documentate ricerche condotte in archivi e biblioteche familiari; alla sua realizzazione hanno contribuito lunghi colloqui e telefonate con i parenti dei medici citati e le testimonianze di persone che li hanno conosciuti e frequentati quando erano in vita.
Un breve capitolo è dedicato alla memoria delle Ostetriche comunali che in epoca precedente all’apertura del reparto ospedaliero di Ostetricia hanno fatto nascere generazioni di paolani.
Nella seconda parte del libro, l’Autore immagina “interviste e dialoghi impossibili” tra quattro medici paolani attualmente all’apice della loro carriera professionale e altri due non più viventi che hanno svolto la loro professione in epoche pionieristiche della Medicina, prima e dopo la seconda guerra mondiale, e in condizioni socio-sanitarie molto difficili.
L’Autore è certo che il Lettore accorto, sfogliandone le pagine, noterà che questo libro
“è qualcosa di più di una indagine, di un resoconto, di una ricostruzione puntuale e attenta di un pezzo importante della storia sociale della nostra città. È, sì, tutto questo. Ma è anche un romanzo storico e un trattato di medicina”. (Dalla “Prefazione” di Roberto Losso)
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Una città una rivoluzione
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Lo spazio pubblico è al contempo lo spazio fisico che nelle città permette ad estranei di entrare in contatto e lo spazio relazionale dove l’opinione pubblica si forma e si manifesta. A Tunisi per oltre vent’anni questo spazio, sottoposto ad un feroce controllo poliziesco, era riservato ai simboli e alle manifestazioni inneggianti alla dittatura di Ben Ali: la Rivoluzione del 14 gennaio 2011 che lo ha messo in fuga ha avuto come primo esito la riconquista dello spazio pubblico.
Il libro analizza in che modo una rivoluzione ha cambiato il paesaggio urbano di una capitale. Includendo nello stesso sguardo le trasformazioni semantiche, estetiche e simboliche visibili nelle strade, nelle piazze, sui muri e le nuove pratiche sociali osservabili sui marciapiedi, nei caffè, nei luoghi della cultura e in quelli della politica, vuole mostrare la stretta relazione che si dà tra spazio fisico e pratica politica.
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Una Donna del suo Tempo
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When Frances G. Fahy outlined her draft project for a
novel set in our town I was immediately interested not only
because of Maida’s central role in history but, above all,
because a real-fantasy work of this type could be a motivating
force for young people in search of their origins and curious
about the “Palace” life of our onetime rulers.
The story is intriguing, it evolves swiftly around the central
character, Ippolita. An innocent girl, a strong-willed woman,
a ruler among her people, with her people in her fight for the
renewal of her beloved Maida.
The story is romantic but harsh, tender but at the same
time dramatic. Cholera, earthquakes, hunger, misery, are the
background to relationships and violent passions that are only
hinted at.
The author calls her “a woman of her time” a woman
who struggles between her upbringing at Court and her desire
to face life outside the boundaries of Court formalities. This
novel makes us want to close our eyes and go back in time,
to walk through the narrow streets of the town and visit the
majestic castle, the churches, the convent. Seeing the nobility,
the prestige, the solemnity of Maida just a century and a half
ago through the pages of a novel cannot but rouse the interest
of the reader.

Una lacrima… nell’universo
[wc-ps]
Massimo Veronese, scrittore non di professione, dà l’impressione di raccontare un sogno, ma, di fatto, racconta un incubo: la vita avvistata come una grande fiaba d’amore, poi, ritrovata in un tunnel di cui si può indovinare solo l’uscita lontana e quasi impossibile. L’esistenza come esperienza tragica: questo è il nucleo duro del romanzo del giovane autore, che esordisce su un tema non infrequente nella letteratura del nostro tempo e che, contro ogni attesa, perviene ad una sua ferma originalità per l’inesausta ellissi della sua parola, che tocca vicende e le trasforma in smarrimento dell’essere. Un torrenziale flusso interiore, come è proprio del grande romanzo esistenziale. Ed è a questo torrenziale flusso interiore che si deve la qualità nuova di una prosa non arrestata da punti, punti e virgola, virgole. Veloce, sussultoria, frenetica, disorganizzata nelle sue strutture canoniche, e solo ordinata dal cuore che intende affrettare la meta. Una novità e una rarità nel quadro della letteratura corrente. Pasquino Crupi