Non rispondere
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È una storia semplice di ordinaria violenza domestica. Maria, ancora bambina, vive serenamente con la mamma in una piccola casa di paese, il padre è lontano per lavoro, emigrato in Germania, e rientra ogni tanto in seno alla famiglia. Questi rientri brevi sconvolgono la vita della bambina poi ragazzina poiché vive la figura paterna con un forte senso di intrusione e addirittura rifiuto. Il padre, di fatto, è un uomo rozzo e violento che esprimerà tutta la sua cattiveria soprattutto quando rientrerà stabilmente in famiglia. A parte il carattere e l’abuso di alcool, la scintilla che farà degenerare ancora di più, se possibile, le relazioni familiari, sarà la nascita di una bambina che da lui è vista come una bastarda, figlia di chissà quale relazione clandestina della moglie durante la sua assenza. L’onda della violenza si amplifica sempre di più. I fatti vengono raccontati da Maria con sofferenza e chiarezza ma ciò che contraddistingue l’evolversi del racconto è il cammino interiore che da una situazione di apparente calma e tranquillità evolve verso il dramma per poi tracollare in una situazione di “mare calmo” in cui tutto, apparentemente sembra svanire. Non è questo il punto centrale del racconto poiché il messaggio che vuole mandare è che esiste la possibilità di uscire dai propri drammi e dalla violenza. Il racconto si spinge ancora più avanti nella ricerca di un’altra conclusione che non sia quella di cedere alla violenza e combatterla con le sue stesse inumane armi ma piuttosto apre alla possibilità di uscire dalla solitudine dei pensieri ossessivi e dal silenzio che si consuma dentro le mura domestiche attivando il coraggio di chiedere aiuto alle persone e alle giuste istituzioni. Nel finale alternativo Maria avrà la fortuna di incontrare istituzioni e persone giuste e, per questo, la sua vita potrà essere riscritta daccapo.
Non vergognatevi di me
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Primi anni Novanta. L’epoca del terremoto politico di Tangentopoli. La fine della Prima Repubblica.
Gli anni degli arresti celebri, della lotta alla corruzione ed anche della caccia alle streghe. Gli anni affannati di una società implosa in se stessa e alla ricerca estrema di un nuovo assetto sociale prima che politico.
Quegli anni, che ormai sono diventati la “storia” del nostro Paese, sono stati raccontati attraverso centinaia di parole, interpretati in film e fiction, scandagliati in mille modi diversi, analizzati in ogni sfaccettatura, studiati al microscopio.
Ma anche la migliore delle analisi corre il rischio di rimanere sulla superficie delle cose. Sfiorandole soltanto.
Perché quella Storia è fatta di piccole storie che si intrecciano e confondono, sfuggendo alle nostre letture più attente.
In queste pagine Antonio Chieffallo ci racconta una di quelle piccole storie. Le storie dietro le quinte che nessuno conosce o è interessato a conoscere. Storie fatte di arresti, notti insonni, paure, improvvisi atti di coraggio, legami familiari che vanno oltre ogni cosa.
A dare il titolo al libro, una frase racchiusa in un biglietto fatto recapitare ai figli da un agente penitenziario quattro giorni dopo l’arresto. Poche parole, riportate su un foglio a righe piegato in due:
«Non vergognatevi di me, sono innocente. Papà».
Nelle sue parole accorate potrete riconoscere solo una grande, grandissima, dichiarazione d’amore filiale. Perché d’amore sono fatte sempre tutte le piccole storie degli uomini.
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Non voglio giocare
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Raccontare il dolore significa superarlo e offrirlo agli altri come momento di condivisione. Così l’autore di questo piccolo grande libro apre la sua anima e da quello scrigno segreto viene fuori un angelo alato di nome Daniela che accompagna il lettore per tutte le pagine della narrazione e per sempre. È questo il miracolo della scrittura: dare vita a chi non è più ed eternarlo. E dunque la storia di Daniela “Piccolo Fiore”, di Marco, di Roberta, di “Penna Bianca”, di un paese che coralmente si stringe attorno alla sofferenza di una famiglia diventa la storia di ognuno di noi. E prende lentamente i contorni cromatici dell’evanescenza quasi a dirci che anche il dolore più straziante quale la perdita di una figlia, può essere lentamente diluito nel tempo grazie alla speranza, alla fede, al sorriso e alla “corrispondenza d’amorosi sensi” tra chi non c’è più e chi resta. E Daniela è qui, con noi e in mezzo a noi.
Nuotando sotto terra
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Filippo è un ragazzo calabrese che frequenta l’Università a Roma. La sua vita scorre in modo spensierato come quella di qualsiasi studente fuori sede. Una telefonata imprevista da Cosenza interromperà la sua routine e lo metterà di fronte a scelte che affronterà sostenuto dal dovere, dall’incoscienza, dall’amicizia, dalla passione e dal senso di appartenenza alla propria terra. Sarà coinvolto in qualcosa di entusiasmante ma che, nello stesso tempo, lo porterà a fare profonde riflessioni sulla propria vita. Saranno molto importanti per lui i suoi amici, ma sarà soprattutto il “particolare” rapporto con una di loro, Carolina, che lo aiuterà ad ascoltare intensamente se stesso.
Oltre
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Era comune tra maschi, durante l’adolescenza, cercare il confronto, scoprire la maturità sessuale, dimostrata e sancita attraverso rapporti che assumevano il valore di riti iniziatici. Con la maturità avrebbero rinnegato il disordine della natura umana per adattarsi all’ordine sociale. …Iniziò a cadere una pioggia densa e sottile. Una larga macchia vermiglia si allargava sulla camicia d’Aristej. Non sentiva dolore, ma non riusciva a muoversi e ad aprire gli occhi. Udiva i singhiozzi delle donne adunatesi. Un rigagnolo iniziava a districarsi tra la polvere della strada, come di un maiale appena sgozzato.
Paese del vento
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Una lunga metafora che racconta una storia d’amore e di passione alla ricerca di un paese dell’infanzia. Ci sono i personaggi e ci sono viaggi. Un andare, comunque, non incontro al tempo ma dentro il tempo. È la storia di Isa che va alla ricerca del suo Diego. Incontri, attese, speranze e mistero. Ci sono appuntamenti mancati e appuntamenti non colti. Oltre alla metafora ciò che caratterizza questo racconto è il linguaggio, con un intreccio tra fantasia e memoria. Isa non ritroverà il suo Diego, ma continuerà a viaggiare sino a quando ci sarà il viaggio nella vita e nei luoghi della metafora.
Parlamento contro… luce
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Natino Aloi ha sempre vissuto la politica come servizio ma soprattutto come dimensione etica dell’esistere, ma non può accettare una politica non di idee, ma di compromessi di mera occupazione di poltrone.
Parlo a te
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“Parlo a te” è una profonda analisi dei comportamenti individuali e di gruppo che creano le fondamenta, attualmente non salde, per una vita sociale e politica libera. È un libro trasversale che, con l’ausilio dello psichiatra, porta a smascherare i falsi miti che impediscono il raggiungimento della libertà dell’uomo e dei popoli. “È un riciclare continuo quello che ci hanno fatto nel corpo e nell’anima nei primi dieci anni di vita. La proiezione continua di un nemico che da esterno è divenl’uomo per affiancarlo nella riscoperta di se stesso e dell’Altro, che è anche la sua salvezza. “Ci vuole un Tu per concepire un Io… La Tua solitudine di base sarà sanata dall’essere Tu col mondo”. Il cammino per arrivare all’Altro, come amore, superando il concetto del nemico. La resistenza feroce per concepire l’amore. Intervallando scorci del proprio passato, ricordi di gioventù tra guerra e nostalgie borghesi, Fabrizio Di Giulio spiega la figura della donna, la violenza come reazione al Vuoto, l’autorità negativa. Inoltre, analizza il profilo inconscio del popolo italiano contrapposto all’aggressività distruttiva di alcune nazioni, la guerra in Iraq, la questione palestinese, l’eterna idea del nemico che non concepisce i bisogni dell’Altro. L’autore conclude con uno scritto fondamentale, che è la chiave del libro, intitolato “Considerazioni sul potere negativo”.
Passi felpati sui sentimenti di sempre
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“Nonno mi dai la mano?
Io felicemente stringevo la tua
tenera e calda.
Tu eri raggiante e felice
della mia che ti proteggeva,
ma ancor di più lo ero io.
Con la tua voce
da bambino
gentile e tenera
stavi conquistando
il mio tempo.”
“Nelle giornate goliardiche
affondano i miei intenti di poesia
passando per gli anni
a sopportar la mia vecchiaia.
Passione e morte
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L’amore di Claretta Petacci per Benito Mussolini è la tragica allegoria di una passione in cui recita e teatro si frantumano e tutto sembra avere l’ironia del sogno. In questo amore il sogno, pur in un terribile finale, ha uno strascico tra le rughe e tra le righe che la storia, questa storia indivisibile, trascrive. L’incontro con Claretta ha il peso e la leggerezza delle pietre preziose.
Una donna che si lascia morire per troppo amore. Può essere il tentativo di un sogno che non passa. Ma la storia ha le sue note, le sue virgolette, le sue citazioni.
Il sogno che si fa diario e romanzo non ha la necessità obbligata di raccogliere le note a fine capitolo. Perché non c’è capitolo.
Tra l’amore e la morte si resta come volo appeso tra i venti dell’attesa.
Dunque. Passione e morte di un amore. Sulle piazze si giudica.
La rappresentazione è aperta al pubblico, ovvero ingresso libero.
Claretta, austera, ha lo sguardo stanco ma senza i segni dell’oblio. Ora parla più piano e si avvicina al suo Ben.
È mai possibile processare la passione e la morte di un amore?
Claretta cammina, con il visone sulle spalle, con la luce negli occhi e il suo passo sembra danzare. Saranno le scarpe con i tacchi alti.
Una danza che ha onde di giovinezza e di forza.
Nei suoi ricci capelli il volto ha la bellezza dell’amore. Danza sulle scarpe con i tacchi alti e riesce a tracciare il vento di un gioco inesorabile.
Verranno altri racconti. Altri racconti porteranno la cifra di testimonianze e di ulteriori annotazioni.
Altri racconteranno di questo amore ma le parole non basteranno più. Neppure quelle che recitano “Parla più piano…”.
Ma cosa resta?
L’amore, la passione, il rischio e la bellezza di una donna che ha saputo morire per il suo uomo.
Cosa si dirà ancora?
Una donna dagli occhi di tenerezza lunare, sui tacchi alti, stretta al suo uomo.
Claretta, sempre nella sua eleganza, non ha mai avuto il timore di morire per amore. E poi basta.
Senza più parole. Il punto è un obbligo.
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Patire fino alla sete
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Scritto in un periodo in cui campagne denigratorie e cambia-mento del gusto segnavano la fine dell’età daveroniana, Patire fino alla sete ha dovuto aspettare più di settanta anni prima di vedere la luce. Tema centrale del romanzo è l’inquietudine del sesso, l’ansia della ventenne Barbara di fare un’esperienza avvertita come “necessaria” e liberatoria, anche se contraria alle norme del perbenismo borghese. Sfruttando i moduli e le tipologie che avevano fatto la fortuna della sua narrativa, Da Verona capovolge lo schema canonico del rapporto erotico e al topos del maschio conquistatore sostituisce l’intraprendenza della donna affamata di sesso e pronta a offrire il proprio corpo senza pretendere dall’uomo altro impegno se non la disponibilità ad accettare la generosa offerta. Sullo sfondo di ambienti mondani e salottieri, alternati a scene di inquieta vita familiare, la vicenda si conclude con una sorta di ritorno all’ordine che sembra attenuare la dimensione “scandalosa”: quasi un programmatico gioco tra conformismo e anticonfor-mismo, finalizzato allo scopo di stimolare il senso del proi-bito e, insieme, di offrire al lettore la consolante certezza della validità del proprio sistema di valori. A prevalere, comunque, è la componente trasgressiva, il vagheggiamento di voluttà e avventure che accomuna Barbara e il protago-nista maschile, delineato con connotati funzionali a sug-gerirne l’identificazione con l’autore. Motivi romantici e dannunziani si mescolano con altri di ascendenza fogazzariana, futurista, feuilletonistica, a creare un’atmosfera di tensione liricizzante che, oltre ad agevolare il coinvolgimento del lettore, mira a nobilitare le passioni di eroi sprezzatori della mediocrità della morale comune. Alle cadenze retoricizzate e quasi musicali del racconto sono affiancate soluzioni ironiche e disincantate, in uno studiato contempe-ramento di registri stilistici che sembra rivelare, in Da Verona, la lucida consapevolezza delle proprie amplificazioni.
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Pellegrinaggi e peregrinazioni
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Il pellegrinaggio: un reticolo di strade, nodi, giunzioni, luoghi di sosta e d’incontro di uomini e donne provenienti da paesi e culture diverse, di lingue diverse, tutti mossi da uno stesso impulso ad andare, a raggiungere un luogo preciso, santificato da una presenza, una leggenda, una guarigione, per assolvere un voto, chiedere una grazia o ringraziare per averla ottenuta. La civiltà europea è in parte il risultato di quel reticolo di strade, di quegli imponenti flussi di gente di ogni specie e qualità, che nei contatti con gli altri e durante il cammino lasciava qualcosa di sé, della propria cultura di partenza, delle proprie leggende, tradizioni, usanze mentre ne assorbiva altrettante dagli altri. Ma il pellegrinaggio non è solo un fenomeno europeo e tanto meno un’usanza nata nel Medio Evo e sopravvissuta fino ad oggi.
I saggi contenuti in questo volume ne mettono in evidenza l’antichità e la diffusione in Paesi ben lontani dall’Europa, a oriente come a occidente e in entrambi gli emisferi del globo, e la differenziazione delle metodologie d’indagine è un’ulteriore testimonianza di quanto il fenomeno abbia investito e continui a investire di sé innumerevoli aspetti dell’esperienza e della conoscenza.
Pensieri dall’isola che non c’è
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Amedeo Croce, nasce il 01 giugno 1955 a Roma, dove vive e lavora. La sua arte di paroliere nasce quasi per caso nel 1996, in seguito alla scomparsa del Padre, che segna profondamente l’autore e, crea in lui il bisogno di esorcizzare le dolorose emozioni, scatenate da quel triste evento, scrivendole quasi per prenderne le distanze. La sua vena poetica matura poi nel 2000, in quell’anno infatti, una delle due figlie, si trasferisce oltre oceano per motivi di studio. L’autore, nell’impossibilità di parlarle quotidianamente, fissa su fogli momenti, emozioni, parole e fotogrammi della sua esistenza, facendo quel desiderio, realtà, di dare voce alle sensazioni… La sua anima inizia così a raccontarsi, per mezzo della sua penna… e non solo… Artista eclettico, si esprime in una infinita trama, tra pensieri, poesie, disegni e dipinti, espressioni tutte della propria anima e creatività…
Perché ti amo
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Il passato, brutto o buono che sia, condiziona sempre le nostre azioni. Questo vale soprattutto per la violenza, che produce effetti devastanti nel momento in cui una persona la subisce e condiziona inevitabilmente il suo presente e il suo futuro.
Parlare di questi argomenti è importante.
Il libro racconta infatti un’esperienza di violenza domestica e mostra le profonde ferite che ne conseguono. Dunque queste pagine vogliono dar voce al dolore, spesso taciuto o nascosto, di tutte le donne che vivono situazioni simili, nel tentativo di sollecitare una presa di coscienza diffusa intorno al fenomeno, e di alimentare pratiche concrete orientate alla prevenzione.
Per l’autrice il passaggio attraverso la violenza e la sua faticosa rielaborazione hanno rappresentato anche l’occasione per scoprire una dimensione di impegno militante, per cui di recente ha promosso la fondazione dell’Associazione Camerunese di Lotta contro le Violenze sulle Donne (ACLVF).
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Permani
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Lo straordinario viaggio di un adolescente, silenzioso e alienato, e un vecchio, che si ritrova a fare il nonno suo malgrado, costretto a passare le vacanze insieme a un nipote del quale sa pochissimo e non gli interessa sapere di più.
Il viaggio dilata tempi e spazi, produce suggestioni, tiene i viaggiatori sospesi in un’indolenza emotiva ed esistenziale, crea intorno ai due protagonisti una sorta di contenitore miracoloso tappezzato di libri, di citazioni, di storie che rimbalzano dalle pagine, di momenti di straniata poesia, di stralci di storia politica che conduce alle lotte proletarie, al terrorismo e a fatti di storia contemporanea.
Nel punto d’incontro dei mondi paralleli avviene una meravigliosa metamorfosi. Quel vecchio, dalla visionarietà obsoleta, si fa nonno e quel ragazzo si trasforma in nipote sancendo un legame indissolubile tra i due.
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Poesie del taschino
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La raccolta “Poesie del taschino” si forma nel corso degli anni, là dove l’autore sceglie di vivere.
Le settantadue poesie sono il frutto del rapporto con i luoghi in cui si trova: Milano, Firenze, Tropea, Parghelia non sono altro che la progressione della sua espressione poetica e di vita.
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Poppea Sabina
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Poppea Sabina, moglie di Nerone, nell’età imperiale, mette in discussione fedeltà e pudicizia, singolari virtù della matrona romana. Disinibita e trasgressiva, ella oltrepassa lo stereotipo della donna di casa, casta e riservata, non curandosi del pudore e mostrando il suo mirabile corpo, vive nel piacere del “libero amore”: incontrare per una notte l’amante di turno o vivere ore di passione amorosa in riva al mare godendo della frescura delle acque marine e del tepore dei caldi raggi del sole estivo. Spregiudicata e puttana più di sua madre, dalla impara l’arte della seduzione, Poppea, non riesce, però a controllare la ferocia di quell’uomo che, in un momento di follia, la uccide unitamente al suo erede, lasciando Roma e il suo popolo, nello sconforto.
Portami all’America
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Chi parte e chi rimane. Tra dolorosi distacchi, abbracci che sanno tanto di addii, e la speranza di lasciarsi presto alle spalle le ragioni di scelte difficilissime e laceranti. Per tornare presto alle proprie origini. Nei luoghi dell’infanzia e di una giovinezza tutto sommato spensierata, anche se mai priva di rinunce e limitazioni. Il mondo dei sogni e degli affetti più cari, nel quale ricominciare a vivere, puntando con rinnovato vigore ad una agognata palingenesi esistenziale.
La storia dell’emigrazione italiana e, particolarmente, della Calabria trova attraverso questo romanzo una nuova, coinvolgente rappresentazione. Mettendo insieme, in un ordine che rappresenta anche e soprattutto la riproposizione degli elementi fondanti di una forte identità culturale, sentimenti, passioni, aspirazioni capaci, nonostante tutto, di resistere ad un tempo gramo e sofferto. A vicissitudini apparentemente senza via d’uscita.
Tutto si svolge nel 1907 e si sviluppa in parallelo fra i boschi della Sila, un bastimento di migranti diretto in America e la casa di John Vigliaturo a New York. Una città di ciclopiche sembianze, che sembra smantellare ogni traccia di dignità umana, ma che si dimostra alla prova dei fatti capace di restituire dignità e orgoglio a chiunque ne conosca la propensione alla modernità, che significa in primo luogo opportunità di riscatto civile e sociale.
La scena è tutta per la gente comune. Per chi diventa protagonista di un’esaltante avventura umana. Il megafono di una conquista che riporta l’uomo al centro della storia, con le sue debolezze, ma anche con le sue inespresse potenzialità.
Presunto suicida
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“Ricorda sempre – aveva cominciato a dire, quando, a 14 anni, Gianluca manifestava simpatie per una compagna di classe – ricorda sempre che anche l’amore, anzi, fondamentalmente l’amore deve essere guidato dall’intelligenza. Non innamorarti mai di una ragazza cretina, anche se bellissima. E ricorda anche che, con le donne bisogna sapersi divertire e farle divertire. Ne conquista più una sana risata che cento poesie”. “(…) Solennemente ti prometto che ti racconterò come tuo padre è morto realmente. Devi però lasciarmi la facoltà e la possibilità di scegliere io il tempo e la circostanza”. E se ora non fosse più uscito dal coma? Chi, finalmente, avrebbe detto a Gianluca la verità su una cosa così importante della quale, tutti quanti, quando interrogati, o quando per caso vi giungeva il discorso, sembrava volessero rifuggire?