Anno di pubblicazione | 2012 |
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Numero pagine | 232 |
ISBN | 978-88-8101-704-1 |
Collana | Thesaurus |
Formato | Cartaceo |
Autore |
Falcone Anna |
Manipolazioni genetiche sull’embrione umano: principi costituzionali e limiti di liceità
Prefazione di Augusto Cerri
Gli interventi di ingegneria genetica sull’embrione umano, dalla riprogrammazione del D.N.A., alla clonazione, all’ibridazione, fino alle sperimentazioni su tessuti embrionali e cellule staminali pongono inediti problemi di tutela di alcuni fra i più importanti diritti fondamentali, nelle specificazioni che essi assumono in ambito bio-genetico. Nel settore delle biotecnologie applicate all’uomo, infatti, accanto a promettenti opportunità di miglioramento della qualità della vita, grazie alla prevenzione e cura di molte malattie, si affianca, il rischio che tali tecniche vengano utilizzate per fini eugenetici o comunque contrari alla dignità e alla salvaguardia dell’identità e dell’integrità biogenetica dell’individuo e della specie umana. La possibilità di intervenire sul genoma umano prima e prescindere dall’evento nascita richiede, da un lato, la predisposizione di misure di salvaguardia anticipate a tutela dei corrispondenti diritti del nato. Per altro verso, le più gravi violazioni ai diritti inviolabili dell’uomo, consumate tramite un’arbitraria e distorta manipolazione genetica di embrioni, cellule e gameti umani, pregiudicano importanti diritti fondamentali anche di altri soggetti, presenti o futuri, pur non direttamente interessati dagli interventi biotecnologici. Il legislatore italiano ha disciplinato la materia nella legge 19 Aprile 2004, n. 40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, subordinando la liceità e l’esperibilità degli interventi genemanipolativi sull’embrione umano – e di tutte le attività ad esso correlate, come la diagnosi preimpianto, le embriosperimentazioni, la crionservazione ecc. -, ad un assetto normativo eticamente condizionato, piuttosto che costituzionalmente orientato. L’affermazione di una opzione legislativa fondata su divieti e preclusioni, più che su controlli, su una specifica valutazione del rapporto rischi-benefici e sulla tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, ha finito per impedire anche ogni intervento di riprogrammazione genetica a fini terapeutici sull’embrione, vanificando la possibilità di garantirne adeguatamente la salute e l’aspettativa a nascere sano. Altrettanto, da una diversa angolazione, ha limitato fortemente la diffusione di analoghi benefici a vantaggio degli individui già nati e già “persone”. La sanzione di illegittimità costituzionale di alcuni fra i più severi divieti imposti dalla legge n. 40 ( C. Cost. sent. 1° aprile 2009, n. 151) riapre un dibattito mai sopito sui “limiti di liceità” degli interventi sull’embrione umano e sulla necessità di rifondare l’intera disciplina in base a parametri costituzionalmente certi e coerenti con i princìpi e i diritti fondamentali emergenti in materia. Tanto, nella speranza che il progressivo delinearsi di un “Diritto Costituzionale della biomedicina” possa contribuire a rendere più plurali, laiche, stabili e socialmente condivise scelte normative che incidono tanto significativamente su diritti e libertà di rango primario, per loro natura insuscettibili di coartazione morale o limitazioni ingiustificate imposte tramite lo strumento del diritto.
Editorial Review
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