Sertorio a quattromani
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“La strada” è spesso stata nell’immaginario collettivo sinonimo di avventura, viaggio, conoscenza di sé, con l’inevitabile rischio dell’autodissoluzione e dello sperpero. Un’esperienza di formazione che può riuscire o fallire o, infine, fallire tragicamente.
Via Sertorio Quattromani, la strada di Cosenza sulla cui denominazione i due autori hanno scelto di costruire il Witz del titolo, è invece tutt’altra cosa. Non è forse neanche una strada, ma uno snodo, un punto di passaggio, una porta spazio-temporale che mette in comunicazione due mondi, due città e soprattutto due tempi.
(dalla Prefazione di Raffaele Perrelli)
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Sfera pubblica il concetto e i suoi luoghi
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La sfera pubblica è una rete di discorsi pubblicamente accessibili che riguardano questioni di interesse collettivo. Non è esattamente un “luogo”, ma ha bisogno di luoghi in cui dispiegarsi. Possono essere luoghi fisici (come un caffè, una piazza o una sala riunioni) oppure virtuali (come un blog o un forum di discussioni sul web). All’esame di questi luoghi, e di come la sfera pubblica vi si adatti man mano, è dedicato questo volume. Il libro si compone di sette saggi in stretto dialogo l’uno con l’altro. I primi illustrano il concetto di sfera pubblica, rifacendosi in particolare alle teorizzazioni di Habermas e alle discussioni che hanno generato. Quelli successivi esaminano le molteplici e a volte contraddittorie manifestazioni della sfera pubblica nel corso della storia e ai tempi di Internet. Scritti di Olimpia Affuso, Gabriele Balbi, Carmelo Buscema, Giuseppe Civile, Simona Isabella, Paolo Jedlowski, Antonio Tursi, Francesca Veltri.

Sfruttati e sfrattati
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L’Italia postunitaria inizia il suo cammino con una menzogna
calcolata fino al millimetro contro il Mezzogiorno, le
Isole, la Calabria. Questa prima menzogna calcolata è che il
fausto sistema fiscale, esteso tal quale dal Piemonte al Sud, fu
dettato, determinato, necessitato, anche sul piano morale, dal
fatto che la savoiarda regione s’era indebitata per finanziare le
liberatrici guerre d’indipendenza nazionale, e per ciò stesso i
fratelli del Sud, che si erano limitati per il «bene inseparabile»1
dell’unità italiana a una salasso di sangue, dovevano contribuire
all’opera di risanamento delle disastrate finanze. Ma vero
era piuttosto che, secondo quanto scrive Guido Dorso, “il
primo atto della tragedia si aprì con l’unificazione del debito
pubblico nazionale.

Sguardi, maschere, soluzioni
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l volume nasce con l’intento di analizzare alcuni testi nei quali il motivo dello sguardo si intreccia a quello della seduzione, attraverso una serie di nessi che imprimono all’agire dei personaggi, e alla vicenda stessa, un decorso obbligato. Seduttori e sedotti sono perlopiù accomunati dalla progressiva incapacità di percepire concretamente la realtà circostante: così, essi, in occasione dell’atto seduttivo, tendono ad indossare una maschera simbolica che, però, ne confonde l’identità concorrendo ad offuscare ulteriormente il loro sguardo, e a vanificare, al tempo stesso, qualunque tentativo di attenuare gli effetti ammaliatori conseguenti alle liturgie affascinatrici. Da Verga a Tozzi, attraversando D’Annunzio, Deledda e Pirandello, si snoda la ricerca di costanti e variazioni di questi temi, peraltro molto diffusi nell’ambito della produzione letteraria otto-novecentesca, pure contraddistinta dall’attenzione, sempre meno episodica a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, che gli artisti dedicano all’atto del vedere e alle relative implicazioni.
Simboli della tradizione Islamica
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L’opportunità di un repertorio delle voci più rilevanti del lessico tradizionale islamico si è resa ormai necessaria, non solo nel quadro di un costante approfondimento suggerito dal proliferare di pubblicazioni a carattere scientifico e, ancor di più, divulgativo, sul mondo islamico. Una disamina della complessa realtà odierna dell’Islam appare, per esempio, sempre più in primo piano nella cronaca di un giornalismo, talvolta impreparato, dinanzi all’esigenza di una conoscenza obiettiva della realtà da parte dell’opinione pubblica. Chiarire il reale contenuto di certe espressioni poco note o, addirittura, tradotte dai mass-media in un’ottica fuorviante, diviene perciò doveroso poiché risponde all’istanza di sgombrare il campo dai luoghi comuni e dai facili stereotipi che una volontà d’informazione piuttosto superficiale ha potuto, e può, in qualche caso favorire. Occorre, inoltre, restituire compiutamente il senso cruciale di alcune espressioni che, se estrapolate dal loro contesto specificamente religioso, rischiano di essere pericolosamente banalizzate, favorendo poi la nascita di perniciose incomprensioni, destinate a degenerare nell’intolleranza.

Sindaco per passione
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La mafia è un fenomeno complesso e articolato, ma in buona
parte riconducibile ad alcuni dei più rilevanti tratti della
cultura siciliana. Noi siciliani siamo i primi a dover imparare
ad accettare questo fatto. Farlo non significa dare adito ad interpretazioni
di stampo deterministico e razzista, già ampiamente
diffuse tra le pieghe dei discorsi di tanti autorevoli commentatori
e sedicenti opinionisti. Infatti, la nostra cultura è,
contemporaneamente, matrice di efferate nefandezze come di
meravigliosi e generosi atti di sacrificio. Come tutte le culture,
anche la nostra, è ambivalente e complessa; e riconoscere che
essa, nello stesso momento in cui partorisce eventi di inaudita
grandezza, può generare anche terribili misfatti, è il modo migliore
per tentare di porre rimedio a quest’ultimi e valorizzare
i primi. L’operato di Nino Di Guardo, per molti versi, incarna
ed esemplifica, dandogli corpo, questo principio. Cercherò di
spiegare il significato di questa mia affermazione.
Troppe volte gli studiosi dei fatti umani dimenticano che il
modo migliore, forse l’unico, per conoscere una cultura consiste
nell’analizzare le pratiche sociali e linguistiche (spesso coincidenti)
vigenti in quella cultura. Leggendo attentamente il libro
di Nino Di Guardo si capisce perfettamente che l’autore ha
appreso questa lezione, l’ha fatta sua. Non intendo dire che
l’abbia appresa intellettualisticamente, come si fa sui banchi di
scuola o nelle facoltà universitarie; queste cose si apprendono
vivendole; rendendole parte del proprio corpo; esperendo un
vissuto concreto e pratico, sebbene intriso di teoria (la Cultura
e la riflessione su di essa).
Singolo Articolo in Pdf
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Al momento dell’aquisto nelle note inserire: Titolo e Autore dell’articolo e numero della rivista.

Smatrimoniati
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Il lettore si tranquillizzi: non è, questo, un libro
sul matrimonio scritto da una giurista. Ma è molto
di più: un libro sul matrimonio, e sulla sua fisiologica
fragilità, scritto da una giurista con uno spirito
di osservazione umano, che va oltre l’architettura
dei codici per regalarci pagine godibili, da una prospettiva
alta e interna allo stesso tempo. Come si
fa? Con il gusto dell’assurdo e del surreale, reso in
maniera intelligente, utilizzando il non plausibile
per spiegare. Un paio di secoli fa, Nikolaj Gogol’
ci raccontava di un naso che, non volendo più stare
sul volto dell’uomo cui era stato destinato, scappava
per le vie di San Pietroburgo. Oggi, Maria Grazia
Masella scrive di un matrimonio che, sullo sfondo
di una crisi coniugale, non visto né ascoltato, soffre,
strepita, non vuole morire, e dunque cerca di
frenare la propria agonia in mezzo alle vicissitudini
dello sgretolamento della coppia, tra lui e lei
che si dividono i mobili, i bambini che piangono
e i ricordi d’amore che evaporano. Operazione arguta,
quella di umanizzare il matrimonio, che così
diventa non più somma di due volontà ma sintesi di
due vite, e poi di altre ancora quando ci sono i figli
di mezzo

Sociologia delle cornici
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Erving Goffman occupa un posto speciale all’interno del discorso non solo della sociologia in generale, ma anche della nuova scuola di Chicago, considerato accanto all’impostazione di Herbert Blumer, il cui oggetto di studio è la contestualità del significato, e all’impostazione di Manfred Kuhn che ha come oggetto di riflessione gli aspetti strutturati della vita sociale, egli ha teorizzato soprattutto la dimensione drammaturgica legata ai processi di interazione e comunicazione interpersonale a partire dalla vita quotidiana. Osservatore acuto, apparentemente in antitesi alle spiegazioni globalizzanti della realtà, descrive e analizza la socialità concretamente vissuta, appunto la quotidianità o normalità, le particolarità dell’interagire a partire da un doppio originale e fondamentale interrogativo. In Goffman, siamo per un verso di fronte alla domanda sull’origine di un ordinamento sociale significativamente interpretabile nell’agire dell’uomo; per altro verso di fronte alla domanda sulle condizioni che rendono possibile il mantenimento di un tale ordinamento sociale. Questo doppio interrogativo sposta l’oggetto dell’analisi sociologica sul terreno della situazione comunicativa o dell’interazione, o meglio sui rapporti sintattici tra le azioni di persone interagenti. Il lavoro di Massimo Cerulo, presentato dal sociologo Paolo Jedlowski specialista di storia della sociologia e non solo, ha come oggetto principale di trattazione Frame Analysis, riconosciuto come lo studio più importante di Goffman, incentrato sull’organizzazione dell’esperienza, e in cui i soggetti sociali confrontano percezioni e interpretazioni della vita sociale all’interno di una serie mobile di «cornici». Non c’è, infatti, comunicazione se non all’interno di un contesto o frame in cui, come Cerulo mette in rilievo nel suo lavoro di ricostruzione dell’approccio goffmaniano, il contenuto della comunicazione deve pur essere interpretato.

Sognatore di algoritmi
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Il mondo è un grande intreccio…. piccolo e fitto di opportunità per ritrovare nell’altro un po’ di se stessi Quale sarà la memoria del vissuto di questi anni tenuto conto che la comunicazione è sempre più virtuale ed effimera? Sms, chat line, webcam, hanno preso il posto delle lettere e solo le email, se conservate, potranno restituire un piccolo “tesoro”. È ciò che Laurie e Désirée troveranno nel 2035 in un “vecchio” cd-rom. Al suo interno un “Diario” molto speciale che le trasporterà, silenti spettatrici di pagine riservate, indietro nel tempo attraverso una fitta corrispondenza di “lettere informatiche” tra Antoñejo e Jodie. Email conservate pazientemente in ordine cronologico, inviate ed attese come antiche missive, alle quali “allegare” racconti, articoli, quotidianità ma soprattutto emozioni, sentimenti, riflessioni e soffi poetici. Un uomo e una donna, due vite allo specchio, iniziano il loro viaggio parallelo per uno scherzo algoritmico generato da un motore di ricerca, divenendo esploratori di tematiche sensibili (politica, guerra, criminalità, violenza sull’infanzia e sulle donne, Shoah, legge Basaglia) e reconditi desideri dell’animo. A fare da cornice la tecnologia ed il suo linguaggio, dove sogno ed algoritmo rappresentano le facce di una stessa medaglia ed i puntini, uniti nell’immaginario dell’infinito…. che sospendono ed attendono … “un mondo reale dell’inconscio”.

Solo andata
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Il titolo richiama il viaggio in treno che portò l’autore da Cosenza a Roma, ancora bambino, per scelta dei genitori, che avevano deciso di vivere nella “ grande città”. Quella scelta, l’Autore non l’ha mai sentita sua e il legame con Cosenza ha pesato molto, addirittura fuori misura e si è tradotto in una testarda fedeltà che ha attraversato il tempo dello studio, del lavoro e della famiglia.
Il ritorno è stato ripetutamente cercato e alla fine è sembrato che potesse finalmente realizzarsi.
La riscoperta della realtà, però, in questo caso la natìa Cosenza è sempre molto diversa da quella percepita con la lente della memoria.
La conclusione dell’Autore è che, anche nel suo caso, il ritorno da difficile è diventato impossibile e questa conclusione si motiva con il racconto della città di come era e di come oggi è diventata.
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Solo uno sguardo io vidi…
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Nella storia della poesia italiana del Novecento Sandro Penna (Perugia 1906-Roma 1977) occupa uno spazio di impressionante invisibilità/visibilità ma diventa, tale spazio, incisivo. Ciò non deve sembrare una contraddizione, bensì uno stimolo ad approfondire la dimensione della poetica di Sandro Penna all’interno di una temperie ben definita e fortemente delineata in un “novecentismo”, in cui il “male di vivere” e la “grazia” di esistere coesistono sullo stesso tessuto sia poetico che esistenziale. Un linguaggio che si definisce nel verso e nel verseggiare ma anche nei rimandi e nelle eredità, ovvero nelle matrici letterarie e poetiche in modo particolare. Ebbene, Sandro Penna non è oltre e non è altro in un Novecento che ha assorbito (e assolto, forse) dissolvenze e inquietudini in una tela di ragno che intreccia maglie estetiche e processi culturali.

Songs and sonnets
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John Donne, uno dei massimi poeti inglesi, visse tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo: epoca di grandi fermenti e di intensi scambi. È un poeta che esprime, meglio di tanti altri, le tensioni della sua età e l’esigenza di allungare lo sguardo sulla vita, la cultura e la letteratura del Continente europeo, in particolare, dell’Italia, della Francia e della Spagna, paesi visitati dal poeta.
John Donne, che non aveva reciso del tutto le radici medioevali, avvertì, inevitabilmente, gli effetti dell’impatto col pensiero scientifico e critico della nuova cultura rinascimentale, profondamente segnata dal naturalismo telesiano, dal De Revolutionibus Orbium coelestium (1543), in cui Niccolò Copernico propone il sistema eliocentrico, in opposizione a quello geocentrico di Tolomeo e, nel campo della ricerca filosofica, dall’empirismo, teorizzato da Francis Bacon nel suo Novum Organum del 1621, che afferma l’importanza, ai fini della conoscenza, della percezione sensoriale, vagliate dalla critica dell’intelletto. Punto terminale di tale processo è il razionalismo di Descartes (XVII secolo), che afferma la funzione del pensiero come attività.
zIl XVII secolo, in cui forti sono ancora la coscienza e la cultura medievali, è un periodo nevralgico per la storia della civiltà inglese: il passaggio all’età moderna non è più procrastinabile. Nel campo della poesia è, appunto, John Donne che rompe, definitivamente, gli argini, accostando la Fede a certe verità obiettive, ad esempio, all’amore. Tale scelta fa emergere il conflitto tra passione e ragione, certamente, motivo di turbamento della coscienza dell’individuo; ma, d’altro canto, come si fa a pensare alla vita, prescindendo dall’amore e dalla passione, che sono verità connaturali all’essere? E John Donne, esaltando e valorizzando quest’ultima connotazione, risolve il dissidio a suo modo e, perciò, intreccia i temi dello spirito e dei sensi, e lo fa con assoluta naturalezza e senza reticenze. Lo spirito del Medioevo non si è, però, ancora spento, e il poeta si rende conto che certe questioni possono toccare la suscettibilità dell’individuo e, perciò, egli affronta tali argomenti con sincerità e chiarezza, ma da poeta autentico ed esperto, ricorre, con grande perizia, ad una pedagogia molto efficace, che non disdegna l’uso di strumenti di notevole effetto e suggestione, consolidati, ormai, nella poesia, come l’emblematismo, la similitudine, l’allegoria, la metafora. E l’esito è, in molti casi, straordinario, tale da garantire a John Donne un posto di assoluto preminenza nella letteratura non solo inglese.
A cura di Flavio Giacomantonio https://www.pellegrinieditore.it/book-author/giacomantonio-flavio/
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Sono morto redattore
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“Sono morto redattore” è la storia di un giornalista professionista che dopo venti anni decide di cambiare vita e passare all’insegnamento. Una scelta dolorosissima, dettata dalla necessità, che ancora oggi lo fa soffrire. Le sue avventure (tragiche, comiche ed ironiche) si incrociano con quelle di tanti altri giornalisti di serie B, senza tante speranze per il futuro ma innamorati persi di questo mestiere. Ci sono i dietro le quinte della vita di redazione, i personaggi, gli incontri e le avventure che hanno formato il protagonista del racconto, i colleghi morti sul campo, gli amici mafiosi finiti ammazzati, in carcere o che si sono pentiti, le tante rinunce per servire sua maestà la notizia. Mille e una vita di professionisti dell’informazione, dove il giornalismo ne esce per quello che è: il più bel lavoro del mondo, dove però la maggior parte dei lavoratori della carta stampata combatte per arrivare a fine mese, dove ex direttori e bravi giornalisti d’un tratto si ritrovano per strada senza uno straccio di contratto, dove si può servire per anni lo stesso giornale ma “morire” da semplice redattore, senza cioè alcuna promozione sul campo. Il protagonista a un certo punto lascerà la redazione per provare a rinascere professore. Un trapasso velocissimo, da una vita lavorativa comunque straordinaria a un’altra forse più ordinaria, ma altrettanto stimolante. E con la consapevolezza di essersi saputo creare una via di fuga.
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Sono sbagliata
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È il racconto della vita di una “brava bambina” che cresce appunto brava, educata ed adeguata agli standard stabiliti e che non si ribella mai o quasi mai se non esplodendo in pianti e urli che sono il suo unico sfogo. Cresce con la sicurezza che farà grandi cose nella vita e volerà lontano per realizzare i propri sogni, le proprie speranze e soprattutto i propri desideri. Sogna, come le principesse delle fiabe, di incontrare un giorno, e sposare un principe azzurro bello, ricco e affascinante che la salverà dai mali del mondo e la porterà sul suo cavallo bianco in un bel castello incantato. La storia che racconto ovviamente non appartiene ad una sola Rosa ma piuttosto ad UNA o NESSUNA o CENTOMILA Rosa che in un momento problematico della propria vita, hanno smesso, senza rendersene conto, di essere libere e hanno pensato che fosse più comodo e semplice, delegare ad altri la gestione della propria vita e dunque della propria libertà, che magari avevano conquistato nell’arco degli anni, combattendo contro luoghi comuni e divieti educativi e che inconsapevolmente lasciano scivolare in cambio di una presunta facile libertà purtroppo degli altri e non certo della propria. Ad indurle a tale sciocca delega, contribuiscono quelle frasi che, rigettate con forza da bambine, irrompono con virulenza e invadono la psiche.
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Sophie e Lulu
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“È così bello seguire i propri sogni, spero che li terrete sempre nei vostri cuori per tutta la vita… e, ricordate, se ci credete davvero, i vostri sogni non vi deluderanno mai, anzi, col tempo si realizzeranno in misura maggiore rispetto alle vostre aspettative!”
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Soriano Calabro – Cumprunta
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Vi sono riti che si perpetuano da secoli, caratterizzati da una profonda intensità tramandata nel tempo, simbolo di una cultura che è riuscita a mantenere intatte le proprie peculiarità. Per i sorianesi, la fede nei valori della Chiesa cattolica è anche emozione e sentimento che porta l’uomo a vivere eventi che si ripropongono ciclicamente perché intrisi di amore sacro. Il legame unico che unisce Soriano al rito magico-sacrale della Cumprunta ne è la dimostrazione.
Cumprunta è l’incontro tra la Vergine del Santissimo Rosario e il Figlio Risorto, in scena Domenica di Pasqua sul corso trapezoidale di via Roma a Soriano Calabro. Demologia, etnostoria, cronaca di un evento, in cui lo spazio geometrico diviene spazio antropologico. Ad essa è legato l’apogeo e il declino del Santuario Domenicano. Caleidoscopio di immagini, umori e sensazioni che oscillano tra il sacro e il profano, passione e devozione verso i simulacri da parte della Confraternita del Rosario e di tutto il popolo sorianese. Storia di un paese rinato dopo l’immane catastrofe del 1783.
Soriano Calabro identità simboli memorie strategie del ricordo
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Il tempo si dipana sul filo della memoria attraverso la quale l’uomo crea storie reali e immaginarie di eventi che producono senso, norme e valori, dentro un mondo in cui narrazioni e metanarrazioni non si esauriscono nel vissuto, ma traspongono nel sognato, nel detto, nel narrato. Gli scritti contenuti in questo volume, mirano ad approfondire gli aspetti di una cultura tramandata da consuetudini locali. Espressioni pervenute dal messaggio cristiano, fenomeno logicamente rappresentato nella sua omogeneità, oltre che dalla fede, da usanze paraliturgiche e da credenze popolari, intorno a cui ruota tuttoggi l’universo religioso e la cultura della gente di Soriano.
Sorvoli
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In Sorvoli le poesie sono percorse da una sorta di alterazione della realtà, di tormento irrisolto. Le cose, il paesaggio, il tempo stesso sono trasfigurati in immagini e metafore inusuali che possono sembrare azzardate, ma che in verità hanno solo l’intento di ridefinire, in un linguaggio sobrio quanto originale, la realtà stessa.
Il nuovo libro di poesie di Tiziano Broggiato si struttura idealmente in tre macrosezioni: la prima si potrebbe intitolare I fantasmi di ognuno, poiché è incentrata sul senso dell’incompiuto, sul rammarico di ciò che avrebbe potuto essere, ma che per scelte unicamente personali, non è stato. La seconda, concentrata in un unico poemetto dal titolo Il sonno di Lindbergh, sviluppa il tema della solitudine prendendo spunto dall’impesa del leggendario pilota americano che per primo, nel 1927, attraversò con un volo in solitaria l’oceano Atlantico. Per la terza e più ampia sezione, che si potrebbe convogliare in L’uomo confuso, sono le incombenti incertezze del mondo ad assillare e attirare l’autore, il quale decide di osservare le cose, gli accadimenti, le notizie profuse dai media e dai social, da una posizione di continuo movimento, tra il credere e il non credere, tra essere e non essere. Ritorna qui, come nella parte iniziale del libro, il momento in cui la piena dei fantasmi, delle quotidiane pressioni rischia di confondere anche la coscienza.
Sotto la luce fredda
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Ho trascorso l’intera vita tra corsie e sale operatorie curando i malati. Se escludo appunti di tecniche o di patologie rare, non ho mai scritto un vero diario, per la convinzione che, rileggendolo dopo tempo, i sentimenti, le emozioni e, forse, anche la verità, non sarebbero più gli stessi e assumerebbero valore diverso rispetto al momento dei fatti. Di tanto in tanto, però, quand’ero testimone o attore di episodi fuori dall’ordinario, cedevo alla tentazione di annotare qualche sfogo momentaneo. Dopo tanti anni, ho ritrovato alcuni di quegli appunti e, dopo lunghissima riflessione, ho ceduto alla tentazione di metterli insieme. Ne sono nati questi racconti, sotto forma di esperienza nella sanità raccontata a mio figlio, come accenno nel Prologo.
Dire che in circa quarantacinque anni ne ho viste tante è un luogo comune di scarsa valenza, pertanto, non intendo narrare di quelle tante, ma soltanto raccontare qualcosa che di solito rimane sepolta e inaccessibile nelle pliche della memoria…
…I personaggi hanno lo stesso nome in tutti i racconti. Tanto può essere considerato il segno di una narrazione unitaria, della quale ogni racconto è un capitolo. Nel carattere e nei movimenti, essi sono creati dalla mia fantasia, pur ispirandomi a personaggi esistenti e fatti accaduti. Non è riportato il tempo, anche se a volte può essere dedotto. Le storie possono essere attribuite a quasi tutte le città e aziende sanitarie d’Italia. Se qualcuno ritenesse di individuare elementi di riconoscimento, va considerato casuale…
…Il titolo sotto la luce fredda è tratto da uno dei racconti, e richiama le lampade scialitiche che illuminano i campi operatori, dette in gergo “luci fredde”. Lascio al lettore l’interpretazione metaforica.
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