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Un chiodo nel cuore 2

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Il secondo volume del romanzo Un chiodo nel cuore porta il lettore nel cuore pulsante delle vicende già note e diventa subito una storia riconoscibile con i suoi personaggi, le tragedie familiari, gli affetti divisi, i luoghi, le atmosfere, i tempi. Il lettore si ritrova, ancora una volta, a seguire Stefano e Mara, i protagonisti, attraverso i tanti sentieri esistenziali che troveranno, alla fine, uno sbocco intenso e positivo. Stefano, finalmente, dopo le ingiustizie patite, riuscirà a realizzare un sogno atavico: acquistare “un grosso gregge con dei pecorai sui pascoli dell’Altopiano”. Ed è qui che pare prendere corpo il desiderio di una vita intera che è stata spezzata in gioventù per un omicidio non commesso. Mara nutre il sogno di Stefano con quella dolcezza e sensibilità che il lettore ben conosce. Eccoli, dunque, Mara e Stefano, davanti agli occhi di che legge, eccoli, non più giovani ma tenacemente avvinti dall’amore a compiere una scelta importante: Stefano sull’Altopiano e Mara a San Damiano a vivere di attese e speranze. Ma è qui che qualcosa cambia e, in particolare, il personaggio di Mara subisce una metamorfosi. Narrativamente, dunque, il romanzo si sposta sull’asse esistenziale di Mara e, a livello, geografico ci trascina a San Damaso che è un paese alle pendici dell’Altopiano dove Stefano trascorre le sue ore di lavoro e si presenta ricco di storia, delicato e fascinoso. Ed è qui, ancora, che la narrazione trova il suo diapason perché San Damaso non è solo il luogo in cui Mara e Stefano trovano modo di riallacciare la poesia delle loro anime ma nuovi ed emblematici personaggi costellano la storia arricchendola e problematizzandola. Decisiva, in questo microcosmo paesano, la presenza di Elisabetta che potremo definirla il “deus ex machina”, depositaria di un segreto che, una volta svelato, scioglierà uno dei nodi più drammatici del romanzo con dei colpi di scena che hanno dell’incredibile e che fanno sussultare l’animo del lettore di sensazioni ed emozioni mai provate fino all’ultima pagina.

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Una lacrima… nell’universo

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Massimo Veronese, scrittore non di professione, dà l’impressione di raccontare un sogno, ma, di fatto, racconta un incubo: la vita avvistata come una grande fiaba d’amore, poi, ritrovata in un tunnel di cui si può indovinare solo l’uscita lontana e quasi impossibile. L’esistenza come esperienza tragica: questo è il nucleo duro del romanzo del giovane autore, che esordisce su un tema non infrequente nella letteratura del nostro tempo e che, contro ogni attesa, perviene ad una sua ferma originalità per l’inesausta ellissi della sua parola, che tocca vicende e le trasforma in smarrimento dell’essere. Un torrenziale flusso interiore, come è proprio del grande romanzo esistenziale. Ed è a questo torrenziale flusso interiore che si deve la qualità nuova di una prosa non arrestata da punti, punti e virgola, virgole. Veloce, sussultoria, frenetica, disorganizzata nelle sue strutture canoniche, e solo ordinata dal cuore che intende affrettare la meta. Una novità e una rarità nel quadro della letteratura corrente. Pasquino Crupi

15,00
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Viaggi banali

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I “Viaggi Banali” sono le tappe d’un soggettivo itinerario generazionale, identificato negli approdi-simbolo di conoscenza e formazione. Un racconto per scelte descrittive tra le capitali della vecchia e della nuova Europa, che hanno riempito di contenuti le forme dell’immaginario, e d’idea e sostanza il sogno di tanti giovani senza età: tracciando – dagli anni Sessanta al nuovo secolo – vie diverse alla soggiogante ritualità del quotidiano, e così conferendo valori

10,00
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Vincere la mafia

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Un ‘quaderno’ per proporre una nuova strategia antimafia attraverso un piano di educazione articolato in un vero e proprio programma di studi di tre anni.

6,20
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Vintage cafè

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Santino, capace di somministrare un caffè che rappresenta un’autentica eccellenza, è il protagonista (vero) di un breve viaggio velato d’ironia in cui l’oro nero è quasi un pretesto, il bollente carburante per esplorare un micro-cosmo denso di promesse e di sorprese: quello del Caffè Europa in Cosenza che, tra ricordi e suggestioni indotte dalla bevanda, sembra pure suggerire qualche utile, meno divertente divagazione di ordine socio-economico. La caffetteria di cui si narra è una minuscola impresa a carattere familiare e nel viaggio si respirano atmosfere di cui è ancora intrisa la nostra terra, ma le intuizioni imprenditoriali di Santino – perché d’intuizioni si tratta e non di accademiche applicazioni – sembrano generalizzabili e, con un minimo di personalizzazione, anche “esportabili” e rilevarsi vincenti in altri settori e in altre città.

8,00
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Vita di Fortunato Seminara

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…un altro punto ci sembra fondamentale per evocare correttamente Seminara, quello che consiste nel finirla una volta per tutte con la “calabresità”. La ricostituzione d’una vita è soprattutto una messa in evidenza della libertà del soggetto di fronte al reale; fra gli elementi di questo reale la Calabria è un dato che Seminara, durante la sua esistenza, dovrà affrontare e usare, ma non costituisce una fatalità. Per ogni uomo, la vera tragedia è il carattere, e questa tragedia è universale ma, contemporaneamente, mette in scena la nostra libertà. Questa lotta di uno contro se stesso, e poi contro gli altri, è propria di ognuno di noi, sempre e ovunque, e può essere capita da tutti. Il luogo della nostra nascita è un incidente, e restiamo liberi di farne ciò che vogliamo, l’elemento determinante (ma anche misterioso) è l’io.

18,00
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Vita difficile nel paese dei tuttologi

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L’autore mette a fuoco speranze e illusioni, delusioni e contraddizioni, denunciando i mali che affliggono la società, che si trasforma in giungla, il cui scenario è calcato da furbi, ambiziosi, arroganti, mestieranti e dai soliti tuttologi, insieme ad una moltitudine di comparse indifese e senza alcun potere. L’Epistolario si fa leggere perché suscita coinvolgimento e curiosità con la narrazione di tanti episodi reali e irreali, in un gioco di specchi e rimandi.. Ennio dimostra di essere in crisi e alle prese con il suo pessimismo perchè non condivide l’incedere del mondo, ma deve fare i conti implacabilmente anche col suo “Io” che non gli risparmia critiche e rimproveri continui. (dalla presentazione del prof. Mario Caligiuri docente di Comunicazione pubblica all’Unical) Nelle pagine di questo Epistolario l’Autore rivela tutta la sua immensa umanità, la sua attenzione per i problemi sociali, l’acutezza dell’osservazione, la profondità della riflessione, la sofferenza nella ricerca di soluzioni. Ogni spaccato di vita è filtrato nel crogiolo del suoi sentimenti, sì che ogni scena, ogni evento, ogni gioia, ogni dolore diventano nostri, nel senso che non ne siamo solo i destinatari come lettori, ma testimoni o attori. E’ un libro, questo, che va letto in solitudine, con grande attenzione e trasporto. E’ un libro, questo, su cui occorre serenamente e profondamente riflettere.. (dall’introduzione del Dott. Aldo Scarpelli, Primario di Chirurgia Generale) L’epistola è considerata alla stregua della poesia, che sgorga, arte spontanea e creativa, dal più profondo dell’anima, dall’archivio immenso della memoria e dalla grandezza incommensurabile dello spirito, che si eleva sempre più in alto, fino ad un rapporto coinvolgente le due sfere dell’immanenza e della trascendenza. Nella consapevolezza che non ci sarà mai un personal computer che possa eguagliare od imitare le qualità spirituali dell’uomo. (dalla prefazione dell’Autore)

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Vite tra tenute

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La vita preesiste alla pagina, in questo libro, significativamente, ambiguamente, allusivamente titolato “Vite tra tenute”. I “tra tenuti”, ma è meglio dire i trattenuti, si raccontano, e raccontano il carcere. Si passa, dunque, dalla letteratura sul carcere alla letteratura del carcere. C’è un guadagno di storia, di verità, di etica, di virile umanesimo, come può solo avvenire quando la testimonianza è diretta. ed è testimonianza collettiva su una comune condizione di vita carceraria. Descritta. ragionata e sollevata dalla sua incombente minaccia alla discruzione di ogni umanità attraverso una sovrana ironia, che desta l’urto tra le belle parole e la realtà infingarda. C’è il romanzo, c’è il saggio in questo libro multanime, scandito, capitolo dopo capitolo, dalla citazione di Uomini Illustri che illustrano il fallimento della cultura: nulla di ciò che essa ha predicato, è stato praticato. E c’è il ravvivamento della battaglia meridionalista contro l’orda icinica che assume il Mezzogiorno come pretesto ed alibi per tutte le ginnastiche destro-sinistra intese alla demolizione dello Stato di diritto. Un alito di pensiero puro emana da questo libro dal carcere, scritto in carcere, dai carcerati. E non è fuor d’opera dirlo. Poichè il carcere non è il luogo più sporco del mondo. Semmai, è il luogo in cui la società, fatta stato, scarica la sua immondizia.

9,00
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Volando con Pindaro

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«L’intraprendenza, passione, lo stretto legame dei giovani con l’elettronica d’oggi: computer, telefonini, pone in disagio gli attori di un mondo più antico, romanticamente “vecchio”. Retrocedo a scolaro per cimentarmi con le nuove lettere dell’alfabeto moderno. Mi trovo perplesso di fronte ad una lavagna a me ignota, luminosa, munita di tasti, frecce, che registra whatsapp , voci, messaggi. Ti avvia ad un mare, ove, nocchiero, puoi navigare. Lo dicono “internet”. Offre gli approdi negli angoli più remoti del globo. Mi impegno a capire, analfabeta moderno, per imparare almeno a firmare! “Suonato”, come pugile seduto nell’angolo, mi rialzo, pronto a sprigionare ogni mia forza acquisita, concentrata su fogli sbiaditi dal tempo: appunti di storia, filosofia, fisica, storia dell’arte, le più recenti nozioni di anatomia, del Taoismo cinese: ricordi consumati negli stanzoni di un classicismo scolastico, universitario, autonomo, echi di voci auliche di docenti autorevoli, passati alla storia. Quanta polvere negli anfratti di un cervello invecchiato! Svolazzando come farfalla, mi poso su ognuno, commosso, li leggo, li esprimo su fogli più bianchi in toni, considerazioni, ironia dell’uomo nella tarda maturità, li offro alla critica, al giudizio degli altri. Nel risveglio di un sogno esprimo il mio futuro, la mia ricchezza, la mia applicazione. In fondo, danzando sul ring, restituisco i colpi nel mio linguaggio usuale.» (Dall’Introduzione)

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Zibaldone Norvegico

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«Scelsi la poesia lasciando perdere tutto il resto, vivo in Norvegia dal 1957, la mia lingua quotidiana è il norvegese, la lingua italiana l’ho adoperata completamente per scrivere. Il vangelo adoperato come poetica. Mia moglie ha avuto quattro figli avendo una vagina particolarmente esplosiva, dopo lavorato in fabbrica mi rinchiudevo in una cameretta e mi preoccupavo solo della scrittura … il sottoscritto poeta è tanto delinquente che se la ride di tutto il nostro male … Corpi di reato reperibili: Poesie blasferiche e tutte sgraffigniate».

Se c’è una cosa che più di tutte è riuscita a Luigi Di Ruscio è mettere in difficoltà non solo i suoi lettori, ma anche i critici, persino gli studiosi che più di altri lo hanno sostenuto e apprezzato … Come capita in tutti gli autori classici ha continuato a scrivere sempre lo stesso libro approfondendo gli identici temi.
ANGELO FERRACUTI

Di Ruscio è stato il poeta ruzzante di un corpo titanico mai separato dalla vertigine dell’anima e dalla materiale quotidianità dell’esserci per la vita, fino alla morte. La sua ostinazione etico-politica, il suo comunismo fragorosamente poe- tico, unito alla sua olimpica trascuratezza per le strategie letterarie, hanno fatto il resto.
MAURO F. MINERVINO

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Prefazione di Angelo Ferracuti
(Nota di Mauro F. Minervino)[koo_icon name="undefined" color="" size=""]


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