‘Ndrangheta: la setta del disonore
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Uno studio tanto succinto quanto risoluto e determinato, quasi un pamphlet contro la scontata congerie di luoghi comuni su pretesi codici di onore della ’ndrangheta. Saverio Di Bella traccia un’essenziale storia di questa associazione a delinquere, ‘scremando’ anche le prime fasi sette-ottocentesche di essa dalla falsa retorica dell’onore che ha fatto spesso di truculenti briganti improbabili antieroi dei Borboni o della Santa Sede.
Cesare Mori
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La cultura dominante – dopo averlo etichettato come un rude poliziotto al servizio di un regime illiberale – ha finito per relegare Cesare Mori in un limbo dal quale non è mai riuscito ad emergere, malgrado i suoi indubbi meriti. In questo saggio a sfondo biografico l’Autore traccia un profilo nuovo e, per tanti versi, sorprendente del «prefetto di ferro». Alla luce di una documentata analisi, numerosi luoghi comuni risultano clamorosamente smentiti e molti episodi trovano la loro corretta collocazione nel contesto storico e politico in cui Cesare Mori operò. Anche le molteplici analogie tra un passato meno lontano di quanto non sembri ed un presente che non se ne discosta poi tanto, vengono puntualmente sottolineate in una ricostruzione da leggere al di fuori di schemi precostituiti.
Corpo e potere nell’ideologia ‘ndranghetista
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Il boato del tritolo dimora ancora nel mio condotto
uditivo che sfocia nei neuroni, scorticando la corteccia
celebrale. Ho memoria di quella mattanza: avevo 17 anni e
ho scolpito nel cuore il sorriso di Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino, e nella mente le terribili immagini di quei mesi.
Mi sono chiesto ripetutamente, dopo la strage di Capaci, in
quei maledetti 57 giorni che intercorsero tra il 23 maggio e
il 19 luglio, come Paolo Borsellino affrontò la morte, perché
sapeva di essere ormai condannato a prendere congedo dalla
vita. Cosa sentiva in quei giorni, come passavano le sue ore,
come si svegliava, come andava a dormire, cosa sognava?
Come ha fatto a prepararsi con coraggio e fermezza a una
morte così orribile? Quale Pedagogia, doverosamente al
maiuscolo, l’ha sorretto? Per 57 interminabili giorni, Paolo
Borsellino ha danzato sui carboni ardenti della morte, fino a
restarne orrendamente bruciato. Il suo corpo è stato mozzato
dall’esplosione di 100 chili di tritolo piazzati a meno di un
metro da lui, in corrispondenza del citofono dell’abitazione
della madre.
Cosenza ‘ndrine sangue e coltelli
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Per capire oggi la ‘ndrangheta bisogna inforcare occhiali con lenti bifocali.
La mappa da mettere a fuoco parte dalla Calabria, ma spazia su tutti i continenti: dall’Europa all’Oceania. La ‘ndrangheta, però, prima di essere globale è soprattutto locale, un mix di sangue e potere, un sistema disumano di violenza combinato con un sofisticato meccanismo di connessioni politico-finanziarie. Le lenti bifocali servono a vedere lontano, ma anche vicino, a due palmi di naso. In Calabria, la ‘ndrangheta è potere, contiguità con le élite locali, controllo del territorio, consenso e compromesso. ‘Ndrine, sangue e coltelli racconta la storia della criminalità organizzata a Cosenza e nel cosentino. Da Stanu De Luca a Luigi Pennino, da Luigi Palermo a Franco Pino e Franchino Perna.
Gli autori
Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, è uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta. Ha indagato sulla strage di Duisburg e sulle rotte internazionali del narcotraffico.
Antonio Nicaso, Storico delle organizzazioni criminali, è uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta nel mondo. Ha scritto 18 libri, tra cui alcuni bestseller internazionali.
Valerio Giardina, Tenente Colonnello dei Carabinieri, comanda la Sezione Anticrimine del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) di Reggio Calabria. E’ uno degli investigatori più attenti nella lotta alla ‘ndrangheta.
Fratelli di sangue
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LA STORIA, LA STRUTTURA, I CODICI, LE RAMIFICAZIONI.La ’ndrangheta è ricca, forse più ricca di Cosa Nostra. Ha un volume di affari che si aggira intorno ai 36 miliardi di euro. È potente, pervasiva, ha ramificazioni internazionali, ma non fa notizia. Gratteri e Nicaso raccontano come questa organizzazione sia riuscita a rafforzarsi nel silenzio e ad adeguarsi alle esigenze del mercato, senza mai venire meno alle proprie caratteristiche, alle proprie regole e ai propri valori, come il silenzio e il vincolo di sangue. Da qualche decennio, è leader incontrastata nel traffico di cocaina dal Sud America verso l’Europa, ma per molti continua ad essere una versione stracciona, casareccia della mafia siciliana, un fenomeno tipico dell’arretratezza, rinchiuso in Calabria nella monocultura delle faide. (Nicola Gratteri, sostituto Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, è uno dei magistrati più esposti nella lotta contro la ’ndrangheta. – Antonio Nicaso, scrittore, ricercatore, consulente, ha pubblicato tredici libri sulla criminalità organizzata in Italia e nel mondo, tra cui diversi bestsellers. )
Il caso Lucky Luciano
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La storia della Sicilia è ancora piena di misteri sanguinosi, di vuoti di conoscenze preoccupanti, di menzogne che il potere – a volte lo stesso Governo pro-tempore – smercia come verità e di verità che il potere cerca di confinare nella menzogna, di affogare nella palude dei dubbi, di nascondere tra le nebbie delle incertezze, di cancellare tra i delitti come delitti. tenuto conto di questa situazione straordinaria, risulta apprezzabile lo sforzo compiuto da Gaetano Rizzo Nervo di ricostruire storicamente le vicende che hanno legato Lucky Luciano – personaggio leggendario del crimine di tipo mafioso – alla CIA, all’esercito degli Stati Uniti, ai servizi segreti italiani, o loro deviati spezzoni, e ad uomini e forze politiche le cui scelte decisive non sempre sono avvenute alla luce del sole. A intervalli più o meno lunghi la mafia siciliana si è adoperata per realizzare piani destabilizzanti di separatismo. Rizzo Nervo scopre e rivela un progetto politico di Lucky Luciano vòlto a provocare la secessione della Sicilia dall’Italia, un progetto portato avanti con simboli, strutture organizzate capillari e fondi adeguati. Il libro di Rizzo Nervo – che è anche un prezioso testimone, avendo, come giornalista, frequentato Lucky Luciano dal 1958 al 1962 – ha il fascino di un romanzo. La verità ancora una volta supera e vince la fantasia, illuminando con la sua forza anni oscuri e sanguinosi della nostra storia.
Il crimine in America
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Gli studi sul crimine organizzato e sulle mafie in Italia sono ancora troppo condizionati da esigenze politiche contingenti, per cui determinati e fondamentali settori di attività della malavita organizzata restano incomprensibili ed oscuri per mancanza di ricerche adeguate e pertinenti. Altrettanto oscure restano le risposte date dallo Stato quando agisce per contrastare le azioni criminose delle mafie, in quanto anche questi aspetti della realtà italiana hanno, finora, suscitato scarsa attenzione da parte degli studiosi. L’antologia sul Crimine in America vuole sollecitare gli studiosi italiani a colmare le evidenziate vistose lacune. I mercati criminogeni, il ruolo di mobilità sociale dell’agire criminale per categorie sociali vittime dell’emarginazione dai poteri e dai saperi, gli effetti devastanti della pervasività di tipo mafioso e della corruzione nella società civile e negli apparati repressivi, le difficoltà di creare e applicare efficaci norme anticrimine di cui si occupa l’Antologia, offrono sollecitazioni e spunti validi per stimolare e arricchire, allargandone gli orizzonti, gli studi fatti in Italia sulle mafie. La qualità degli studi selezionati offre anche una lezione di metodo preziosa per chi voglia cimentarsi su terreni ancora largamente inesplorati, anche per la consapevolezza dell’importanza civile di questo tipo di ricerche.
Il gergo della malavita in Calabria
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Francesco Spezzano (1903-1976) – avvocato e sindaco di Acri per molto tempo, senatore della Repubblica per quattro legislature, appassionato studioso della storia e delle tradizioni popolari calabresi – ha avvertito la necessità di effettuare la presente raccolta – che appare postuma – per colmare una lacuna riguardante il gergo della malavita. A partire dall’inizio degli anni Ottanta del XX secolo, con il salto di qualità verificatosi nei grandi traffici internazionali della droga e delle armi e nel riciclaggio del denaro sporco, si concludeva una fase storica della criminalità anche calabrese. È a partire da questi anni che anche il linguaggio malavitoso – rispetto a quello della fase originaria e rurale studiato dallo Spezzano – è radicalmente cambiato, divenendo più sofisticato e in linea con le nuove e non soltanto locali attività criminali. Il che rende il presente lavoro ancora più importante, perché evita che una certa esperienza culturale calabrese – seppure minore e minoritaria – legata al lato delittuoso della vita, scompaia senza memoria, rimanendo pertanto misconosciuta. A rendere difficile la ricerca ha contribuito il fatto che tutto o quasi è limitato all’oralità. Il poco ricavato dagli scritti è da considerarsi di uso comune. Le immagini, le metafore, le caricatutre di cui il gergo abbonda riescono a testimoniare la capacità inventiva degli ignoti che lo hanno rinverdito, eliminando foglie e rami secchi e dando vita a nuovi germogli. Il raggruppamento dei termini secondo la materia cui essi si riferiscono, permette una classificazione oggettiva in base all’accezione dei termini stessi. In tal modo si agevola la ricerca dei singoli significati e si ottiene anche una visione d’assieme della materia alla quale ogni capitolo si riferisce.
Il Piccolo Gatsby
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Scrivo questa nota di prefazione assai poco canonica con un piacere
particolare, il piacere di uno scommettitore nemmeno troppo
clandestino che punta forte sulla realizzazione di un’ipotesi e ne verifica
l’esito positivo. Mi sembrava, quando l’autore del libro me ne
ha anticipato il soggetto, che stesse per correre un grosso rischio:
quello di scrivere «l’ennesima» biografia di boss in cui tutto si confonde
e tutto sembra uguale a tutto, da Al Capone a scalare fino anche
al «piccolo Gatsby» Rocco Perre/i. Ma pensavo anche che forse,
per quel poco che conoscevo di lui, della sua biografia romanzabile,
del suo talento scrittorio, della sua curiosità e sensibilità ben oltre la
vena giornalistica, l’Autore sarebbe riuscito a evitare l’indistinzione
firmando appunto «autorevolmente» un libro che meritasse di essere
letto e non si mescolasse poco più che anonimamente in un genere,
appunto già così frequentato.
Ho vinto la mia scommessa, Antonio ne esce alla grande. Nella
forma, nel modo di raccontare, e nella sostanza, nel quadro di riferimento
che adopera. Quando definisce Olive, che ha dato due figlie
spurie al boss venendone pessimamente rimeritata fino al suo suicidio,
una ragazza che piangeva «come una vite potata troppo tardi», o
quando spiega che il detective Zaneth non avrebbe fatto la carriera
istituzionale che doveva perché in realtà era uno «Zanetti, nome dalle
troppe vocali» in Canada a quei tempi (a quei tempi?), o quando
stigmatizza l’epoca del proibizionismo come quella del «regime secco
», Nicaso utilizza il talento della sua scrittura insieme semplice e
nitida per centrare un bersaglio con grande precisione. Le cose sono
quelle, e non altre.
Insegnare che cos’è la mafia
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In linea con propositi e volontà più volte formulati ma assai spesso rimasti allo stadio di un pur lodevole auspicio, Maria Grazia Giammarinaro ‘porta’ la mafia nella scuola, articolandone lo studio e l’insegnamento sulla base di una metodologia di particolare rigore e modernità. L’impatto con la conoscenza di un fenomeno così complesso, infatti, è da un lato articolato su una programmata gradualità di apprendimento nell’arco della scuola media primaria e secondaria, dall’altro agevolato dai ‘flash’ che traducono nella formula immediata della cronaca o del racconto documenti ed episodi inseriti a chiarimento dei più variegati aspetti del fenomeno mafioso. Lo studio della Giammarinaro si offre quasi come ‘libro di testo’ per una ‘materia’ il cui insegnamento, nell’Italia meridionale, dovrebbe essere reso obbligatorio.
Interviste “impossibili”
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Il valore dei ricordi, il racconto di uomini, vite e
passioni ormai lontani nel tempo: è il modo migliore
per trasmettere a chi verrà traccia di chi già è stato. È
l’antidoto più potente da utilizzare per impedire che
intere epoche vengano ingoiate dall’oblio del tempo.
Questo lavoro di Felice ci consente di riscoprire
parole, luoghi, volti, destinati altrimenti a essere
smarriti per sempre.
Risuonano nella mente le parole che William Shakespeare
affida a Macbeth. “La vita è un’ombra che
cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia
la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È
un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e
furore, significante niente”.
L’idea di incontrare personaggi, vissuti nel passato
nell’amatissima Palmi, è il miglior regalo che l’Autore
potesse fare a quanti, come me, sono arrivati dopo;
e a quanti ancora arriveranno.
Grazie a lui nulla andrà perduto.
Arcangelo Badolati
La camorra
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Un lavoro agile e veloce per chi voglia conoscere le origini di un’organizzazione criminale tristemente attuale. La scorrevole sinteticità di esposizione non sacrifica la completezza dell’indagine alla quale sono di utilissimo supporto una bibliografia essenziale, una trascrizione di significativi documenti di archivio e le schede biografiche dei più noti camorristi ‘d’annata’.
La mafia
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È una dettagliata storia della mafia dai primi dell’Ottocento al 1950, elaborata da Francesco Brancato sulla base di due relazioni stese per incarico della Commissione parlamentare d’inchiesta operante dal 1963 al 1974. Ci troviamo di fronte alla migliore opera di ricostruzione storica del fenomeno mafioso dalle origini agli anni Cinquanta, un modello interpretativo ricco di certezze acquisite, di intuizioni convincenti, di suggestioni illuminanti e di novità suffragate da acute analisi basate su inoppugnabili documenti di archivio.
La mafia come metodo e come sistema
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È una storia della mafia dall’Unità d’Italia al maxiprocesso del 1987, lungo il cui svolgimento gli Autori hanno la possibilità di allestire una dettagliata panoramica dei momenti economici e sociali che di volta in volta la hanno alimentata e, soprattutto, un lucido esame delle condizioni e degli eventi storici e politici che le hanno dato la possibilità di crescere e motivarsi: la volontà di resistenza antiunitaria dei Borboni e della Santa Sede, la tenacia del latifondo, la subcultura rurale, il separatismo siciliano, il Fascismo, il secondo dopoguerra, la gestione del potere.
La Storia di “mano di gomma”
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Prefazione di Antonio Nicaso
Il libro di Antonio Anastasi è la prima biografia di Nicolino Grande Aracri, uno dei boss più potenti e spietati della ’ndrangheta. Vertice indiscusso di una cosca che da Cutro si è proiettata nel Nord Italia, soprattutto in Emilia, Grande Aracri ha sfidato equilibri centenari della ’ndrangheta con il suo progetto di una nuova “provincia” mafiosa, autonoma e paritetica rispetto al crimine di Polsi, l’organismo di raccordo che da sempre governa la mafia calabrese. Il libro ricostruisce le relazioni del boss con imprenditori, massoni, uomini politici, fino al tentativo di collaborazione con la giustizia con cui Grande Aracri puntava a salvare i suoi familiari dalle nuove indagini alterando dati processuali. «È una finestra sul mondo oscuro e pericoloso della mafia calabrese, in cui le alleanze e le rivalità, le tradizioni e le leggi non scritte si intrecciano in un labirinto inestricabile di violenza e potere», scrive Antonio Nicaso nella prefazione.
ebook - cartaceo
Le lunghe notti di Medea in Calabria
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Le sorprese fanno parte del vissuto ed entrano di diritto nella storia. E sono tali perchè assolutamente impreviste. Nessuno aveva ipotizzato l’ingresso e la carriera criminale delle donne in una organizzazione esasperatamente maschilista come la ‘ndrangheta …
Mafia e potere alla sbarra
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La storia attraverso i processi: da Vizzini ad Andreotti da Contrada a Dell’Utri fino a Cuffaro con prefazione di Nicola Tranfaglia. La storia della mafia siciliana si può raccontare da punti di vista diversi. Uno dei più interessanti è quello di raccontarla attraverso gli atti giudiziari riguardanti l`iter di alcuni processi dai quali emerge l`esistenza di stretti rapporti tra mafia e politica. Il primo di questi processi, celebrato per legittima suspicione nel tribunale di Cosenza anziché in quello di Palermo, vede alla sbarra alla fine degli anni quaranta Calogero Vizzini, il capo assoluto della mafia siciliana alla caduta del fascismo. Il boss, insignito della croce di cavaliere della Repubblica per la collaborazione data agli angloamericani durante lo sbarco in Sicilia del 1943, se la cava senza fare nemmeno un giorno di carcere per i gravi fatti di Villalba del 16 settembre 1944, dove, durante un comizio del segretario regionale del PCI siciliano Girolamo Li Causi, per puro caso non avviene una strage. I successivi processi riguardano il senatore a vita Giulio Andreotti salvato, al termine di un lungo e travagliato iter giudiziario, dalla prescrizione del reato; l`ex capo della squadra mobile di Palermo Bruno Contrada condannato con sentenza definitiva a dieci anni di reclusione; il senatore Marcello Dell`Utri, strettissimo collaboratore dell`attuale presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, condannato in primo grado a nove anni; l`ex presidente della Regione Sicilia e attuale senatore dell`UDC Salvatore Cuffaro, detto Totò, condannato in primo grado a cinque anni. Sia per Dell`Utri che per Cuffaro è in dirittura d`arrivo la sentenza d`appello.
ebook - cartaceo
Misterbianco
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Giorgio Bocca – nella sua illuminante Prefazione al volume – significativamente scrive: «La storia di questo libro è una storia di coraggio e di tenacia che dice no alla rassegnazione e alla violenza. Non è che la storia di Misterbianco e della sua amministrazione sia in tutto differente da quella di tanti comuni della Lombardia. C’è però una differenza decisiva: che chi resiste alle mafie in Lombardia non rischia la vita, ma chi resiste a Misterbianco appende la sua sulla punta di un bastone. Ci si chiede, leggendo questo libro, come abbia potuto Nino Di Guardo resistere alla tentazione di fuggire, di uscire dal groviglio degli interessi mafiosi che prima paralizza e poi terrorizza un amministratore onesto. Sono cose che l’inchiesta di Mani Pulite e della magistratura siciliana hanno messo in parte in luce, ma che erano in gran parte ignorate e coperte quando Di Guardo ebbe il coraggio di denunciarle. Parecchi dei politicanti e degli amministratori loro complici che Di Guardo ebbe il coraggio di sfidare ora sono stati raggiunti da imputazioni vergognose, hanno lasciato la politica, attendono i processi. Per una volta la storia ha dato ragione a un uomo onesto e coraggioso».
Politica e potere
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Il volume di Filippo Sabetti, Political Authority in a Sicilian Village – apparso nel 1984 negli Stati Uniti e reso finalmente accessibile al lettore italiano per mezzo della traduzione di Patrizia Niutta –, rappresenta un affascinante esempio di ricerca sul campo, inscrivibile in un filone – quello degli studi sulle comunità – che ha dato risultati stimolanti e alimentato polemiche feroci. La ricerca si configura come una verifica scientifica sui risultati di un’indagine territoriale a livello di microanalisi che si sviluppa lungo l’arco di tempo di quasi due secoli. Sabetti mette a fuoco le dinamiche per la conquista dei poteri – civile, economico, culturale, criminale – nel presupposto che gli stessi siano il frutto di un’intenzionalità ben definita a livello istituzionale o di una palese inadeguatezza di ordinamenti e politiche di governo, che sarebbero perciò alla base della disgregazione sociale di una comunità e del sorgere in essa di organizzazioni fuorilegge, ovvero, nel caso della Sicilia, di cosche e di mafie che offrirebbero luoghi altri alla competizione per i poteri e la mobilità sociale oltre ad essere centro di scambio di violenza non monopolizzata dallo Stato. I risultati raggiunti da Sabetti con questo studio sono tali da non poter essere ignorati anche da parte di chi non dovesse eventualmente condividerli in tutto o in parte.
Quando la ’ndrangheta sconfisse lo stato
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Introduzione di Arcangelo Badolati
Prefazione di Gianni Speranza
Particolari fino ad oggi sconosciuti. Aspetti intimi da un lato, ma anche di natura pubblica per ciò che rappresentava l’attività del sovrintendente Salvatore Aversa, ucciso dalla mafia insieme alla moglie a Lamezia Terme nel 1992. È quanto emerge da questo libro con la testimonianza diretta ed esclusiva del primogenito della coppia, Walter che, nel dialogare con l’autore, non si sottrare ad evidenziare i lati oscuri della vicenda, a partire dal racconto della supertestimone, Rosetta Cerminara. “Io sono sempre stato convinto che il suo racconto fosse ‘costruito’ in maniera da poter essere il più possibile preciso. Di sicuro oggi posso dire con assoluta tranquillità che quel processo ha avuto delle manine che lo hanno distratto, che lo hanno portato fuori binario. Io mi sono convinto dopo tutti questi anni che mio padre avesse avuto sentore di quello che si stava scatenando. Un ‘rimprovero’ lo faccio a chi, sopra mio padre, non aveva capito quanto era importante e che spessore avesse la criminalità a Lamezia”. Ma uno dei particolari più “scottanti” e sconosciuti all’opinione pubblica e alla stampa, è quanto accaduto poche ore dopo l’agguato mortale. “Tre uomini fecero ingresso a casa nostra, a poche ore dall’agguato. Due di loro, mai più visti, per un’ora e mezza rimasero chiusi nella stanza di mio padre. Cosa cercassero nessuno lo ha mai saputo”. Rimane un grande interrogativo “Chi ha fatto sparire le carte delle indagini su cui mio padre lavorava?”. Salvatore Aversa aveva capito che c’erano dei poteri forti, c’era qualche cosa di molto pesante che si stava organizzando contro di lui. La ’ndrangheta in quegli anni sconfisse lo Stato. Walter parla di “menti raffinate che lavoravano a stretto contatto con le famiglie criminali lametine e non solo”.