Bisturi, fuoco e parola
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Che bisturi e fuoco rientrino nel novero degli strumenti di intervento della medicina greca antica (ma non solo), è abbastanza noto. In effetti, sebbene non siano le uniche pratiche operative, senza dubbio incisioni e cauterizzazioni rimangono maggiormente impresse nell’immaginario collettivo, dal momento che si presentano come le più ardue, nonché invasive e dolorose: non è un caso, probabilmente, che talvolta vengano con amara ironia considerate alla stregua di vere e proprie torture inflitte ai malati. Il volume, tuttavia, concentra la propria attenzione soprattutto sulla parola (logos), cui probabilmente si è meno abituati a pensare in termini di strumento medico. Invero, essa sicuramente è un elemento assai rilevante e strategico, in senso sia epistemologico (relativo, quindi, allo statuto della iatrikè téchne) sia polemologico (in riferimento, cioè, alle lotte contro i molteplici nemici dell’arte) sia, in modo particolare, dialogico (con riguardo all’imprescindibile collaborazione tra medico e paziente, alleati nella comune battaglia contro la malattia). Quanto ai primi due aspetti, è opportuno sottolineare non solo il fatto che gli autori ippocratici, pur con sfumature diverse, si sforzino di salvaguardare l’arte medica nella sua identità e autonomia mediante argomentazioni razionali, ma anche che la stessa arte che si vuole polemicamente difendere è tale perché è stata a sua volta razionalmente fondata. Detto altrimenti, il lógos non è in gioco solo in funzione del pólemos, ma pure, e in prima istanza, in quanto è alla base della téchne stessa: anzi forse proprio grazie a questa sua natura costitutiva può sussistere l’ottimistica convinzione di poter aver la meglio nei confronti dei rivali anche più agguerriti. Comunque, si può sostenere che anche la contrapposizione polemica (pólemos) ha contribuito moltissimo al lógos della téchne, in quanto le ha dato, nel momento della crisi (krísis), un ulteriore stimolo all’affinamento della sua stessa strumentazione logica, in modo che proprio quando la medicina fu costretta a difendersi diventò ancor più indispensabile pervenire a una più precisa autodefinizione come arte autonoma.
Breve documento sulla “Nuova Filosofia”
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Sotto e sopra la cappa del cielo non è avvenuto nulla di così radicale che non si possano più ripetere le stranezze, gli orrori, le stoltezze, i crimini, le superficialità e le imbecillità che compongono i quasi otto decenni della storia del nostro eterogeneo secolo. Tutto quello che del passato ci procura tremore e terrore è presente, come attualità o come potenzialità, nella nostra quotidianità.
Perché una nuova signora Krupp non può regalare a qualche nuovo signor Hitler un nuovo e più efficace strumento di terrore e di morte? Perché un mediocre, ma solido, perseverante, tattico, abile impostore, membro di qualche comitato centrale, non potrebbe divenire un nuovo Stalin e portare a compimento, con maggiore destrezza e successo, azioni criminose, più di quanto non abbia fatto lo Stalin dell’URSS?
A questi “perché” crediamo che non si possa rispondere con i “ricorsi” storici di vichiana memoria. Certa storia non ha bisogno di ripetersi, è già qui, anzi è sempre stata qui; per individuarla basta che ci guardiamo intorno per qualche istante, scevri da qualsiasi forma di condizionamento politico-ideologico in cui siamo calati, scevri dal misticismo dei molteplici ruoli sociali che il conformismo dominante ci ha imposto…
(da Exordium)
Amici e nemici della società aperta non vuole essere semplicemente un confronto tra Popper e Pezzimenti – filosofi, che certamente continuano ad offrire spunti originali inerenti lo sviluppo della società aperta, per il modo in cui sostengono le ragioni di una cultura cosmopolita basata sull’integrazione fra i popoli –, ma il tentativo di abbozzare e proporre al lettore una suggestiva e accurata disamina all’interno della società occidentale, partendo proprio dal rapporto epistolare che i due pensatori ebbero alternatamente per circa un decennio, dal 1984 al 1994.

Cognizione, intersoggettività e autismo
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Complessità delle relazioni sociali. Tra logica e filosofia
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Che tipo di oggetti sono le relazioni sociali? Quali problemi emergono in una possibile descrizione e definizione sintattica e semantica di questi oggetti? Quali sono le coordinate logiche, epistemologiche e teoretiche dello sfondo dal e nel quale questi oggetti si stagliano; sfondo dal quale sono formati e che contribuiscono, a loro volta, a formare? Qual è il ruolo del linguaggio delle e nelle relazioni sociali? Relazioni sociali che, tuttavia, sono anche vissuti e costrutti di soggetti che non solo le studiano, ma le vivono, le determinano e ne sono a loro volta determinati. Il testo affronta queste domande e questi problemi, la loro vaghezza e la loro complessità, attraverso un dialogo che coinvolge la filosofia, la logica, la sociologia delle relazioni sociali. Un dialogo che ha per protagonisti, tra gli altri, il concetto di vaghezza e alcune sue analisi in relazione al concetto di verità, il I Teorema di Incompletezza di Gödel del 1931, il concetto di habitus e quello di rete sociale.

Comprendere il limite
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Come in un poliedro, numerose facce compongono lo spazio dell’opera di Valéry: egli è conosciuto come il poeta de Le cimetière marin e de La Jeune Parque, come il filosofo de L’introduction à la méthode de Léonard de Vinci e di Monsieur Teste, ma anche come il teorico della Poetica, come saggista e scrittore di innumerevoli note, aforismi e prose. Sono tutti aspetti che la monumentale pubblicazione dei Cahiers e dei numerosi materiali inediti continua a moltiplicare, schiudendo sempre a nuovi e proficui orizzonti interpretativi. Questo libro, che riserva una particolare attenzione tanto all’aspetto pubblico quanto a quello privato dell’opera di Valéry, riapre al problema di una considerazione globale del suo pensiero alla luce di uno dei più interessanti e meno conosciuti aspetti della sua riflessione: la ricerca filosofica che egli conduce, senza soluzione di continuità, “intorno alle cose divine”. Il lettore vi troverà quindi sia un sistema di riferimento generale sulla question dieu, sia la presentazione, la contestualizzazione e l’analisi dei materiali esplicitamente dedicati a tale problema. Le choses divines sembrano infatti permettere a Valéry il raggiungimento di una certezza del limite della conoscenza, attraverso un’inesausta ricerca sempre guidata dalla domanda «Che cosa può un uomo?». «Je pense en rationaliste archi-pur – Je sens en mystique»: la ben nota lucida e disingannata attività del faire viene qui caratterizzata come una pratica specificamente filosofica (in quanto sembra non acquietarsi mai in risultati stabilmente affermati ma lascia dialogicamente aperta l’interrogazione), il cui senso pregnante viene in ultima istanza riscoperto attraverso la composizione (artistica) e la pratica spirituale (l’áskesis zetetica).
Corpo e parola
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Di ogni ideazione che perdura nel tempo c’è sempre una giustificazione. Compito dell’uomo è quello di renderla attendibile al meglio. Su questo piano si fa strada la costruzione umana per eccellenza: la parola. La “parola” dice dell’unità di corpo e spirito, di corpo e mente. Alla luce delle conquiste cui sono addivenute le moderne neuroscienze, un redivivo Cartesio si convincerebbe subito di tale unità. Unità, o somma delle nostre caratteristiche, che include le facoltà umanamente più notevoli e che più di tutte fa di noi ciò che siamo. Alludo alla cifra dell’umanità; alludo alla “parola” portatrice di miracolo e di mistero. Nonostante le grandi tragedie, individuali e collettive, che il genere umano ha vissuto e vive, nonostante le ferite che abbiamo inferte al nostro pianeta, l’uomo ha avuto in dote una qualità, che si arricchisce di tempo in tempo e di generazione in generazione, di gran lunga più forte della nostra inclinazione autodistruttiva. La “parola” è tale qualità. Essa ha permeato la nostra civiltà e ha prodotto l’elemento etico ed estetico grazie a cui ci alimentiamo. “Parola” è poesia e filosofia, prodotta, per lo più, da noi stessi, per evitare l’inaridimento e lo smarrimento. La “parola” è la mia parola, e rivela di me cose più di quanto io non sappia. Nietzsche sostiene che tutte le filosofie altro non sono che «riduzioni dei sistemi Filosofici ad azioni personali dei loro ideatori» e ci ricorda che «la massima parte delle nostre esperienze è inconscia e agisce».
Della memoria e dell’imaginazione sociale
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Lo scritto, inserito nella Collana “I dispersi”, è una delle sei “Memorie” presentate al Quinto Congresso Internazionale di Psicologia del 26-30 luglio 1905. Questo scritto di Rossi che si è voluto includere nella Collana risponde ai criteri ispiratori della stessa perché: non è di facile reperibilità, non è di grande mole, permette di avere un buon filo conduttore tra le idee di uno studioso e di un ricercatore di non scarso rilievo nella cultura filosofico-scientifica di fine Ottocento.
Premessa di Franco Crispini
(Presentazione di Emilio Tarditi)
Elogio di Filangieri
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(A cura di Franco Crispini)
Da diversi punti di vista assume valore questo Elogio composto da Salfi, patriota esule a Parigi, e pubblicato nel 1822 assieme ad un “commentario” di Benjamin Constant, in una edizione francese delle “Opere” di Gaetano Filangieri. Prima di tutto, questo scritto salfiano permette di ricostruire più compiutamente il percorso intellettuale dello stesso esule napoletano; consente poi di avere un attendibile criterio di lettura dell’ideologia politica del Filangieri differenziandola dal liberalismo costituzionale di Constant per il maggior peso delle idee illuministiche e democratiche che ne sono al fondo. In ultimo, aiuta a risalire alle fonti ideologiche delle democrazie liberali contemporanee. Per tutto ciò, riproporre questo Elogio salvandolo dalla dispersione e dalla dimenticanza, è parso quanto mai necessario e utile per chi vuole accostarsi ai grandi dibattiti sulle forme migliori di governo, i quali, tra ‘700 e ‘800, animano la cultura europea.
Introduzione di Valentina Zaffino
Emozioni e cognitività di Nietzesche
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La complessità del corpo, come risultato delle dinamiche fisiologiche, è tutto il nostro essere. Detta il nostro pensare, sentire, volere, il nostro buonumore e malumore, il nostro agio e disagio, ma anche piacere, dolore, ansia, angoscia, paura, coraggio e le infinite sfaccettature di cui queste condizioni d’essere sono portatrici a seconda dell’arbitrario gioco dei possibili impasti della materia di come siamo fatti. Nietzsche parla del medesimo terreno dell’insorgenza del buonumore e del malumore e individua la causa della diversificazione non in implicazioni di ordine morale ma del felice o dell’infelice “coordinamento delle energie e dei sistemi fisiologici”. E dice anche che questo coordinamento non ha scansioni oggettive (l’essere-che-diviene) ma soggettive, come eterna riproposta dell’energia pulsionale che muta intensità in rapporto alle infinite possibili metamorfosi dettate dalle infinite combinazioni biologiche e dalle infinite combinazioni neurali (…). La biologia della mente è al pari della biologia del pancreas, della milza, del fegato, così come lo è la sua fisiologia. Non c’è un organo elitario nell’apparato fisiologico. Tutti gli organi interagiscono all’impianto uomo. La parola è, per esempio, aperta all’universale, ma sul piano della fisiologia, puntualizza Nietzsche, non è altro che il “riflesso in suoni di uno stimolo nervoso”. Dalla parola alle parole che fanno le discipline (o saperi) può cambiare l’intensità dello stimolo nervoso ma non la combinazione che ne detta l’insorgenza. Questo comporta che in tutto ciò che facciamo non “c’è un bel nulla d’impersonale” e che il personale dei nostri stati fisiologici non ha una natura specifica ma affiora alla luce assieme al medesimo affiorare dei nostri istinti, dei nostri “interni tiranni”. Sono questi che ci governano anche quando producono “conoscenze elevate”. Dice Nietzsche: “Io non credo che un “istinto di conoscenza” sia il padre della filosofia, ma che piuttosto un altro istinto, in questo come in altri casi, si sia servito della conoscenza (e della errata conoscenza) soltanto a guisa di uno strumento”. E con ciò intende dire “che le nostre conoscenze più elevate risuonano inevitabilmente (…) come follie, in talune circostanze come delitti, allorché vengono indebitamente all’orecchio di coloro che non sono strutturati né predestinati per cose siffatte”. (dall’introduzione)
Empedocle Frammenti
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Di questo libro il percorso è letterario, mentre l’impegno è di natura morale e sociale: vedere come è stato tramandato il rapporto tra padri e figli a distanza di secoli e constatare come nella società odierna la figura paterna abbia visto perdere molto del suo ruolo tradizionale,[…] L’eticità è tutta dentro lo spirito e la mente, e dentro l’amore di fare letteratura, quella che non serve al commercio, ma prevalentemente a conoscere, a coltivare, ad amare la pianta-uomo.[…] A che serve un’opera di questo genere e con queste mire e con questi interessi? Non lo so, ma credo che possa servire tanto quanto serve quella che chiamiamo buona letteratura, la quale a sua volta, come diceva Sciascia, mira a compiere una buona azione. E nient’altro. Ammesso che le vie del mercato lascino ancora spazio al compiersi della buona azione.

Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein – Heidegger – Gadamer – Apel
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In questo confronto tra ermeneutica e pragmatica trascendentale, sviluppato intorno ai temi delle quattro impostazioni teoretiche più discusse oggi in filosofia, e che interessa direttamente le condizioni di possibilità di ogni argomentare (anche ermeneutico) e quindi le condizioni di possibilità di ogni comprensione e comunicazione, di verità e di giustificazione, di senso e di critica del senso, sono chiamate in causa, oltre alla pragmatica trascendentale di Apel, la teoria dei giochi linguistici di Wittgenstein, l’ermeneutica dell’esserci (Dasein) (del primo Heidegger), nonché l’ermeneutica della storia dell’essere (del tardo Heidegger) e la pretesa di universalità dell’ermeneutica filosofica avanzata da Gadamer. Quali sono gli interrogativi trascendentalpragmatici che fanno da sfondo in questo confronto e che accomunano e, nel contempo, distinguono e mettono allo scoperto le logiche interne alle argomentazioni delle posizioni qui oggetto di riflessione? Gli interrogativi sono i seguenti: è il logos del discorso argomentativo a ricevere il suo fondamento di validità dal senso temporale dell’essere e, quindi, dalla storia (epocale) dell’essere o sono la temporalità dell’essere e la storia epocale dell’essere a ricevere dal discorso argomentativo il loro fondamento di validità? In modo più generalizzato: la pretesa di validità di un’asserzione filosofica (di ogni asserzione filosofica) dipenderà dal logos della temporalità e della storicità dell’essere o dal logos sovratemporale e sovrastorico del discorso argomentativo? Detto ancora diversamente: è possibile parlare di pretesa universale di validità in riferimento a un logos tra-scendentale o tutto dipende dagli stili di vita o modi di vivere (Wittgenstein) o da aperture storiche (Heidegger) razionalmente non controllabili? E ancora: è possibile parlare di fondazione o meglio di fondazione ultima, nonché di etica del discorso e fondazione dell’etica o fondazione di norme, in ultima analisi, di fondazione della scienza e della filosofia? A queste domande risponde con illuminante chiarezza l’ermeneutica trascendentale di Apel, sfidando tutti i relativismi e gli scetticismi che accompagnano il pensiero moderno.

Estetica e teoria dei generi in György Lukács
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Negli ultimi trent’anni il pensiero di György Lukács ha
conosciuto un immeritato e quasi indiscriminato oblio. Le
ragioni che hanno foraggiato questa sistematica pratica di
rimozione del filosofo ungherese sono fin troppo esplicite.
György Lukács è stato un intellettuale ingombrante, uno di
quei pensatori in cui vita, politica e pensiero si fanno tutt’uno,
a formare un coacervo la cui cifra non è affatto agile alla
metabolizzazione. Tenendo ferma questa consapevolezza,
crediamo sia tuttavia possibile, anzi auspicabile, confrontarsi
con il notevole contributo speculativo lukácsiano eludendo
la tentazione di eleggere a criterio unico di giudizio l’adesione
o la repulsione verso i connotati ideologici che il suo
pensiero esibisce.
Ciò non significa, per converso, sentirsi autorizzati a lanciarsi
in improbabili operazioni di maquillage storiografico.
Lukács è stato un filosofo integralmente marxista: questa
appartenenza ideologica ne ha connotato intimamente lo
sguardo, così tanto da non lasciare residui, e ha informato
in modo pervasivo l’orizzonte di esercizio del suo pensiero,
così tanto da non lasciare spazio ad ambiguità.
Filosofia trascendentalpragmatica Transzendentalpragmatische Philosophie
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Contributi di:
Dorothea Apel, Dietrich Böhler, Michele Borrelli,
Francesca Caputo, Jesús Conill, Adela Cortina, Franco Crespi,
Alberto Mario Damiani, Julio De Zan, Adriano Fabris,
Graciela Fernández, Raúl Fornet-Betancourt, Horst Gronke,
Jon Hellesnes, Reinhard Hesse,
Wolfgang Kuhlmann, Matthias Kettner, Ricardo Maliandi,
Virginio Marzocchi, Dorando J. Michelini, Marcel Niquet,
Audun Øfsti, Stefano Petrucciani, Gunnar Skirbekk,
Josep-Maria Terricabras, Anatoliy Yermolenko
A cura di
Michele Borrelli – Matthias Kettner
Collaborazione di
Francesca Caputo
Filosofie contemporanee
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Il testo suddiviso in due sezioni raccoglie, in forma di contributi e interviste, scritti di alcuni dei maggiori protagonisti del pensiero filosofico contemporaneo, molto diversi tra loro, ma che, indiscutibilmente, hanno partecipato in maniera notevole e da prospettive diverse alle concettualizzazioni dell’attuale epoca filosofica.
Attraverso alcune delle più autorevoli voci del pensiero filosofico contemporaneo, la raccolta di saggi, che qui si presenta al pubblico di esperti e in generale, propone una visione al plurale, ma di insieme, delle grandi tradizioni e scuole filosofiche: filosofia analitica, filosofia continentale, marxismo, fenomenologia, esistenzialismo, svolta linguistica, teoria critica, pragmatica trascendentale, teoria sistemica, pensiero debole, filosofia della liberazione, filosofia interculturale, ecc.. Attraverso questa pluralità, che documenta la grande differenziazione di impostazioni, di tradizioni teoretiche, scuole, indirizzi, sviluppi paralleli anche intrecciati tra loro, il libro offre un quadro molto ampio e articolato di buona parte dei processi in cui è venuto via via articolandosi il pensiero filosofico più recente. Inoltre, il testo si propone come ricostruzione di alcuni tra i profili teorici più discussi oggi in filosofia; si vedano, soprattutto, le interviste a Sartre, Foucault, Lévinas, Apel, Panikkar, Kristeva, Frank, Bunge, Fornet-Betancourt, Petrović, Kosik, Luhmann, raccolte nella prima sezione.
Sappiamo che ampio e controverso è lo scenario filosofico, sia che facciamo riferimento alla storia della filosofia, sia che analizziamo e compariamo gli approcci più recenti e attuali in filosofia. In entrambi i casi, siamo all’interno di una articolata pluralità di impostazioni che non consentono schemi di lettura unitari. Schemi già difficili da proporre, se non altro per il fatto che non vi sono linee strutturali di una storiografia filosofica che permettano di cogliere, in un senso puramente ‘descrittivo’ e ‘neutrale’, la filosofia così come si articola in determinati periodi, siano essi relativi alla storia della filosofia, siano essi relativi alla filosofia nel presente. Ogni lettura avrà un suo quadro teorico di riferimento. E il quadro teorico che abbiamo ritenuto più utile è quello che lo stesso lettore vorrà sviluppare o scegliere per le sue analisi, le sue valutazioni e comparazioni o le sue critiche anche radicali che ritiene utili avanzare nei confronti delle filosofie oggi in concorrenza tra loro. In assenza di una linea unitaria, ci è sembrato, quindi, più appropriato parlare non di filosofia contemporanea, ma di filosofie contemporanee, cercando di offrire al lettore una pluralità possibilmente ampia di approcci e una possibilità al plurale della stessa lettura filosofica.
INTERVISTE: KARL-OTTO APEL, MARIO BUNGE, RAÚL FORNET-BETANCOURT, MICHEL FOUCAULT, MANFRED FRANK, AGNES HELLER, KAREL KOSIK, JULIA KRISTEVA, EMMANUEL LÉVINAS, NIKLAS LUHMANN, RAIMUNDO PANIKKAR, GAJO PETROVIĆ, JEAN-PAUL SARTRE
SAGGI: HANS ALBERT, MICHELE BORRELLI, CARL FRIEDRICH GETHMANN, JÜRGEN HABERMAS, HERMANN LÜBBE, GIACOMO MARRAMAO, JÜRGEN MITTELSTRAß, GERARD RADNITZKY, HERBERT SCHNÄDELBACH, EMANUELE SEVERINO, GIANNI VATTIMO, ALBRECHT WELLMER, WOLFGANG WELSCH.

Francesco Antonio Piro e la filosofia di Leibniz
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WALTER CALIGIURI nuova edizione Francesco Antonio Piro e la filosofia di Leibniz Principio di ragion sufficiente e problema del male 20 euro, 88-8101-348-7 Il confronto tra il sistema di Leibniz e quello di Piro si pone come lo scopo fondamentale del presente saggio, nel tentativo di evidenziare la rilevanza filosofica delle ricerche di Piro e di ricostruirne i momenti salienti proprio nella relazione con il poderoso pensiero leibniziano. La ricerca di una giustificazione che sia, prim’ancora che teologica, logica e, quindi, umana del concetto del male, ricerca condotta mediante l’appello costante di Piro al leibniziano principio di ragion sufficiente e l’approfondimento di tale principio nella direzione propriamente etica della vita umana sono i due elementi che caratterizzano l’indagine piriana sul problema dell’origine del male e ne rischiarano il valore e l’originalità nell’ambito del dibattito innescato da Bayle nel Settecento in Europa e sviluppatosi nello stesso periodo nel Meridione d’Italia. Comprendere l’influenza esercitata da Leibniz sul pensiero di Piro vuol dire, dunque, non solo far emergere la grande capacità del filosofo di Aprigliano di misurarsi, reinterpretandole originalmente, con le più notevoli correnti di pensiero del suo tempo, ma anche saggiare il peso notevole che le opere di Piro hanno rivestito in quella ricca letteratura filosofica del Mezzogiorno d’Italia – si pensi agli scritti di T. Cornelio, L. di Capua, G. Valletta, G. Caloprese, per citarne solo alcuni – che testimonia la partecipazione di figure a torto ritenute minori, a dibattiti di largo respiro ed a processi fondamentali di rinnovamento culturale, quale fu, nel bene e nel male, l’irrompere del pensiero illuministico nel Settecento in Europa. “Alla luce di questo impegno culturale e filosofico, svolto dal Piro e da altri Calabresi di quel tempo a Napoli […] lo studioso Walter Caligiuri ci permette di scendere ancora di più nel pensiero del Piro, facendo emergere i suoi contatti culturali con la filosofia di Leibniz. Ne esce così un Piro aperto alla dimensione europea, inserendosi validamente tra i “Grandi” pensatori del Settecento”.
Francesco Guicciardini tra scienza etica e politica
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La storia della filosofia politica del Cinquecento esprime con Francesco Guicciardini, una delle sue figure più rappresentative e una delle voci più autorevoli nel panorama del pensiero europeo, che hanno inciso sensibilmente sul dibattito etico-politico del vecchio continente. Uomo di governo e di molte altre faccende politiche e militari, luogotenente di papa Leone X e di papa Clemente VII, Guicciardini, sconosciuto come scrittore in vita e per oltre venti anni dopo la morte in Italia e nella sua stessa città, non avendo mai pubblicato né fatto conoscere agli amici più stretti neppure una sola pagina dei suoi scritti, trovò tardi posto tra i più grandi scrittori italiani di fama europea. Lo scopo precipuo di questa breve monografia su Francesco Guicciardini, di cui quest’anno ricorre il 530 anniversario della nascita, è quello di scandagliare il pensiero politico di uno storico obiettivo e scrupoloso, solerte alle mutazioni relative alle variegate situazioni politiche e culturali sviluppatesi tra XV e XVI secolo in Europa. Pensatore che muove da una visione introspettiva legata all’uomo e alla storia, sulla base di un ordine criteriato, caratterizzato dalla concretezza delle sue idee e da un’ampiezza di vedute che ritornano, oggi più che mai, di grande attualità. Guicciardini, che per alcuni aspetti può sembrare un personaggio estraneo alla sua epoca, guarda al presente, con i suoi problemi e le incomprensioni del momento, ma contemporaneamente volge lo sguardo verso il futuro, nella speranza di intravedere lo spiraglio giusto che gli consenta di trovare soluzioni adeguate ai problemi che costantemente assillano la vita di coloro che si assumono responsabilità politiche nell’ambito del quadro evolutivo di una società complessa, come quella espressa dalla Firenze del tempo che ben si compara alla odierna situazione politica italiana.
ebook - cartaceo

Homo moriens
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In undici studi specialistici il volume svolge un’approfondita analisi sulla mortalità del soggetto umano quale fu avvertita da autori che, per l’acume del loro pensiero e l’importanza storica che rivestono, sono particolarmente rappresentativi della cultura del loro tempo. La trattazione si muove su di un livello fondamentalmente storico-esegetico, attraverso un accurato esame di testi e documenti, ed ha carattere specificamente filosofico, fa cioè del punto di vista della filosofia l’angolo prospettico dal quale indagare le pur differenti valenze della riflessione sulla morte, in un quadro dove è centrale il riferimento all’uomo. Ne risulta un’interessante ricostruzione non già di “teorie” del decedere, ma di basilari “ermeneutiche” della morte quale evento che concorre a definire la condizione umana

Il ‘ritorno a Kant’ e lo studio del rinascimento in Francesco Fiorentino e Felice Tocco
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Dei due saggi che compongono questo volume, quello su
Francesco Fiorentino tra ‘ritorno a Kant’ e studio del Rinascimento
è stato già pubblicato sulla rivista «Verifiche», Anno
XXX, N. 3-4, 2001, pp. 299-332 (prima parte); Anno XXXI,
N. 1-3, 2002, pp. 95-125 (seconda parte). Ringrazio l’editore
e i direttori della rivista «Verifiche» che hanno ospitato
per la prima volta il saggio su Fiorentino per averne consentito
la ristampa. Il saggio su Felice Tocco è inedito.
Il mercato delle meraviglie della natura overo istoria naturale del Cavalier Nicolò Serpetro
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Il volume in ristampa – apparso in Venezia per le EDIZIONI TOMASINI nel 1653 – si avvale di una esaustiva e acuta Introduzione di Santi Lo Giudice e di una Postfazione didascalica e semantica di Antonino La Mancusa e di Carmelo La Mancusa.
Prefazione a cura di Santi Lo Giudice
Postfazione di Antonino La Mancusa e Carmelo La Mancusa