
I miei diecimila uomini
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Alessia è una giovane donna, solare ed estroversa, che ha tanti desideri tra cui quello di incontrare l’uomo dei suoi sogni e sposarlo. La vita però le riserva ben altro e le fa vivere diverse esperienze. Scopre così una realtà diversa, quasi un “mondo sommerso”.
Nonostante le delusioni vede in ogni situazione il lato positivo e questo suo ottimismo l’aiuterà a rialzarsi nei momenti difficili.
Dopo aver “collezionato” uomini scopre un importante segreto che la porterà sulla strada della felicità.
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I Parisio a Rogliano e dintorni
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Il libro di famiglia scritto da Francesco Piro, è uno strumento di notevole pregio e interesse storiografico, anche se l’autore non è uno storico di mestiere. Egli stabilisce un rapporto assai stretto tra lo spazio costituito dal rione Cuti, nel centro urbano di Rogliano, in Calabria, cellula germinale del lignaggio dei Parisio e dei suoi agganci parentali con i Piro e i Clausi, e il tempo millenario in cui egli ha contestualizzato lo sviluppo civile, di dimensione italiana ed europea, del suo lignaggio. Da qui, ma è solo uno dei temi del volume, l’attenzione alla genesi del rapporto tra mondo bizantino, mondo saraceno e mondo franco, esaminato attraverso l’intreccio familiare dei Parisio con i popoli sopracitati. Il lignaggio, studiato da Piro, si diffonde a raggiera nelle direzioni più diverse: a sud, in Sicilia e a Malta; a nord nella Padania che assorbe energie civili ed intellettuali in grado di renderla più moderna: si osservi il valore emblematico nel centro di Bologna del “Mulino dei Parisio”. Perciò, nel volume i termini sud e nord si presentano come pura espressione geografica e la ricostruzione dell’autore rigetta ogni localismo e determinismo, in nome del primato, storicamente senza confini, dell’affermazione della vita civile.
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I racconti dell’incredibile
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I racconti racchiusi in questo libro sono stati scritti negli anni in cui frequentavo i banchi di scuola. Avevo 14, poi 15, e poi 16 anni. I soli racconti inseriti nella raccolta e che sono stati scritti lontano dagli anni di scuola sono: “Ileana dagli stivali rotti” (anni 80) e “Quello che sembra (anni ‘90). Fogli di quaderni, di rubrica, di diario, strappati dal loro alloggio, ripieni di parole e conservati fra le pagine di libri di storia, antologia, inglese, psicologia, filosofia”. Il tempo passava e la memoria scordava di averli, anche se maldestramente, conservati. Un giorno di qualche anno fa, il caso volle che un mio vecchio libro di scuola cadesse dalla libreria e finisse a terra, aperto. Tanti fogli e fogliettini si sono sparsi sul pavimento. Mi sono chinata e, prima di raccogliere il libro caduto, ho preso fra le mani un foglio zeppo di lettere e vocali e (incredibile!)… ho ricordato. Ho frugato fra tutte le pagine dei miei libri di scuola e ho trovato racconti, scritti in quell’età in cui mai pensai che in un qualsiasi tempo potessero essere pubblicati (Patrizia Altomare)

I romanzi calabresi di Fortunato Seminara
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La narrativa di Seminara, uno scrittore vissuto a diretto contatto con la realtà rurale della sua terra, nasce da un intento di demistificazione letteraria. La sua produzione, dai romanzi ai saggi, è strumento di documentazione e denuncia, mira a far conoscere fatti e figure della Calabria, una terra assente dalla narrativa ufficiale e che perciò ha paragonato «ad un pianeta lontano e sconosciuto». Tutta la sua opera è espressione dei problemi e dei fenomeni economico-politico-sociali con cui è venuto a contatto vivendo, giorno per giorno, accanto ai contadini, condividendone le ansietà, le frustrazioni, le sconfitte e, soprattutto, le speranze: in questo senso lo status di scrittore-contadino esibito dallo scrittore lo apparenta a Tolstoj, del quale Lenin ha detto che la cosa più prodigiosa è «quel suo tono contadinesco, quella sua mentalità di contadino», per cui nello scrittore russo «si è incarnato il contadino autentico. Prima che questo conte fosse venuto, non esisteva un vero contadino nella letteratura».
Dall’analisi dei romanzi che si sono affrontati (Le baracche, La masseria, Il vento nell’oliveto, Disgrazia in casa Amato, La fidanzata impiccata e L’arca) emerge un largo affresco di più di mezzo secolo di storia della società calabrese, una società arcaica e primitiva che si evolve verso forme moderne. Fatti e situazioni sono specifici di una Calabria provinciale e contadina, ma acquistano una valenza universale, nel senso che i contadini che popolano le opere di Seminara assumono sulle loro spalle il carico esemplare d’un ceto oppresso che non conosce latitudini specifiche di collocazione.

I sirviciuli
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I Sirviciuoli è un racconto che per tanti versi rassomiglia ad un giallo classico. Potrebbe, per questo, essere letto e interpretato attraverso chiavi di letture e motivazioni diverse. Non è, e non deve essere, invece, così. Anche se può sembrarlo, non è, intanto – visto che siamo in Calabria – una vicenda di ’ndrangheta o, per essere più precisi, di solo ’ndrangheta. È, semmai, l’intreccio tra un delitto che viene improvvisamente a spezzare la sostanziale quiete di un paese dell’entroterra calabrese e il conseguente atteggiamento di un sottufficiale dei carabinieri il quale, invaso e pervaso da un’intima e sottile smania di carrierismo, intravede nel fatto delittuoso la possibile svolta per una promozione. Ma il suo superiore, quasi lo faccia di proposito, anticipa e scombina sistematicamente tutti i suoi. L’assassino o gli assassini che rincorre il brigadiere di Trimonti sono in mezzo ai personaggi del libro, e alla fine li individuano – sia pure per casuale e mera induzione – sia lui che il capitano; ma nessuno dei due sembra avere la convinzione e la determinazione necessarie per andare fino in fondo e farli arrestare. Nessuno, pertanto, è autorizzato a dargli altre diverse interpretazioni, così come nessuno può essere indotto a sentirsi coinvolto o rappresentato nei fatti e nei personaggi narrati, poiché ogni eventuale e fortuito riferimento deve intendersi puramente accidentale. E per sgomberare il campo da qualsivoglia equivoco si rimanda a quanto riportato da Umberto Eco chiudendo l’ultima delle postille in calce al suo romanzo Il nome della rosa: “Pare che il gruppo dell’Oulipo abbia recentemente costruito una matrice di tutte le possibili situazioni poliziesche e abbia trovato che rimane da scrivere un libro in cui l’assassino sia il lettore. Morale: esistono idee ossessive, non sono mai personali, i libri si parlano tra loro, e una vera indagine poliziesca deve provare che i colpevoli siamo noi”.
Ifigenia è tornata
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Le sei protagoniste di questi racconti sono tutte donne accomunate da un vissuto difficile che, progressivamente, sfocia e si cristallizza in sofferenza.
Il filo invisibile che lega tutte loro è il vuoto che caratterizza le loro vite, quello che è prodotto dalle mancanze, dalle debolezze, dalle ossessioni. Il dolore, acuto e pervasivo, che si accompagna a delusione e disagio, le porta a scelte estreme e a compiere azioni orribili.
Eppure risulta difficile odiare e condannare senza appello queste donne dopo avere condiviso con loro la sofferenza, il passato doloroso, i pensieri laceranti, la percezione falsa e deformata del presente.
Ciò che viene condannato non è semplicemente l’epilogo, ma gli eventi che lo hanno determinato. Resta il dramma personale di ognuna, il viaggio che ciascuna ha percorso e che ha trasformato la vittima in carnefice.
Storie di follia, di solitudine, di ingiustizie subite e fiducia tradita.
Ifigenia, la giovane figlia di Agamennone sacrificata agli Dei, diventa l’emblema della donna che accetta con sottomissione il dolore, la sofferenza e la morte.
Le protagoniste di questi brevi racconti sono le “anti Ifigenia”. Sono loro a dare la morte ma, insieme alle loro vittime, sacrificano la parte migliore di loro stesse.

il castello del malessere
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Ho concepito questo mio libro, Il castello del malessere, come un catalogo di ossessioni, di idee fisse, ricorrenti.
Iddio, se esiste, è stato crudele con me perché mi ha fatto dono di una malattia che nessuno, me compreso, può conoscere a fondo. Possono esserne colti solo gli effetti attraverso un lungo percorso di analisi…
…Mentre mi accingo a narrare la mia storia osservo il mio corpo con distacco: è come se al posto degli occhi ci fosse una telecamera che lo scrutasse alla stregua di un’opera d’arte da studiare meticolosamente, da ammirare.
Gradualmente, guardando la mia immagine riflessa come davanti ad uno spietato specchio, ho preso la consapevolezza della mia autocoscienza. Tutto ciò che mi circonda ha cominciato ormai a farmi ribrezzo, lo considero irreale e spesso penso di vedere cose che forse non ci sono…
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Il coro a bocca chiusa
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In queste storie semplici si privilegia di frequente la vicenda interiore dei protagonisti, vicenda che trova poi valore e riscontro negli episodi esterni e nel trascorrere inesorabile del tempo che, a seconda delle esigenze, torna indietro rispetto al presente oppure si apre ad un futuro ricco di promesse. Le sollecitazioni invisibili e sospese dell’inconscio emergono materializzandosi in rivelazioni autentiche, costrette ad accogliere casualmente particolari segni prodigiosi, visibili, in apparenza illogici, che s’inseriscono nella “normalità” del quotidiano in modo più o meno subitaneo e misterioso per “illuminare” il senso di un’intera vita.

Il corruttore
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È una sorta di pubblica denuncia di un corruttore reo confesso, una testimonianza che scuoterà molte coscienze della politica e della società civile di fronte alle proprie responsabilità morali, prima ancora che giudiziarie. Nasce dal racconto schietto e disinibito dell’ex proprietario della Dhi, società che ha svolto la raccolta dei rifiuti a Maddaloni e in numerosi comuni del Casertano, arrestato nel marzo 2016 per corruzione. Dopo aver confessato e iniziato un percorso di collaborazione con la magistratura, si propone qui di ricostruire con dovizia di particolari tutta la propria vicenda. La vera peculiarità di questo testo risiede nella scelta audace di raccontare i fatti accaduti dal punto di vista del “cattivo”, o meglio di un valido e preparato imprenditore divenuto poi obtorto collo esperto “corruttore”, invischiato in un sistema che promuove l’arrivismo spietato e ignora le leggi dello Stato e della morale; testimonianza schiacciante di quanto sia labile e indefinito il confine tra legalità e illegalità.
Prefazione a cura di Pantaleone Sergi
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Il faro
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Una storia d’amore che appassiona, senza incorrere in trucchi banali per avvincere i lettori meno accorti.
Una scrittura verista, capace di sciogliere nel romanzo i sentimenti dei personaggi, annodati ai bisogni mutati dal tempo e dalla vita.
Quelli, per esempio, che segnano la lotta tra mascolinità e umanità di Gabriele quando l’amore irrompe con Fiamma. Coraggiosa, generosa, tenace, leale, onesta, fedele agli impegni d’affetto, eppure…
Nell’intreccio tra queste vite e quelle degli altri, laddove si perde e si ritrova l’individuo, la narrazione dell’autrice diventa letteratura e il racconto si evolve in romanzo.
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Il figlio del mare
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L’alba sullo Ionio calabrese sorprende Bianca in spiaggia. La ragazzina si è addormentata vergine per risvegliarsi, violata, in uno scenario surreale. È stata un’onda a deporle in grembo la perla di una nuova vita? Quel figlio della marea sarà per tutti Jo, pronunciato all’americana da chi non conosce il vero nome del bambino, lo stesso del mare che sembra averlo generato. Sarà un viaggio di ritorno in Calabria, a trent’anni di distanza da quel mattino, a svelare i segreti di una vita trascorsa lontano, nell’oblio.
Un viaggio nella memoria, che attraversa l’Italia e il dolore di un bambino divenuto adulto troppo in fretta. Un tuffo nel passato, tra le braccia di una terra che sa essere madre e matrigna; dove la vita resiste, chiama nuova vita e combatte, tenace come le ginestre piegate dal grecale. La terra delle origini narrata come archetipo di se stessa, “luogo non-luogo”, spazio geografico e immaginifico. Una storia declinata secondo l’impalcatura della tragedia greca, dove la prosa dei capitoli intreccia la lirica degli interventi corali.

Il giardini del drago
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Non vi è dubbio che il futuro del pianeta dipende direttamente dalla capacità e dalla volontà degli uomini di cambiare profondamente il loro rapporto con la natura. La nostra epoca è segnata da forti mutamenti climatici in grande misura provocati dall’attività umana che, tra inquinamento e depauperamento delle risorse naturali ha messo a rischio il delicato equilibrio naturale. Le catastrofi degli ultimi anni, tragicamente esemplare l’uragano Cathrina, rappresentano un drammatico campanello di allarme, che nessuno, dal singolo cittadino ai governi delle nazioni, può permettersi di ignorare o lasciare inascoltato.E’ in gioco, come si è già detto, il futuro del pianeta e dell’umanità. In questo contesto tocca ai governi attuare le misure per fronteggiare le emergenze e predisporre tutti gli strumenti atti alla prevenzione, ma strategicamente, solo un profondo cambiamento sul piano culturale che investa la persona, i suoi stili di vita e il suo modo di relazionarsi con l’ambiente e con la natura nel suo complesso, può assicurare migliori prospettive. Per questo ritengo sia importante avviare e sostenere con forza, azioni di stimolo culturale che modifichino valori e modelli di riferimento. Diventa perciò imprescindibile puntare sulle nuove generazioni, perchè assumano la consapevolezza dei problemi e nel contempo sviluppino la necessaria sensibilità per fronteggiarli. Nella mia azione di governo delle politiche ambientali ho conferito grande attenzione ai programmi di educazione ambientale consapevole che sia necessario fornire a tutti l’opportunità di acquisire le conoscenze, i valori, le capacità per proteggere e migliorare lìambiente. E’ per questo che ho accolto con favore e con piacere l’invito a patrocinare la pubblicazione della bella fiaba “Il giardino del drago” che Graziella Idà ci propone. La fiaba, quale forma letteraria, è uno strumento particolarmente efficace per veicolare messaggi e valori tra i più piccoli, soprattutto perchè ciò si realizza con delicatezza, con discrezione e mi piace pensare, con naturalezza. On. Diego Tommasi
Il giudice, sua madre e il basilisco
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Questo romanzo descrive con delicatezza, senza calcare la mano, l’inferno della Santa ’ndrangheta, un fenomeno criminale articolato e complesso, per il tramite della tenerezza familiare e restituisce con maestria cosa può arrivare a essere un territorio come Mambrici, la Macondo dell’autore, che su quell’inferno è costruita. Al fondo di questo racconto, non c’è tanto la solita storia di mafia, con tutti i suoi connotati tipici, quanto una storia sul destino dell’individuo che, in parte, ciascuno si costruisce da sé come la protagonista Marelina, in parte è determinato dal passato, il figlio Enrico Zanda, il giudice, e in parte deriva da una combinazione di elementi accidentali dalle circostanze, dai luoghi, dalla società, dal contesto come si ricava dalla storia del capomafia Sarazzo Borrello, “il Basilisco”, la cui vita s’incrocia drammaticamente con quella del giudice e della madre.
“Quando i soldati finirono di spararsi e la guerra per grazia di Dio passò, a Mambrici, che non aveva più né la gente né l’anima d’un tempo, la pace non tornò”.
Il luogo delle anime
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La ricorrenza del Settecentesimo anniversario della morte di Dante offre l’occasione ad una seconda edizione del romanzo storico di Coriolano Martirano “Il Luogo delle anime”, a cura di Maria Cristina Parise Martirano, presidente del Comitato Dante Alighieri di Cosenza. “Il luogo delle anime”, pubblicato da Pellegrini Editore nel dicembre 2012, è stato anche presentato a Roma in Palazzo Firenze, sede centrale della Società Dante Alighieri a cura del professore Francesco Sisinni, al tempo Consigliere centrale della Dante. Nel romanzo Martirano ipotizza la presenza di Dante, al seguito del vescovo di Siena, in Cerenzia, nella lontana Sila, ospite della locale Abbazia, rifugio dei Templari scampati all’eccidio. Dante, cavaliere dell’ordine, egli stesso, sarebbe approdato a Cerenzia, dove diventa “Lui”, per sfuggire alla condanna che lo costringe all’esilio e, una volta entrato nell’abbazia, riesce a penetrare all’interno dell’archivio segreto sottratto da Tito al Tempio di Gerusalemme, sequestrato poi da Alarico e di cui erano entrati in possesso i monaci guerrieri. Qui Dante scopre, dagli antichi documenti, una storia che è assai lontana da quella ufficiale e da quei luoghi trae ispirazione per la stesura del suo capolavoro “La Commedia”.

Il lupo vegetariano e altre fiabe
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Le fiabe di Umile Sireno sono accompagnate da tanti significati. Sono, quindi, multiple. Fiabe da intendersi, intanto, quali profondissimi cilindri di mago che in un gioco di “abracadabra” sanno regalare le magie più accattivanti e, ad un tempo, pensose, perché il cappello erutta storie tanto immaginifiche quanto ricche di pensieri nobilissimi. Fiaba, allora e ancora, come luogo e tempo dell’educazione in una prospettiva formativa che la trascende nella sua componente fantastica e la ricarica, come già le antichissime fiabe di Fedro ed Esopo, di contenuti solo apparentemente ludici. Ed è per questo motivo che in tre fiabe della raccolta viene proposta la centralità di un personaggio vecchio a voler sottolineare, nella scelta, l’importanza della sapienza senile al pari, stilisticamente, dell’importanza della fiaba antica. Quasi a dire che solo col capo volto al passato si può recuperare significatività di vita da intendersi come “profondità di.. sentire”. C’è questo nelle trame delle fiabe, ognuna delle quali gioca sulla forza d’urto che nasce a fronte della positività di comportamenti etici e morali che, a dirla tutta, sembrano non esistere più. È la farfalla della prima storia che insegna la necessità del rispetto dell’ambiente e la cura dei luoghi dove ci si trova a vivere. Così come ne- il lupo vegetariano si sfata il topos del lupo carnivoro e molesto che invece si trasforma in amico di un gregge di pecore e, in tal modo, l’apparente leggerezza della tramatura narrativa, lascia intravedere un altro ribaltamento di prospettive, l’uomo lupo all’altro uomo nella giungla dell’esistenza che è condizione ribaltabile. Le stelle cadenti insegnano ad avere fiducia in se stessi senza, tuttavia, smettere mai di guardare l’Alto che ci sovrasta e ci congloba con la sua magnificenza. La principessa guastafeste mostra le discrepanze che spesso si creano tra realtà e sogno, superabili solo a patto di calarsi appieno nella vita e toccare con mano il dolore e la sofferenza che sono fonte di conoscenza e approfondimento di se stessi e, quindi, di crescita. La fiera dei sogni si intesse dei sogni di Fortunato, che ha undici anni e il sogno grande di conoscere il padre creduto morto. E il sogno si fa desiderio, tenacia, orgoglio, sentire immenso, preghiera fino a diventare realtà. Fiaba, infine, come racconto di noi, della nostra esistenza, del nostro cuore.
Il mare e la conchiglia
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due segmenti fondamentali che caratterizzano il suo viaggio letterario sono la memoria e la nostalgia. Il mito è la chiave di lettura, secondo Pierfranco Bruni, che permette di sfogliare la margherita del tempo e della vita. Il suo saggio dal titolo “Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella letteratura contemporanea” è una testimonianza emblematica del suo pensiero.
È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura.
Il mare e la conchiglia. Un viaggio tra i ricordi e la memoria. Un raccontarsi con le maschere e le ombre. Ma quando le ombre si allungano oltre il tramonto le nostalgie prendono il sopravvento. E qui le nostalgie sono nel disegno indefinibile della parola.
Forse tre racconti. O un unico racconto nel quale si cercano le tentazioni del ritorno. Ritornare o ripartire. Ma mai definire. Perché, in fondo, si resta sempre ancorati ad un porto.
Ho vissuto la frammentarietà del viaggio ed ho tentato di cogliere alcuni segni. Ci sono tre vie. O forse una. O una sola via in tre “pellegrinaggi”. O il bisogno di comprendere che dopo il deserto c’è il mare. Oppure la consapevolezza che oltre il mare la terra diventa un deserto e i crepuscoli sono fatti di nebbia come l’alba è fatta di meriggio.
Mi sono incamminato. E se dovessi, tu caro lettore, accorgerti che le ripetizioni si ripetono non farci caso. Io vado, poi ritorno, poi riprendo a navigare, poi lascio solchi sulla sabbia e poi ricomincio. Ripetermi.
La ripetizione mi dà un senso. Il mare è sempre dentro la conchiglia. E la conchiglia ci porta il rumore delle onde.
Così queste mie parole, che sono l’orizzonte di un viandante tra i ricordi e la memoria lungo l’infanzia di un indefinibile esodo nel gioco delle metafore. Punto. Si parte. Il cerchio magico del ritorno è un fuoco di luna nello spazio del vento.

Il mio medico di famiglia
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Minuscole contrade e piccoli centri immersi nel verde dell’Appennino dell’entroterra calabrese, luoghi dove le stagioni conservano ancora le proprie atmosfere e la gente le proprie tradizioni. Dove le relazioni mantengono l’autenticità di un tempo, come il cibo e il vino.
Quarant’anni di lavoro come medico di famiglia vissuti con partecipazione e raccontati con semplicità e passione.
Scritto in uno stile sobrio, diretto, privo di fronzoli, il libro rappresenta una bellissima testimonianza di quello che un medico fa, e come lo fa, soprattutto in quelle realtà periferiche dove è a lui che ci si rivolge per ogni necessità.
Per i temi, le problematiche che solleva (prevenzione, educazione sanitaria, testa- mento biologico, ruolo del medico di famiglia, diritto alla salute), anche se l’Autore talvolta non può fare a meno di ricorrere a una terminologia “specialistica”, la sua lettura, coinvolgente e affascinante, non può non suscitare l’interesse di tutti, medici e non, in particolare degli studenti che intendano dedicarsi a questa professione.
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Il misogino e l’anoressica
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“Un romanzo farneticante, surreale, barocco, sfarzoso, esagerato, che sembra scritto da un novello Cervantes, da uno scapigliato Sterne o da un giocoliere che si diverte a creare continui colpi di scena, tra cui quelle clamorose del trasferimento del professore Brocardi da un liceo di Milano a uno di Roma! e quella della studentessa che si reca a scuola con un carro funebre.
Una galleria di personaggi indimenticabili, la descrizione della Scuola ridotta a una sorta di cloaca, una Milano colta nella sua essenza ragionieristica, una Roma fotografata nella sua decadenza e nel suo fasto, e una Grecia smagliante, ricca di poesia.
Quel che accade però pagina dopo pagina è impossibile sintetizzarlo; il lettore non avrà neppure un secondo a disposizione per sbadigliare”.
T. B. J.
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Il mistero di Sonia Essen
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Il commissario di polizia Antonio Dominici in servizio presso l’interpol questa volta dovrà compiere un viaggio d’inchiesta assai complicato che lo porterà nei gangli aggrovigliati della sua anima alla ricerca di se stesso e dei suoi sentimenti. Una morte improvvisa e inspiegabile lo colpisce come un pugno in faccia e lo stritola in una morsa senza respiroin cui si mescolano sensi di colpa, paure, incertezze, incomprensioni e tanto dolore. Un rompicapo avvincente e spiazzante che insegna al lettore a seguire le tracce inesplorate che portano al ‘guazzabuglio’ del cuore.

Il paese del malocchio
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La storia di Sideris è interessante perché è una storia di classe operaia ante-litteram. Uno sciopero nel 1685! Quando ancora non esistevano gli operai e Carlo Marx, ci pensi?
I minatori di Sideris non vedevano di buon occhio il reperimento di manodopera specializzata, i mastri forgiari, dalla Toscana e dall’Emilia e minacciarono prima e attuarono poi uno sciopero che durò un mese. Però noi saremmo stati sull’altra sponda, contro gli operai in sciopero, perché uno dei nostri antenati, probabilmente di quel periodo, veniva dalla Toscana. Pensa un po’, se avessero fatto sciopero qualche mese prima io non sarei nato.