Figli Difficili
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La scrittura di Michele Prisco presenta, sin dal suo apparire sulla scena letteraria italiana all’indomani della seconda guerra mondiale, motivi afferenti al Neorealismo, anche se lo scrittore non li condivide in modo pedissequo, per cui l’adesione alla realtà della borghesia campana è deformata dalla presenza di elementi tipici di certo ‘fantastico’ novecentesco, appena accennati e, pertanto, particolarmente affascinanti.
In tale ottica si colloca Figli difficili, romanzo edito per la prima volta nel 1954 nella collana “Sidera” della casa editrice Rizzoli, che offre uno scorcio narrativo di grande suggestione attraverso la rappresentazione di alcuni personaggi riuniti nell’attesa del ritorno di Maddalena, allontanatasi alcuni anni addietro da casa. La circostanza aziona un imprevedibile meccanismo fondato sull’affiorare di ricordi, inattese rivelazioni, ossessive e, spesso improbabili, difese di atti compiuti obbedendo a ‘logiche’ alquanto personali, a lasciar emergere il volto di un gruppo familiare lacerato da profondi risentimenti, nonché di un tessuto sociale contraddistinto da un’ipocrisia immedicabile, in cui si può riscontrare, altresì, il fallimento di una generazione giovanile connotata da una superficialità dai tratti inquietanti, del tutto incapace di valutare gli effetti prodotti dal secondo conflitto mondiale. Il romanzo, il terzo della produzione narrativa dello scrittore partenopeo, attesta la sua attitudine a calarsi nei meandri dell’animo umano scandagliato minuziosamente tramite la tecnica della proiezione all’esterno della congerie di conflitti alberganti in una dimensione difficile da esplorare, eppure dotata di un fascino ineguagliabile.
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Fortunato Seminara e Antonio Piromalli. Amicizia letteraria e impegno civile
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È nello stile del dialogo, non sempre pacato, frequentato anche, ma non esclusivamente, attraverso le epistole, l’assiduo rapporto tra due importanti intellettuali del Novecento: Fortunato Seminara e Antonio Piromalli che il presente studio esamina sotto quello che potremmo definire il profilo “professionale” e “amicale”, che in loro diventa un unico accento. La “metafora della terra“, filo conduttore dell’esame, indaga la storia, il vissuto, le scelte, gli esiti, i bisogni di un intero mondo (soprattutto quello della Calabria, ed in parte dell’Italia), abbandonato e retrivo, apparentemente pago di una tradizione, che svela, invece, le lacerazioni apportate dalla barbarie qualunquista, che fa del passato, ancora nel Novecento postbellico, e, poi, in quello della ripresa economica e oltre, il motivo suadente per far de-crescere il disorientato soggetto. Lo studio rintraccia i momenti salienti di un rapporto che si intesse nella terra di Calabria, ma che va ben oltre i confini di quest’ultima (domi e foris): tiene di conto, e non avrebbe potuto fare diversamente, le rispettive tappe “professionali” ed umane relazionate sempre all’incontro dialettico tra i due Calabresi. Esamina, quindi, i rapporti tra Seminara e la sua opera (propriamente l’azione narrativa-narratologica operata dallo scrittore), e quelli tra Piromalli e la produzione filologico-critica di quest’ultimo, ma anche poetica, all’interno di un’ampia analisi che apre finestre su importanti correnti artistico-letterarie del Novecento. Analizza contemporaneamente l’interscambio critico operato da entrambi sulle opere del conterraneo e sui metodi dell’altro, pervenendo così alla costruzione di una mappa artistica indispensabile per tentare di chiarire i passaggi amicali e letterari, dunque umani, che hanno garantito un continuativo dialogo all’insegna dell’azione militante e dell’impegno sociale
Gerusalemme o morte
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Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa, è un sovrano illuminato, più moderno che mai, che sogna l’Europa unita, il disegno non riuscito di Carlo Magno. Cerca in ogni modo la convivenza civile senza ricorrere alla spada.
Sue le leggi che proteggono le donne e gli ebrei.
L’11 maggio 1189 Federico I lascia la città imperiale di Ratisbona (odierna Regensburg) diretto a Gerusalemme per la “crociata dei tre re”, cui partecipano anche le corone di Francia e Inghilterra. Il suo poderoso esercito naviga sul Danubio: Vienna, Budapest, Belgrado. Poi i Dardanelli e l’ostile Turchia, infine il fiume Salef, in Cilicia, con la svolta del 10 giugno 1190. Il romanzo è dominato dalla figura dell’imperatore, ma hanno un ruolo importante anche il figlio Federico, coraggioso e impetuoso, due giovani donne poliglotte, la gitana Runa e l’ebrea Ruth, che diventano abili spie e spezzano cuori, e lo scudiero Sabellicus, sordomuto ma più perspicace di chiunque altro. Cruciale è anche il ruolo del fedelissimo tesoriere-scrivano Sigiboto, che gestisce con spietato realismo un serpentone di uomini e cavalli che attraversa mezza Europa. Senza erba, acqua e cibo i crociati non vanno avanti, ma Sigiboto, aiutato dalle due belle spie ormai dedite anima e corpo alla crociata, inventa ogni raggiro per finanziare la costosa spedizione in Terra Santa. Una vicenda ricca di colpi di scena che il diario segreto del fido tesoriere contribuisce a rendere ancora più originale e appassionante.
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Giuda mio padre
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È una notte di primavera a Gerusalemme, e una donna corre nel buio stringendo un bambino tra le braccia. Deve metterlo in salvo e lo lascia in una casa sicura, abitata da una donna, Maria, alla quale hanno appena giustiziato il figlio.
Fanuel vivrà anni sereni nella nuova famiglia di cui fanno parte anche Pietro e Giovanni, gli apostoli prediletti di Gesù di Nazareth.
Ma un brusco incontro metterà fine alla sua pacifica infanzia. Qualcuno gli rivelerà le sue origini, il nome di suo padre, il mestiere di sua madre.
Da qui il protagonista inizierà una ricerca che lo porterà lontano da Gerusalemme, verso Efeso e poi nella Roma Imperiale dove scoprirà alcune verità.
I suoi spostamenti attraverso il Mediterraneo narrano anche il viaggio interiore con cui il protagonista tenta di placare la propria inquietudine, perché “bisogna somigliare per esistere, riconoscersi in un’altra faccia o in un’altra anima per scoprirne una propria”.
Il suo viaggio terminerà a Gerusalemme, dove la storia ha avuto inizio, nel Campo del Vasaio, l’akeldamà, quell’orto maledetto acquistato con i trenta denari del tradimento per accogliere insieme alla salma di Giuda, le spoglie degli stranieri, dei reietti, degli esclusi, dei senza nome che non avevano altra speranza di sepoltura.
Così, Fanuel il viandante, il pescatore che sa scrivere, il figlio di una prostituta e di Giuda Iscariota, traditore di amici, saprà che non importa chi sia tuo padre, cosa abbia fatto, cosa il mondo pensi di lui. Prima o poi, dovrai perdonarlo per trovare finalmente pace.
Questa è la storia di tutti i figli che rincorrono un padre. È una storia antica, leggera, universale, dove non si giudica e non si condanna.
Una favola avvincente perché i personaggi del Vangelo sono umanizzati e messi al nostro fianco come attori di un’avventura spirituale destinata a rinnovarsi in ciascun essere umano e dunque a non avere mai fine.
Caratteri indimenticabili, tratteggiati con chiaroscuri sapienti da Miriam D’Ambrosio, una narratrice di grazia, istintivamente capace di lumeggiare presenze e destini altrimenti indecifrabili; una su tutte la figura di Maria, vera madre dell’umanità ferita, che tutti accoglie e salva.
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Giuditta
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Una storia narrata con passione e venerazione;
un diario intimo che intreccia al racconto della vita
di Giuditta le storie dell’intera famiglia attraverso
anni di sofferenze, gioie e dolori.
L’autore restituisce la voce all’adorata moglie,
una donna di raffinata cultura e profonda religiosità,
che si esprimeva più con l’affabilità
dei suoi modi gentili che con le parole.
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Giuseppe Naccari
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Giuseppe Naccari ha iniziato la sua carriera di magistrato nel 1959 come Pretore presso la Pretura di Vibo Valentia, successivamente è stato, tra l’altro, Presidente del Tribunale di Palmi e Consigliere di Corte d’Appello di Catanzaro. Dotato di molteplici talenti, ha scritto numerosi volumi sulle tradizioni e gli autori calabresi e su argomenti di filosofia e spiritualità. Ha collaborato con molte riviste e testate giornalistiche, è stato opinionista della Gazzetta del Sud. Pittore e scultore, ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero ed è stato recensito in prestigiose riviste e cataloghi del settore da autorevoli critici d’arte, ricevendo molti premi. È stato anche appassionato cultore del lavoro artigianale, dedicandosi, tra l’altro, al restauro di diverse statue di alcune chiese calabresi. Di indole sportiva, praticava molto volentieri il ciclismo. Fedele rotariano si è dedicato con slancio e devozione al servizio e ai valori fondanti l’organizzazione internazionale. Le notizie dettagliate sul suo lavoro e le sue varie attività sono proposte, nel decimo anno dalla sua dipartita, in questo volume scritto a più mani con affetto, insieme ai ricordi dei familiari, di colleghi e amici che hanno condiviso con lui parte del proprio cammino di vita…
Giustizia islamica
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La ’ndrangheta è frutto di una concezione arcaica e violenta della Società: le sue leggi sono ferree e le punizioni comminate senza alcuna pietà. Ma cosa può accadere quando questa organizzazione criminale si scontra con una civiltà integralista come quella islamica, con leggi altrettanto spietate? Attentati, omicidi, rapimenti e vendetta: in mezzo a questo epico scontro si troveranno Pietro, Chiara, Antonio e Claudio, con il loro amico Kabir, ancora una volta in prima linea a rischiare la loro vita per affermare la necessità dell’impegno personale nella lotta per la legalità.
Gli eredi
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La storia narrata in questo libro è stata ispirata all’autrice dall’osservazione della realtà.
I personaggi di essa inseguono ciascuno un proprio sogno d’amore o di promozione economica e sociale.
Le loro vite si sfiorano e talvolta s’intersecano, ma è alla fine il destino che dà a tutta la vicenda la sua soluzione inaspettata e definitiva.
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Hortensia
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Hortensia è un vasto, insidioso, magico labirinto: il labirinto sudamericano – umano, sociale e politico – in cui le ancestrali profondità del passato risuonano nel presente come enigmatiche profezie e oscure visioni, in cui la violenza delle istituzioni e la ferocia della criminalità nascondono e confondono le identità e i ruoli di vittime e carnefici, di buoni e cattivi, in cui ogni umanità in un attimo riluce e ti guida per poi l’attimo dopo oscurarsi e dannarti. Essendo un labirinto, Hortensia è un intrigo, una vicenda avvincente, un vero gioco d’astuzia per il lettore. L’ombra faustiana dell’efferato Ventsel pervade l’intero intrigo. Al suo centro sta Hortensia Vicente, la fondatrice del collegio di Esperanza, dove da dieci anni si è rinchiusa per sfuggire a un penoso passato. E poi c’è Luis Alvaro, scrittore anarchico, rientrato dopo un lungo esilio dall’Europa. L’incontro tra Hortensia e Luis Alvaro innescherà un vortice di eventi che stravolgerà le loro vite, per mutare il destino di un Paese oppresso da uno spietato regime militare. Verrà così evocata un’antica profezia indigena: dal grande mare verrà un condor dorato a riscattare l’orgoglio di una terra ferita, dispensando vendetta, tormenti e morte, per scardinare il labirinto e condurre ciascuno a una nuova sorte.
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I diari di mio padre 1938-1946
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L’autore propone in questo volume i diari di guerra di suo padre, scritti a cavallo tra il 1938 e il 1946.
Partito per il servizio militare, Antonino Corigliano, viene inviato a svolgere la missione di ufficiale dell’Esercito in Libia. Ed a Bengasi dove era di stanza, viene colto dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
A conclusione del conflitto, viene fatto prigioniero e trascorre tra reticolati di guerra, a Yol (Kangra Valley), in India, cinque anni. È in quel periodo che ha pensato di scrivere i diari sulla sua esperienza di allievo ufficiale, sottotenente dell’Esercito, prigioniero di guerra.
Attente riflessioni dalle quali traspare la gioia iniziale, l’impegno in guerra, le terribili sofferenze della prigionia.
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I fatti di Palmi
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Il primo volume inedito è una preziosità. Repaci, in galera per i fatti della Varia di Palmi del 1925, volle preparare una autodifesa concordata con i suoi avvocati. È una lunga esposizione dei fatti di quel giorno e delle motivazioni per le quali Leonida e i suoi fratelli Giuseppe, Gaetano e Francesco e i cognati Parisi e Mancuso non potevano essere colpevoli. Tutto è incentrato su un’accusa che secondo Repaci manca tra le tante di cui era imputato: “L’attentato all’amore della mamma”
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I giorni non si somigliano tutti
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Questo romanzo di Francesco Grisi, finora inedito, porta la data del 1958-1959. È pubblicato in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi” diretto da Pierfranco Bruni, il quale ha già dato alle stampe due saggi su Grisi (uno di questi è una monografia edita dall’editore Pellegrini nel 2000). Il Centro Studi e Ricerche conduce da anni un lavoro di recupero e di analisi del materiale letterario riferito a Grisi. Ha già pubblicato numerosi scritti che risultavano inediti e testi ad egli riferiti. Diverso materiale sempre inedito è custodito dal Centro (da lettere e poesie a disegni e foto). Ha inoltre pubblicato un volume di lettere autografe riguardanti la nascita e la istituzione del Sindacato Libero Scrittori del quale Grisi è stato segretario generale dal 1970 (anno della ufficializzazione) sino al 1999 (anno della scomparsa di Grisi avvenuta a Todi). La ricerca e lo studio, compresa la pubblicazione, sono parti integranti del Progetto “Itinerari Mediterranei”, del CSR, dedicati alla letteratura e alla memoria, patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La copia originale, dattiloscritta, è custodita dal Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”
I miei diecimila uomini
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Alessia è una giovane donna, solare ed estroversa, che ha tanti desideri tra cui quello di incontrare l’uomo dei suoi sogni e sposarlo. La vita però le riserva ben altro e le fa vivere diverse esperienze. Scopre così una realtà diversa, quasi un “mondo sommerso”.
Nonostante le delusioni vede in ogni situazione il lato positivo e questo suo ottimismo l’aiuterà a rialzarsi nei momenti difficili.
Dopo aver “collezionato” uomini scopre un importante segreto che la porterà sulla strada della felicità.
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I Parisio a Rogliano e dintorni
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Il libro di famiglia scritto da Francesco Piro, è uno strumento di notevole pregio e interesse storiografico, anche se l’autore non è uno storico di mestiere. Egli stabilisce un rapporto assai stretto tra lo spazio costituito dal rione Cuti, nel centro urbano di Rogliano, in Calabria, cellula germinale del lignaggio dei Parisio e dei suoi agganci parentali con i Piro e i Clausi, e il tempo millenario in cui egli ha contestualizzato lo sviluppo civile, di dimensione italiana ed europea, del suo lignaggio. Da qui, ma è solo uno dei temi del volume, l’attenzione alla genesi del rapporto tra mondo bizantino, mondo saraceno e mondo franco, esaminato attraverso l’intreccio familiare dei Parisio con i popoli sopracitati. Il lignaggio, studiato da Piro, si diffonde a raggiera nelle direzioni più diverse: a sud, in Sicilia e a Malta; a nord nella Padania che assorbe energie civili ed intellettuali in grado di renderla più moderna: si osservi il valore emblematico nel centro di Bologna del “Mulino dei Parisio”. Perciò, nel volume i termini sud e nord si presentano come pura espressione geografica e la ricostruzione dell’autore rigetta ogni localismo e determinismo, in nome del primato, storicamente senza confini, dell’affermazione della vita civile.
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I racconti dell’incredibile
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I racconti racchiusi in questo libro sono stati scritti negli anni in cui frequentavo i banchi di scuola. Avevo 14, poi 15, e poi 16 anni. I soli racconti inseriti nella raccolta e che sono stati scritti lontano dagli anni di scuola sono: “Ileana dagli stivali rotti” (anni 80) e “Quello che sembra (anni ‘90). Fogli di quaderni, di rubrica, di diario, strappati dal loro alloggio, ripieni di parole e conservati fra le pagine di libri di storia, antologia, inglese, psicologia, filosofia”. Il tempo passava e la memoria scordava di averli, anche se maldestramente, conservati. Un giorno di qualche anno fa, il caso volle che un mio vecchio libro di scuola cadesse dalla libreria e finisse a terra, aperto. Tanti fogli e fogliettini si sono sparsi sul pavimento. Mi sono chinata e, prima di raccogliere il libro caduto, ho preso fra le mani un foglio zeppo di lettere e vocali e (incredibile!)… ho ricordato. Ho frugato fra tutte le pagine dei miei libri di scuola e ho trovato racconti, scritti in quell’età in cui mai pensai che in un qualsiasi tempo potessero essere pubblicati (Patrizia Altomare)

I romanzi calabresi di Fortunato Seminara
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La narrativa di Seminara, uno scrittore vissuto a diretto contatto con la realtà rurale della sua terra, nasce da un intento di demistificazione letteraria. La sua produzione, dai romanzi ai saggi, è strumento di documentazione e denuncia, mira a far conoscere fatti e figure della Calabria, una terra assente dalla narrativa ufficiale e che perciò ha paragonato «ad un pianeta lontano e sconosciuto». Tutta la sua opera è espressione dei problemi e dei fenomeni economico-politico-sociali con cui è venuto a contatto vivendo, giorno per giorno, accanto ai contadini, condividendone le ansietà, le frustrazioni, le sconfitte e, soprattutto, le speranze: in questo senso lo status di scrittore-contadino esibito dallo scrittore lo apparenta a Tolstoj, del quale Lenin ha detto che la cosa più prodigiosa è «quel suo tono contadinesco, quella sua mentalità di contadino», per cui nello scrittore russo «si è incarnato il contadino autentico. Prima che questo conte fosse venuto, non esisteva un vero contadino nella letteratura».
Dall’analisi dei romanzi che si sono affrontati (Le baracche, La masseria, Il vento nell’oliveto, Disgrazia in casa Amato, La fidanzata impiccata e L’arca) emerge un largo affresco di più di mezzo secolo di storia della società calabrese, una società arcaica e primitiva che si evolve verso forme moderne. Fatti e situazioni sono specifici di una Calabria provinciale e contadina, ma acquistano una valenza universale, nel senso che i contadini che popolano le opere di Seminara assumono sulle loro spalle il carico esemplare d’un ceto oppresso che non conosce latitudini specifiche di collocazione.
I sirviciuoli
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I Sirviciuoli è un racconto che per tanti versi rassomiglia ad un giallo classico. Potrebbe, per questo, essere letto e interpretato attraverso chiavi di letture e motivazioni diverse. Non è, e non deve essere, invece, così. Anche se può sembrarlo, non è, intanto – visto che siamo in Calabria – una vicenda di ’ndrangheta o, per essere più precisi, di solo ’ndrangheta. È, semmai, l’intreccio tra un delitto che viene improvvisamente a spezzare la sostanziale quiete di un paese dell’entroterra calabrese e il conseguente atteggiamento di un sottufficiale dei carabinieri il quale, invaso e pervaso da un’intima e sottile smania di carrierismo, intravede nel fatto delittuoso la possibile svolta per una promozione. Ma il suo superiore, quasi lo faccia di proposito, anticipa e scombina sistematicamente tutti i suoi. L’assassino o gli assassini che rincorre il brigadiere di Trimonti sono in mezzo ai personaggi del libro, e alla fine li individuano – sia pure per casuale e mera induzione – sia lui che il capitano; ma nessuno dei due sembra avere la convinzione e la determinazione necessarie per andare fino in fondo e farli arrestare. Nessuno, pertanto, è autorizzato a dargli altre diverse interpretazioni, così come nessuno può essere indotto a sentirsi coinvolto o rappresentato nei fatti e nei personaggi narrati, poiché ogni eventuale e fortuito riferimento deve intendersi puramente accidentale. E per sgomberare il campo da qualsivoglia equivoco si rimanda a quanto riportato da Umberto Eco chiudendo l’ultima delle postille in calce al suo romanzo Il nome della rosa: “Pare che il gruppo dell’Oulipo abbia recentemente costruito una matrice di tutte le possibili situazioni poliziesche e abbia trovato che rimane da scrivere un libro in cui l’assassino sia il lettore. Morale: esistono idee ossessive, non sono mai personali, i libri si parlano tra loro, e una vera indagine poliziesca deve provare che i colpevoli siamo noi”.
I Surace
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«In paese l’aria che respiravano i Surace da qualche tempo era diversa, la gente era ossequiosa e anche i piccoli borghesi li guardavano con occhio benevolo. Al bar, Cosimo non ci andava quasi più per evitare che gli astanti non lo facessero mai pagare offrendogli da bere. Questo lo metteva in disagio e in quel gesto vedeva qualcosa di forzato, che a lui, schietto e sincero, dava fastidio».
Ifigenia è tornata
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Le sei protagoniste di questi racconti sono tutte donne accomunate da un vissuto difficile che, progressivamente, sfocia e si cristallizza in sofferenza.
Il filo invisibile che lega tutte loro è il vuoto che caratterizza le loro vite, quello che è prodotto dalle mancanze, dalle debolezze, dalle ossessioni. Il dolore, acuto e pervasivo, che si accompagna a delusione e disagio, le porta a scelte estreme e a compiere azioni orribili.
Eppure risulta difficile odiare e condannare senza appello queste donne dopo avere condiviso con loro la sofferenza, il passato doloroso, i pensieri laceranti, la percezione falsa e deformata del presente.
Ciò che viene condannato non è semplicemente l’epilogo, ma gli eventi che lo hanno determinato. Resta il dramma personale di ognuna, il viaggio che ciascuna ha percorso e che ha trasformato la vittima in carnefice.
Storie di follia, di solitudine, di ingiustizie subite e fiducia tradita.
Ifigenia, la giovane figlia di Agamennone sacrificata agli Dei, diventa l’emblema della donna che accetta con sottomissione il dolore, la sofferenza e la morte.
Le protagoniste di questi brevi racconti sono le “anti Ifigenia”. Sono loro a dare la morte ma, insieme alle loro vittime, sacrificano la parte migliore di loro stesse.
Il cacciatore di Milf
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Audaci esperienze in cui il protagonista principale è il sesso. Il godimento più sfrenato. Un’incontenibile propensione verso tutto ciò che regala piacere. Suscita bramosie impellenti. Apre al brivido dell’ignoto. Incontri, avventure, tradimenti che proiettano il lettore in una dimensione in cui nulla è proibito, e dove l’unica regola da rispettare appare l’abbandono totale alla scoperta di sensazioni forti, mai esplorate prima, all’estasi pura. Storie intriganti, che conducono all’intimità più recondita. Camuffata. Protetta; forse, inconsapevolmente, attesa. Una carrellata di esperienze che si intrecciano con disavventure personali fortunatamente a lieto fine, attraverso le quali appare possibile recuperare il senso di un’esistenza incline alla dolcezza, alla serenità, all’equilibrio.
Il mondo non mi sembrava più quello di prima. Io non ero più quello di prima. Non ero il Lorenzo che ero stato prima di Clotilde; non ero più il Lorenzo che ero stato dopo Arnaldo Giacomantonio Schettini; non ero più il figlio di mia madre e di mio padre; non ero più il cacciatore di Milf. Non ero più nemmeno quello che avrei voluto essere. Avevo come la sensazione che io stesso fossi una biglia di vetro su un asse inclinato; una biglia che scivola verso il basso con un moto inarrestabile. Più cercavo di distrarmi, di cambiare pensiero, più sentivo come se la mia calotta cranica si riempisse di bolle trasparenti che aumentavano di diametro fino ad esplodere. Era evidente che qualcosa stava cambiando. Anzi era cambiata.