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Benevolenza

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Benjamin il cinema e i media

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“Trasferire piante dal giardino dell’arte alla terra straniera del sapere, per poter individuare i piccoli cambiamenti di colore e di forma che in tal modo si manifestano. La cosa più importante è la delicatezza nell’afferrare, la cautela con cui l’opera viene rimossa con le sue radici, che poi vanno ad arricchire il terreno del sapere. Il resto viene da sé, poiché nell’opera stessa sono contenuti quei pregi che dovrebbero chiamarsi critica nel soli senso più alto” (Walter Benjamin) – scritti di Theodor W. Adorno, Marcello Walter Bruno, Vincenzo Cuomo, Monica Dall’Asta, Roberto De Gaetano, Daniele Dottorini, Paolo Jedlowski, Suzanne Liandrat-Guigues, Bruno Roberti

 

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Bernardino De Bernardis

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Bernardino De Bernardis da semplice frate calabrese di Fuscaldo inizia una carriera punteggiata da successi tra Roma, Venezia e Varsavia con funzioni di alta responsabilità. Dalle sue lettere emerge un vero e proprio spaccato dell’epoca in cui visse. Trascorse quasi un lustro (1739-1743) in Polonia, quando per i buoni uffici di una dama di corte, Zanetta Farussi, madre di Giacomo Casanova, venne eletto Vescovo di Martirano in Calabria. Secondo noi, è qui il vero nodo di tutta la storia, perché una consolidata ‘vulgata’ ritiene che è il veneziano a conferirgli un alone di leggenda e di eternità. Dalla lettura del suo intero epistolario e delle carte d’archivio, emerge la figura di uno studioso colto e di un uomo di chiesa di integerrimi costumi. Per questo abbiamo ritenuto il De Bernardis degno della massima attenzione e abbiamo stilato una biografia che, accompagnata al romanzetto casanoviano, rafforza il valore e il contenuto della sua vita di uomo e di religioso”. Roberto e Francesco Musì

 

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Bernardino Telesio

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Mi sembra che si debba festeggiare, quando è dato incontrarla,
la buona divulgazione, in particolare in un saggio
come questo in cui tra l’autore e l’interprete si notano
gli elementi di ciò che mi piace chiamare un “necessario
rapporto”, la consapevolezza cioè che di quell’autore (nel
nostro caso il grande Bernardino Telesio) è diventato un obbligo
parlare ai giovani, al popolo, perché c’è una lezione
che preme per essere conosciuta a distanza di secoli; una
verità remota che si dichiara ineludibile, per spiegare un
mondo, la cultura di un’intera comunità, in un dato momento
storico o per sempre.
È il necessario rapporto per cui Vincenzo Segreti, assai
noto ed apprezzato storico di Amantea e come critico
di elegante, ma esigente talento, nelle pagine di “Calabria
Letteraria” e altrove, ha ritenuto opportuno dedicare la sua
ultima fatica a Bernardino Telesio, un filosofo, uno scrittore,
assolutamente caratterizzato dalla cultura dell’irripetibile
Umanesimo latino, un autore non facile né per lingua, né
per scelte intellettuali, tutte – comunque – lontane dal Novecento,
sinora prediletto da Segreti.

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Biografie di Personaggi noti e meno noti della Calabria

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(DALLA PREFAZIONE DI GIACINTO NAMIA) Carmela Galasso è un’attenta studiosa di storia calabrese. Il presente volume nasce da una lunga e amorevole ricerca di personaggi che dall’antichità a oggi hanno onorato in vario modo la Calabria dagli atleti agli artisti, dagli scrittori ai filosofi, dai politici agli scienziati ai santi. L’autrice non ha voluto tuttavia tralasciare, nella sua carrellata storica, personaggi illustri non calabresi di nascita ma che hanno operato autorevolmente in Calabria, come ad esempio l’archeologo trentino Paolo Orsi, i piemontese Umberto Zanotti Bianco – archeologo, filantropo e meridionalista – il glottologo tedesco Gerhard Rohlfs. La Galasso ha disposto in ordine alfabetico la trattazione dei singoli personaggi, le voci riportano sul personaggio biografato l’essenziale che serva insieme a inquadrare storicamente la presentazione e a orientare il lettore desideroso di informazioni rapide e sicure. È un metodo di lavoro che ha seguito circa un secolo fa Luigi Aliquò Lenzi nella sua opera ben nota Gli scrittori calabresi (Messina 1913, II ed. ampliata Reggio Calabria 1955). Ma l’Aliquò Lenzi, come si evince dal titolo, ha limitato la sua trattazione agli scrittori calabresi, dandole peraltro un taglio storico-critico, la Galasso ha scelto invece una posizione più neutra che privilegia i dati biografici e rifugge da giudizi di valore che possono apparire a volte troppo soggettivi o discutibili. Più recentemente la rivista calabrese “Quaderni Mamertini”, che esce a Bovalino (RC) ha curato (dal 2001) una serie di numeri unici dedicati a figure della storia calabrese. Ultimamente la rivista ha trattato in modo più specifico di studiosi calabresi contemporanei (anno 2006, numeri 66-67): una serie di Memorie di studiosi calabresi contemporanei redatte con grande diligenza da Rocco Liberti. I numeri monografici sono di ambito ristretto e limitato sia dal punto di vista della tipologia dei personaggi (studiosi) sia dal punto di vista della cronologia (solo contemporanei); le “memorie” sono dei resoconti di incontri d’autori. Il volume della Galasso è un’opera di consultazione che non vuole, e certamente non può, “fare il punto” sull’argomento, ma se mai stimolare il lettore interessato ad allargare la ricerca con opere più specifiche e con studi monografici, che sono disponibili su non poche delle “voci” trattate. È un lavoro apparentemente umile e di ambizioni modeste, ma l’autrice ci ha messo dentro il cuore e almeno una decina d’anni di fatica paziente e affettuosa. I lettori, che mi auguro siano molti e benevoli, le saranno riconoscenti e ne apprezzeranno l’opera ogni qual volta vi dovranno ricorrere per verificare un nome o una data o un atto relativo a qualche illustre personaggio calabrese dal passato più lontano a quello più recente. GIACINTO NAMIA

 

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Bisturi, fuoco e parola

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Che bisturi e fuoco rientrino nel novero degli strumenti di intervento della medicina greca antica (ma non solo), è abbastanza noto. In effetti, sebbene non siano le uniche pratiche operative, senza dubbio incisioni e cauterizzazioni rimangono maggiormente impresse nell’immaginario collettivo, dal momento che si presentano come le più ardue, nonché invasive e dolorose: non è un caso, probabilmente, che talvolta vengano con amara ironia considerate alla stregua di vere e proprie torture inflitte ai malati. Il volume, tuttavia, concentra la propria attenzione soprattutto sulla parola (logos), cui probabilmente si è meno abituati a pensare in termini di strumento medico. Invero, essa sicuramente è un elemento assai rilevante e strategico, in senso sia epistemologico (relativo, quindi, allo statuto della iatrikè téchne) sia polemologico (in riferimento, cioè, alle lotte contro i molteplici nemici dell’arte) sia, in modo particolare, dialogico (con riguardo all’imprescindibile collaborazione tra medico e paziente, alleati nella comune battaglia contro la malattia). Quanto ai primi due aspetti, è opportuno sottolineare non solo il fatto che gli autori ippocratici, pur con sfumature diverse, si sforzino di salvaguardare l’arte medica nella sua identità e autonomia mediante argomentazioni razionali, ma anche che la stessa arte che si vuole polemicamente difendere è tale perché è stata a sua volta razionalmente fondata. Detto altrimenti, il lógos non è in gioco solo in funzione del pólemos, ma pure, e in prima istanza, in quanto è alla base della téchne stessa: anzi forse proprio grazie a questa sua natura costitutiva può sussistere l’ottimistica convinzione di poter aver la meglio nei confronti dei rivali anche più agguerriti. Comunque, si può sostenere che anche la contrapposizione polemica (pólemos) ha contribuito moltissimo al lógos della téchne, in quanto le ha dato, nel momento della crisi (krísis), un ulteriore stimolo all’affinamento della sua stessa strumentazione logica, in modo che proprio quando la medicina fu costretta a difendersi diventò ancor più indispensabile pervenire a una più precisa autodefinizione come arte autonoma.

 

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Breve documento sulla “Nuova Filosofia”

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Sotto e sopra la cappa del cielo non è avvenuto nulla di così radicale che non si possano più ripetere le stranezze, gli orrori, le stoltezze, i crimini, le superficialità e le imbecillità che compongono i quasi otto decenni della storia del nostro eterogeneo secolo. Tutto quello che del passato ci procura tremore e terrore è presente, come attualità o come potenzialità, nella nostra quotidianità.
Perché una nuova signora Krupp non può regalare a qualche nuovo signor Hitler un nuovo e più efficace strumento di terrore e di morte? Perché un mediocre, ma solido, perseverante, tattico, abile impostore, membro di qualche comitato centrale, non potrebbe divenire un nuovo Stalin e portare a compimento, con maggiore destrezza e successo, azioni criminose, più di quanto non abbia fatto lo Stalin dell’URSS?
A questi “perché” crediamo che non si possa rispondere con i “ricorsi” storici di vichiana memoria. Certa storia non ha bisogno di ripetersi, è già qui, anzi è sempre stata qui; per individuarla basta che ci guardiamo intorno per qualche istante, scevri da qualsiasi forma di condizionamento politico-ideologico in cui siamo calati, scevri dal misticismo dei molteplici ruoli sociali che il conformismo dominante ci ha imposto…
(da Exordium)

Amici e nemici della società aperta non vuole essere semplicemente un confronto tra Popper e Pezzimenti – filosofi, che certamente continuano ad offrire spunti originali inerenti lo sviluppo della società aperta, per il modo in cui sostengono le ragioni di una cultura cosmopolita basata sull’integrazione fra i popoli –, ma il tentativo di abbozzare e proporre al lettore una suggestiva e accurata disamina all’interno della società occidentale, partendo proprio dal rapporto epistolare che i due pensatori ebbero alternatamente per circa un decennio, dal 1984 al 1994.

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Breve storia del mondo occidentale

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La storia del mondo in cui viviamo, le sue vicende politiche e sociali, la sua evoluzione nei secoli, i momenti di grandezza e quelli di debolezza. Una storia a tratti grande e importante e a tratti fortemente riprovevole. Una storia raccontata con la sensibilità di un figlio di questo mondo ma anche con grande rigore e con l’assoluta assenza di indulgenze e reticenze.

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Brio e malinconia

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Il libro di Gino Ragusa Di Romano ha il palinsesto delle vibranti malinconie. Il titolo? Suggestivo! La ricchezza è ciò che quel linguaggio-casa testimonia. Un libro importante che avvia un viaggiare tra scogli e memorie.
La parola nei linguaggi della poesia si autoesclude dalla materia. La parola non conosce la materialità. Conosce l’immaginario, la fantasia, la finzione della memoria. Una finzione che è un naufragare tra lo spazio e il tempo. Sottile. Specchiante. Riflesso. Spazio-tempo.
Ciò che “Brio e malinconia” emana. Il raccontare del linguaggio è comunque sempre una malinconia. Si pazienta. Si cerca l’oblio. Si giunge alla noia. Ci si abita nella parola. Chi usa la parola ha la necessità di usare il pensiero. Così nel viaggiare tra le percezioni e le emozioni.
La poesia di Gino Ragusa Di Romano  ha il sublime.
L’estetica vive nella letteratura. Senza estetica l’arte non avrebbe senso. In questo camminare scorrendo il vocabolario del linguaggio poetico si corre il rischio di essere annientati dalla folgorazione. Il rischio? Annientati? Certo. Perché la Affabulazione ha il mistero della magia. Nulla accade per caso. Tutto ha la volontà o il volere della rappresentazione in cui il mito si legge come Potenza. La parola non è forse Potenza?
La malinconia che scaccia il rimpianto non è forse volontà? Ragusa Di Romano vi sottolinea ciò.
(Dalla nota critica di Pierfranco Bruni)

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Bulimia di pensieri

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Mi addentrai nella sofferenza,

sviscerai il mio inconscio e tutte le forme d’amore finora sperimentate.

Sfondai i sassi sui sentieri,

senza lasciarmi finire.

Dare parole alla mia anima mi ha salvata;

mi ha liberata dalla maledizione dei mari in cui ero sommersa.

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C’è posto anche per te

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Il viaggio della memoria, trascina tutti i vagoni pieni di sensazioni, costumi, usanze, sentimenti. Un treno che viene da lontano, senza mai uscire dai binari. Prima che la locomotiva si rifiuti di trascinare i vagoni, ai giovani voglio raccomandare di non disperdere il contenuto e li invito alla manutenzione dei binari, per evitare di deragliare e tutto abbandonare. Vorrei che tutti questi scritti fossero un messaggio di buon auspicio per i giovani, oggi insoddisfatti, spesso amorfi, i quali guardando al passato, possano capire quanto tutto era sudato per potere vivere ed andare avanti onestamente.

 

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C’era una volta

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È una iniziativa davvero pregevole questo libro, edito dalla Pellegrini e curato da
Vera Segreti, che ripropone le favole di La Fontaine, dedicate ai più piccoli.
Ho sempre pensato che siano straordinari i caratteri usciti dalla fantasia di questa
grande figura di intellettuale, erede di Esopo e con il quale tutti, in quel momento
magico, straordinario e felice che è l’infanzia, siamo venuti a contatto, custodendoli
nei nostri ricordi e nel nostro immaginario.
Le sue favole popolate da animali, astuzie, abbondanti in ironia ed anche indicazioni
utili per la vita che ci porta a crescere, fanno sorridere, ma affascinano per le
lezioni che recano con sé.
Senza dimenticare che sono vere e proprie pagine letterarie e come tali è bene
che vengano proposte ai più piccini, ai quali va sicuramente trasmesso l’amore per
la lettura così come la capacità di stimolare il senso dell’immaginazione, della creatività,
del fantastico che, spesso, incredibilmente, somiglia tanto alla realtà.
Nella curata veste grafica, corredata da bellissime immagini si presenta un prodotto
editoriale che sicuramente si farà apprezzare.
Il nostro augurio è che questo libro possa diventare per tanti bimbi un sereno e
stimolante compagno d’avventure e di giorni lieti, cui magari ricorrere, di tanto in
tanto, nella vita da adulti, attingendo a quell’universo fantastico in cui parlano cicale,
formiche, volpi, corvi, spesso con strabiliante attinenza ai tempi correnti.
Sarà magari un tuffo per ripescare perle di saggezza presentate come favole. Il
che, a ben pensare, non guasta mai.

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C’era una volta…

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Sembrerebbe l’incipit di una bella fiaba: ”C’era una volta…”
Ma non trepide principesse e nemmeno cavalieri temerari  vivranno alla fine felici e contenti.
La parabola esistenziale dei protagonisti, apparentemente l’una discorde dall’altra, si ricongiunge in un consapevole e risolutivo  Golgota.
Il giovane seminarista diventa un impegnato professore di sinistra.
Il coraggioso e tormentato Don Anselmo prende su di sé l’ultima croce e si arrende al dolore del figlio punito dal Padre.
Entrambi tragicamente sconfitti.
E non c’è luce alla fine della strada.
Anche l’amore di gioventù di Don Anselmo, abbandonato per vestire l’abito talare, ha un nome profetico: Speranza.
Non c’è lieto fine per alcuno.
Non c’è per la sorella di Don Anselmo, suora e donna violata dai marocchini. Come tante. Come troppe.
Non c’è per la dolce Annina. E tantomeno per l’arrogante podestà.
In questo piccolo mondo, compreso tra l’agonia del fascismo, il trapasso della guerra e il coraggio disperato delle lotte contadine in Calabria, non ci sono vincitori.
Solo vinti.

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Caduti dalle nuvole

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Erminio Maurizi e Michele La Paglia raccontano la realtà con uno spostamento di prospettive. Un vero e proprio depistaggio.
Bisogna cambiare posizione più volte per entrare in questo racconto di versi e fotografie, parole e nuvole. Perché la cifra del
raccontare per versi e immagini sta in uno strano e straordinario contrappunto tra le parole e il movimento delle nuvole, la loro
composizione, il loro cromatismo, l’espansione o la riduzione. Le nuvole di La Paglia parlano ancor prima dei versi di Maurizi
così che bisogna adoperare un vero e proprio contorsionismo mentale e visivo per tenere insieme il quadro. Non si può fare altro
senza compromettere l’insieme. Ed è un bene. Un ottimo esercizio per chi legge che resta praticamente inchiodato a seguire questo
“nuvolare”. La distensione delle nuvole si accompagna, infatti, ad una distensione tematica, l’incresparsi e l’annerirsi dei nuvoloni
promette vento e pioggia di versi. Più spesso il lettore s’imbatterà in nuvole dense e nere, assai dolenti perché loro, le Nuvole, sono
il contrappunto lirico dell’animo del poeta che stanno fila a fila e a casaccio/ disseminate in ordine sparso/ spuntano come i funghi/
dopo il caldo con le prime piogge/ sfilano a stelo a palla a ombrello. Maurizi, da ottimo paroliere, ci avverte subito nella chiosa epigrafica
che quello che racconterà sarà arduo: Forse è nuvolo/ è nuvolo/ è ancora nuvolo/ è molto nuvolo/ è proprio nuvolo/ è sempre
più nuvolo. C’è , fin da subito, un climax sofferto che ora ascende e poi discende a strapiombo perché il “forse” iniziale è annullato
da quel “è sempre più nuvolo”. Il nostro tempo è nuvolo, sempre più nuvolo e non pare al poeta che ci sia molto da star contenti:
nelle nuvole finiscono/ pure i pensieri le brame le idee/ e quando piove le sorprese. Ecco: i versi di Maurizi raccontano il declino in
cui siamo immersi e le nuvole se lo risucchiano questo declino ed è per questo che si ingrossano e si arrovellano come testimoni di
una realtà senza sogno e, da sopra le nostre teste, ci sguardano tra il pietoso e l’irriverente. E per raccontare questo tempo nuvolo,
Maurizi utilizza un versificare particolare: i versi sono allungati in un andamento descrittivo, colmi di fratture, sincopati e spezzati
e ci offrono un racconto delle vicende umane odierne senza mai utilizzare un minimo segno di punteggiatura. Un versificare libero,
che è un quasi andare alla deriva, perché la virgola e il punto sono le reti del verso e, quando mancano, il lettore sente il senso estremo
di un imminente naufragio. Compaiono, subito, come in un squarcio di cielo, gli immigrati e sono come una pescata di alici/
portata a riva dalla paranza/ mentre qualcuna ancora guizza nella rete/ …pronte per essere fritte in padella/ arrivano su barconi
malconci/ nuvole sono transitate sulle loro teste/ per lo più il sole e niente mangiare…/ arsi assetati denutriti mansueti. Maurizi
utilizza perlopiù un linguaggio quotidiano comprensibilissimo perché certe storie non si possono dire se non con parole d’uso ma
poi alza il tono nello stile, nell’uso delle similitudini e delle figure retoriche ben studiate e nell’utilizzo di un’aggettivazione sorvegliata
che concede altezza alla parola del quotidiano. La realtà è auscultata nelle sue molteplicità: …

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Caino Lucifero e il Piccolo fioraio

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Un viaggio, un lungo viaggio, altro non è questo racconto, un continuo spostarsi alla ricerca della pace, o della cura se si preferisce. Come molto spesso accade nella vita, quando oramai, statici, nelle nostre certezze convinti di operare nel giusto e per il giusto basta un piccolo evento apparentemente banale, un gesto o molto più semplicemente un saluto, come nel caso del nostro protagonista, a far crollare tutte quelle certezze o pseudo-tali in cui un individuo ha deciso di arroccarsi sfuggendo alla curiosità di capire, alla possibilità di migliorare, alla necessità di cambiare. In questo racconto, per alcuni tratti autobiografico, è proprio questo che accade, un incontro, un saluto che stravolge la vita e quando tutto ciò avviene, bisogna ripartire da zero abbandonare le certezze, le conoscenze e avere la forza e il coraggio di affrontare tutto con spirito nuovo, con occhi da bambino, sapendo che ogni nuovo incontro, sia esso con un essere umano o con un evento della natura, può far progredire e quindi avvicinarci di un passo alla meta sperata, o indurre ad una regressione facendoci indietreggiare. Tutto sta a saper cogliere, attraverso l’esperienza, l’essenza delle cose e per fare questo bisogna avere uno spirito puro, senza sovrastrutture, coscienti del fatto che nel viaggio si è sempre accompagnati dalla nostra forza, ma anche dalla nostra debolezza, da tutto il bene che è vivo in noi, ma anche di tutto il male che alberga nelle sfere più recondite del nostro animo, la vera sfida è proprio questa, saper dialogare con entrambi rimanendo sempre se stessi, nella speranza di raggiungere la meta “se mai ne esita una”, ma l’essenza di questo racconto, secondo me, non sta tanto nel raggiungimento del traguardo, quanto nell’ importanza dell’intraprendere il cammino, nella curiosità che spinge il protagonista ad affrontare nuove avventure e disavventure, nella voglia di conoscere il mondo e se stesso, nella sfida eterna dell’uomo che tenta di superarsi giorno dopo giorno. Chi intraprende un viaggio, seppur ricco di insidie e senza la certezza di una meta precisa da raggiungere , ha però, pur sempre la possibilità e la speranza di poter arrivare, chi rimane fermo non arriverà mai. (Carmelo Pellegrino)

 

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Calabri me rapuere

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In Calabria con Giovanni Cena Benedetto Croce Francesco De Sanctis Giuseppe Maria Galanti Cesare Malpica Vincenzo Padula Walter Pedullà Giacinto Pisani Giovannino Russo Alberto Savinio Luigi Settembrini Raffaele Sirri Saverio Strati Umberto Zanotti Bianco e altri ancora.

(dalla Prefazione)

“… La Calabria per me è una monumentale enciclopedia della complessità e della latenza della storia, scritta a più mani in prevalenza con la collaborazione anche di chi non sapeva né scrivere né leggere nel senso suggerito da queste due parole oggi. Scrivere e leggere, nel caso dell’enciclopedia Calabria, invece, come mi hanno insegnato coi fatti i miei nonni materni, presso cui sono nato e cresciuto nella prima e nella seconda infanzia in Irpinia, vuol dire entrare attivamente nella costruzione dell’esistente, cercare di interpretarlo e di viverlo in proprio, modificandolo, se possibile, lasciandovi il segno della partecipazione e della variazione anche di aspetti minori o giudicati minori. Continuare ad esserci, anche quando materialmente la nostra piccola fragile vicenda personale fisicamente si è spenta…”.

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Calabria

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“Una regione tra le più nobili della penisola ma anche tra le meno conosciute e, forse, tra le più malconosciute. Una regione dalla civiltà antichissima, dal paesaggio incredibile, dal fascino inaspettato, dall’arte diffusa, dall’ospitalità spiccata, dall’umanità tracimante… Una terra che tanto ha dato alla storia e alla cultura dell’intero Occidente e tanto ha dato anche all’Italia attuale in termini di sacrifici, di rinunce, di sofferenza, di lutti, di silenzi, di risorse…” (dall’introduzione dell’Autore).

 

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Calabria malata. Sanità, l’altra ‘ndrangheta

Attraverso l’analisi degli eventi e delle decisioni, non necessariamente illegittime, cerco di dimostrare che la Calabria non interessa a nessuno, se non quando si avvicinano le elezioni.
La Calabria non è importante per Roma né, purtroppo, per i calabresi, che si sono arresi a quanto giudicano inevitabile e immutabile.
Questa assuefazione collettiva è la droga venduta dall’altra ’ndrangheta, silenziosa, che si insinua nella vita quotidiana, in particolare della sanità pubblica, una miniera d’oro, per far proliferare i propri affari.
Anche il nuovo si è subito adeguato. I parlamentari 5 stelle, con le dovute eccezioni, sono come gli altri in Calabria.
I privati, quando si sentono minacciati, si rivolgono alla politica o addirittura alle istituzioni. Anche la Chiesa è poco attenta a non esporsi in affari non sempre trasparenti. I funzionari delle aziende sono spesso tacciati di essere conniventi con i privati. Le organizzazioni sindacali hanno parzialmente perso la loro identità.
Un Presidente di “sinistra” cerca di far annullare un mio decreto per l’assunzione di quasi mille operatori. Ma non dovrebbe esserne felice? Capisco: li voleva assumere lui. Le assunzioni portano voti.
La Ministra, per calpestare la Calabria, cita dati sui livelli essenziali di assistenza che i suoi collaboratori conoscono come fasulli. Nessuno si indigna, tranne il sottoscritto.
L’Asp di Reggio Calabria viene commissariata per infiltrazioni ’ndranghetiste. E viene nominato un prefetto a gestirla. E le competenze? Non servono.
La media borghesia si è costruita una nicchia di benessere: manda i figli a studiare e a lavorare fuori regione e si gode il sole e il mare della Calabria.
Chiunque provi a mettere a fuoco i problemi, cercando la verità, diventa scomodo. Se poi ci mette anche passione e disinteresse, diventa un virus urticante.
Vogliamo reagire? Il primo passo è  conoscere.

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Calabria Trip

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Caro turista siamo lieti di poterti ospitare in terra di Calabria… abbiamo scelto per te alcune delle mete più interessanti della Provincia di Cosenza. Troverai in questo nostro libricino consigli, indirizzi utili per vivere al meglio la nostra regione. Sei pronto? Allora si parte, allaccia le cinture e via scopriamo inseime i tesori nascosti della nostra Calabria.

 

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